Tentato omicidio a Sezze: gli arresti di due giovani del luogo e il pestaggio che ha ridotto in fin di vita un uomo di nazionalità rumena
Tutto è avvenuto nella zona di Porta Sant’Andrea, tra il Bar Buzzichetto, altri negozi dell’area tra cui un panificio e il cosiddetto “shop” dove ci sono le macchinette per prelevare cibi e bevande poco distante.
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È il primo pomeriggio del 30 marzo scorso e un uomo, originario della Romania, 43enne, ha appena acquistato una bottiglia di vino insieme ad un amico. Dopo poco, lo stesso uomo, in evidente stato di ebbrezza alcolica, si aggira nella medesima zona: è il centro di Sezze frequentato per lo più da giovani, soprattutto di seconda generazione dei tanti rumeni e albanesi arrivati nella città dei Monti Lepini anni or sono.
Il 43enne, di cui omettiamo il nome in quanto vittima dell’agguato, viene richiamato da due giovani, uno dei quali è di corporatura piuttosto robusta. Il giovane, 20 anni, si chiama Matteo Pozone il quale insieme al cugino 17enne (si omette per ovvi motivi il suo nome in quanto minorenne), secondo gli investigatori della Squadra Mobile e il sostituto della Procura di Latina Giorgia Orlando che ha coordinato le indagini, stanno tampinando l’uomo rumeno.
Non ci vuole molto prima che i tre vengano a contatto: al rumeno non occorre molto per capire che qualcosa non andava tanto è che cerca di tirare dritto senza raccogliere alcuna provocazione.
Ma non c’è niente da fare. Dopo un probabile iniziale diverbio, il 17enne gli sferra uno schiaffo in pieno volto. L’uomo non fa in tempo a togliersi la giacca che, secondo una testimonianza, viene colpito da un gancio sul mento che lo fa ruzzolare testa indietro sbattendo la nuca in mezzo alla strada. È in ragione di questo elemento che la Procura di Latina contesta al ventenne – al 17enne è contestato il reato in concorso – il tentato omicidio aggravato dal conoscere la possibilità di far male. Pozone, infatti, fa boxe e per la Procura sarebbe stato consapevole della violenza del colpo e della volontà di uccidere. Tutto l’episodio, secondo investigatori e inquirenti, “per la mera voglia di sfogarsi, approfittando del fatto che lo straniero si presentasse poco reattivo ed in stato confusionale perché in evidente stato di ebrezza alcolica”. La banalità del male nella sua forma più asettica e vitrea.
– L’intervento del 118 e della Polizia municipale. Intanto, per il 43enne rumeno, dopo il pugno che lo ha fatto schiantare sull’asfalto, la situazione è grave così come accertato dai sanitari e dal medico legale: frattura del cranio, emorragia cerebrale, asportazione della calotta cranica, coma farmacologico e pericolo di vita. Fortunatamente – come ricordava una nota della Questura di Latina – l’uomo, “sottoposto a delicati interventi chirurgici, ora non è più in pericolo di vita”. Se l’è scampata per un miracolo.
Fin qui un episodio di violenza urbana come se sono visti tanti di recente e a cui è impossibile abituarsi: dall’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro alla tragedia accaduta a Formia ai danni del povero 17enne Romeo Bondanese, fino alle ultime risse che hanno interessato sempre il sud pontino e anche Latina con un accoltellamento vicino ai Giardinetti per cui poteva scapparci anche lì il morto, sempre nell’ambito giovanile.
Solo che a Sezze esistono anche per quest’episodio dei particolari su cui è impossibile non riflettere.
I due giovanissimi avrebbero tentato di gettare fumo sulle indagini. Dopo il fattaccio, di cui da subito si rendono conto scappando verso la zona del Ferro di Cavallo e poi nelle rispettive abitazioni, i due denunciano il rumeno, nel frattempo ricoverato e in coma al Santa Maria Goretti di Latina. Alla base del litigio, forse, una precedente relazione sentimentale del rumeno con una persona estranea alle indagini. Senza contare che uno dei due giovani avrebbe tra le sue conoscenze, seppur indirettamente, un noto pluri-pregiudicato di Latina un tempo vicino al Clan Travali.
Al di là di ogni particolare, al momento poco significativo, i due giovani, passata una settimana dall’aggressione – per cui Pozone è in carcere su provvedimento del Giudice per le indagini preliminari Giuseppe Cario – si recano alla Stazione dei Carabinieri di Sezze per sporgere denuncia contro la vittima. Secondo loro, ci sarebbero state da parte del rumeno minacce di morte e percosse le quali hanno causato la difesa poi sfociata nel pestaggio.
Una versione che gli inquirenti non ritengono credibile poiché altre testimonianze chiarirebbero che a provocare non sia stato il 43enne rumeno ma i due adolescenti. In più, questi ultimi – come evidenza la Polizia di Stato – si danno da fare per precostituirsi un alibi, “dopo essersi fatti scoprire”, indicando anche due testimoni che avrebbero potuto confermare il loro punto di vista.
A stupire, inoltre, è il fatto che al momento dell’aggressione avvenuta al centro di una strada ad alto volume di traffico fossero presenti più persone, almeno una manciata attorno al corpo esanime del 43enne rumeno, e poi decine accorse (almeno una settantina). Nessuna di queste ha denunciato il fatto e altre hanno prima ammesso nelle fasi concitati e poi spiegato di non ricordare e/o di non conoscere i due giovanissimi (il 17enne è stato trasferito in un Istituto Penale Minorile). Sul posto, inoltre, nel pomeriggio tra le 15 e le 16 del 30 marzo, quando il rumeno ha rischiato di morire, è intervenuta la Polizia Municipale che parrebbe non aver identificato nessuno pur sostando, nelle vicinanze del corpo esanime, molte persone. Peraltro, come noto ai setini, lì c’è la fermata del Cotral e si sviluppa un continuo passaggio di cittadini che aspettano il pullmann o che scendono da esso.
Tra le prove più importanti ci sarebbero anche fotografie e un video girato da cellulare che rappresenterebbe, almeno in parte, l’aggressione subita.
Omertà, ritrosia, confusione e qualche testimonianza che conferma le prime tre, continuano a porre Sezze al centro della cronaca più inquietante. Dopo lo scandalo del cimitero, dove quanto a omertà e ritrosia ci si potrebbe produrre un telefilm, ancora una volta la violenza urbana si intreccia all’opacità e alla paura di un paese che nasconde troppo e che teme di finire nel tritacarne scegliendo di mettere sotto il tappeto.