La Corte d’appello di Roma dà ragione a un investitore pontino che risparmia 2 milioni e 600mila euro che non dovrà più corrispondere a una banca di San Marino.
È l’esito di una causa civile che aveva visto già nel 2018 il pronunciamento favorevole del Tribunale di Latina a favore di un investitore pontino, difeso sia in primo che in secondo grado dall’avvocato Erika Poccia. A fare ricorso contro la prima sentenza del Tribunale di Piazza Buozzi è stata la Banca Agricola Commerciale IBS, con sede a San Marino, assistita dagli avvocati Matteo Mularoni, Roberto Andreoni e Raffaele Torino.
La vicenda nasce nel lontano 2006 quando l’investitore aveva conferito mandato ad un intermediario finanziario di Fondi l’incarico di impegnare un’ingente somma in titoli azionari per il valore di 2 milioni e 600mila euro.
La banca sanmarinese aveva poi ottenuto, nell’ottobre 2010, dal Tribunale di Latina un decreto ingiuntivo per le somme. Decreto contro il quale l’investitore fondano si era opposto. Quest’ultimo ha vinto il giudizio di opposizione e l’istituto bancario ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Latina.
La I sezione civile della Corte d’Appello, presieduta dal giudice Diego Pinto, in accoglimento della tesi dell’avvocato Poccia, ha ora ritenuto tutti gli ordini di investimento nulli, per l’intero importo di 2 milioni e 600 mila euro, in quanto effettuati da soggetto – l’intermediario finanziario di Fondi – non abilitato ad operare nel mercato finanziario.
Il procedimento è risultato particolarmente complesso perché i titoli erano stati investiti nel mercato borsistico statunitense e allo stesso – sia il Tribunale di Latina che la Corte d’appello – ha ritenuto applicabile la legge sammarinese, in deroga a quella italiana.
La sentenza risulta innovativa per essersi discostata da importanti precedenti, anche di legittimità, e per aver accolto la tesi dell’investitore pontino per la quale, nell’ambito di un complesso rapporto di investimento, ogni singolo ordine borsistico può essere colpito da nullità anche a prescindere dall’eventuale validità degli altri ordini di investimento.
In questa vicenda, peraltro, figura l’intermediario di Fondi, oggetto di un procedimento penale e delle attenzioni della Banca Centrale di San Marino che ha prodotto due note risalenti al 2008 e al 2009 rispetto alla sua anomali operatività. Emerge che il broker finanziario di Fondi non era autorizzato a esercitare attività finanziaria a San Marino.
Si legge, in una delle note della banca centrale sanmarinese, che nel corso degli accertamenti ispettivi condotti nei confronti della Banca Agricola dal 17 gennaio 2008 all’8 febbraio 2008, “è stato rilevato che in 19 rapporti (alcuni dei quali cointestati) con clienti italiani, la banca, sulla base di ordini imparati da uno dei clienti (nda: per l’appunto il broker fondano), ha eseguito negoziazioni, per rilevanti ammontari di titoli azionari statunitensi, depositati in dossier in amministrazione della banca medesima. Il controvalore, alla data del 25 gennaio 2008, dei titoli in questione ammontante a euro 35 milioni circa, è stato spesso posto a garanzia di linee di credito accordate dalla medesima banca ai menzionati clienti, alla stessa data, pari a un totale euro 18 milioni circa”.
Ad ogni modo, anche la Corte d’Appello conviene che Massimo Peppe, il broker finanziario, “non era un mero procuratore, ma un vero e proprio intermediario finanziario non autorizzato né in Italia, né a San Marino. Emblematica è la corresponsione in suo favore di commissioni“.
Peraltro l’uomo ha subito un processo insieme ad alcuni dirigenti dell’Ibs sanmarinese in cui si contestava al broker l’esercizio abusivo dell’attività di intermediario finanziario. In quell’occasione fu un chirurgo plastico a sostenere di aver perduto 2.627.000 euro a causa di operazioni eseguite sul mercato azionario americano attraverso l’Ibs su indicazione di Massimo Peppe. Per questo procedimento, nel 2015, ci fu il proscioglimento di tutti, compreso Peppe, per intervenuta prescrizione.
Tornando alla vicenda che ha visto coinvolto l’investitore pontino, la Corte d’Appello romana sostiene che “è evidente pertanto che gli investimenti abusivamente effettuati e consentiti dalla Banca sanmarinese, i quali hanno determinato lo scoperto di conto corrente, fossero affetti da nullità“.
“Gli investimenti effettuati dal Peppe – proseguono i giudici capitolini – sono affetti da nullità e se ciò da un lato obbligherebbe il ritrasferimento delle somme versate, che non risultano nel loro effettivo ammontare, dall’altro esclude fondamento alla pretesa creditoria azionata dalla Banca fondata sul saldo debitorio di conto corrente, sul quale gravano gli investimenti nulli per difetto di prova”.
Tuttavia anche l’appello incidentale sul rigetto della domanda risarcitoria proposto dall’investitore pontino è, per la Corte d’Appello, infondato. Secondo i giudici dell’Appello, infatti, l’uomo no. avrebbe dimostrato compiutamente il danno subito: “È assente qualsiasi prova in merito alle asserite mancanze di BAC (nda: la banca agricola commerciale), in particolare, in ordine all’adempimento degli obblighi informativi, francamente incredibile alla luce della produzione in atti dei resoconti contabili e soprattutto della circostanza che un soggetto che abbia chiesto ed ottenuto un fido di ben 2.400.000 euro, nonché conferito procura speciale ad un terzo ad operare investimenti in titoli e valori mobiliari, nulla sapesse poi dell’effettivo utilizzo di tale somma”.
L’investitore, quindi, “ben avrebbe potuto richiedere la documentazione di cui chiede l’ordine di esibizione alla Banca, ante causam, ovvero in un tempo congruo rispetto alle preclusioni istruttorie, essendo irrilevante il fatto che mentre in Italia tale diritto è rafforzato da una previsione normativa, nella Repubblica di San Marino discenda dai principi generali normativi e/o convenzionali in materia di contratto di conto corrente”.
Quindi, nessun risarcimento per l’investitore che, però, può ritenersi soddisfatto di non dover versare alcun euro alla banca sanmarinese soccombente anch’essa così come stabilito dalla Corte d’Appello.