Violenza sessuale nei confronti della figlia minorenne, sul banco degli imputati un uomo di 61 anni. I fatti accaduti ad Aprilia
Prosegue il processo a carico di un operatore sanitario di 61 anni, originario del Congo, J.K.M. (le sue iniziali), imputato nel processo, per violenza sessuale aggravata dalla minore età della vittima, davanti al I collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici Soana-Bernabei-Brenda.
I fatti, secondo la Procura di Latina, oggi rappresentata in aula dal pubblico ministero Valentina Giammaria, sono accaduti nel 2018, ad Aprilia. In un primo momento la moglie dell’uomo, anche lei di origine africana, lo denunciò quattro anni prima per una violenza commessa ai danni del figlio minorenne. Il fascicolo fu archiviato.
Dopodiché, quattro anni dopo, fu l’allora ragazzina di 12 anni a confidarsi con una insegnante e a rivelare uno spaccato agghiacciante. L’insegnante, come aveva riferito in aula nella scorsa udienza di febbraio, avrebbe sentito dalla bocca della minorenne queste parole: “Sarò il tuo primo uomo”. Una frase che il 61enne avrebbe rivolto alla figlia dodicenne poco prima di violentarla. Una violenza carnale completa come è emerso nel corso dell’incidente probatorio quando, a parlare, è stata proprio la ragazzina, oggi maggiorenne e costituitasi parte civile insieme alla madre, assistite dagli avvocati Biagio Coppa e Antonella Comito. È stata la madre della ragazza a far partire la denuncia da cui è scaturita inchieste e attuale processo.
L’insegnante, esaminata come testimone, aveva spiegato che la ragazzina si confidò con lei in virtù di una fiducia guadagnata nel rapporto tra docente e alunna. Una confessione spontanea. Dopo di lei, aveva testimoniato anche il dirigente dell’istituto scolastico all’epoca dei fatti frequentato dalla vittima.
Oggi, 22 ottobre, come testimone, è stata ascoltata la consulente psicologa nominata dal pubblico ministero, chiamata a valutare la capacità relazionale della figlia, vittima di violenza sessuale. La consulente ha spiegato che si tratta di una ragazza molto intelligente, nonostante avesse un legame molto forte con la madre che non le permetteva di avere un pensiero autonomo rispetto alla donna: “Non sembrava avesse la consapevolezza tra il suo pensiero e quello della madre”.
All’epoca, la ragazza era un adolescente e nella famiglia c’era una situazione complessa. Non sarebbe mai riuscita a ricostruire realisticamente la sua situazione. “Aveva una scissione: tanto l’area emotiva la turbava, quanto aveva sviluppato la sua area intellettiva. Nella sua narrazione, erano presenti delle negazioni rispetto a ciò che diceva la madre”. Dal punto di vista dell’episodio di violenza, la ragazza riusciva a contestualizzarlo fino ad un certo punto, facendo confusione tra realtà e sogni che inseriva nel racconto. “La sua è una difesa. Un meccanismo, quello di inserire i sogni, avviene quando la mente vuole difendersi. Una sorta di saracinesca per evitare, in linea teorica, di affrontare eventuali abusi”.
A seguire, come testimone, la seconda consulente psicologia che ha premesso di aver valutato l’attendibilità della minore undici anni fa, nel 2014. Una lontananza temporale che, per ovvi motivi, ha reso difficile l’escussione. La consulente ha spiegato, consultando la relazione di anni prima, di non aver dato attendibilità ai due figli minorenni della coppia congolese.
Il terzo testimone di giornata è stato il figlio 18enne dell’uomo, imputato di violenza sessuale. Il giovane ha spiegato che, nel 2018, i genitori erano già separati. Viveva insieme con la madre e la sorella, raccontando la situazione famigliare dell’epoca : “Non posso dire che vi fosse qualcosa di strano, anche se non sono stato attento ai dettagli. Avevo rapporti ottimi con mio padre, mia madre e mia sorella”. Il 18enne ha detto che il padre andò via per un litigio con la madre perché “con lei non era proprio il miglior marito perché c’erano abusi verbali, anche se non ho mai visto che gli alzasse le mani. Occasionalmente, mio padre, se facevo errori, tendeva ad avere un atteggiamento più pesante. Non offese, ma sottolineava i miei errori. Era pressante, ma sapeva farsi sentire insultato senza offenderti. Sapeva colpirti con le parole. Le stesse pressioni le usava anche nei confronti di mia sorella”.
A fine estate 2018, “mia sorella e mia madre mi avevano portato in un parco per raccontarmi di un fatto accaduto. Mia sorella piangeva, era scossa e mi racconto che mio padre l’aveva stuprata dentro la camera di letto, a casa sua. C’ero anche io nel momento dello stupro, ma dormivo. Il fatto sarebbe accaduto a Capodanno 2018 e io le ho creduto. Nei dettagli non mi sono fatto raccontare cosa era successo perché non volevo sentire, anche per protezione mia personale. La fermai, perché tanto avevo capito. Solo una volta ho parlato di questa storia a mio padre ed è successo l’anno scorso. Gli dissi che credo a mia sorella. Dopo aver appreso della violenza, non ho più voluto avere rapporti con mio padre. Attualmente non ci parliamo neanche, all’inizio fu mia madre a dirmi di stare attento a lui. Mi è stato raccontato che quando ero bambino mio padre mi toccava le parti intime, ma ho zero ricordi”.
Come ricorda il fratello, la ragazza fu ricoverata all’ospedale: “Mi fu detto che mia sorella aveva bisogno di aiuto. Onestamente ricordo che quando tornò non le chiesi nulla”. Il giovane fu sentito in Procura anche ad aprile 2018 e all’epoca avrebbe già saputo della presunta violenza sessuale. Successivamente, il giovane ha appreso che la sorella si confidò con una professoressa. Sulla madre e sulla sorella il ragazzo ha le idee chiare: “Ho buoni rapporti con loro. Mia madre mi ha sempre educato a non essere violento. Mio padre ha contribuito e contribuisce con aiuti economici. Mia sorella so che segue e ha seguito percorsi psicologici legati a quell’episodio di violenza”.
Interrogato dall’avvocato difensore dell’uomo, il fratello ha detto che: “Quando dormivamo da una nostra amica di famiglia, mia sorella mi confidò che il marito dell’amica di mia madre le metteva le mani addosso. Io l’ho scoperto nel 2022, ma non ho sporto denuncia, né so se mia sorella o mia madre l’abbiano fatto”.
Il processo è stato rinviato al prossimo 22 aprile per ascoltare gli ultimi due testimoni del pubblico ministero, tra cui la professoressa che accolse la confessione della vittima.