SEQUESTRO DA 10 MILIONI PER LA FAMIGLIA CHE SVERSAVA NELLA CAVA DEI PIATTELLA: SIGILLI ANCHE AD APRILIA E FONDI

Rifiuti e investimenti immobiliari con gli introiti illeciti: maxi sequestro a carico di un imprenditore eseguito dalla Polizia

Nell’ambito di una strategia di contrasto all’accumulazione dei patrimoni illeciti da parte delle consorterie criminali, intrapresa dalla Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato sull’intero territorio nazionale, nella mattinata odierna, il Servizio Centrale Anticrimine e la Divisione Anticrimine della Questura di Roma hanno eseguito, nelle province di Roma, Latina, Frosinone e L’Aquila, un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca emesso, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale di Roma – Sezione delle Misure di Prevenzione, su proposta formulata congiuntamente dal Procuratore della Repubblica di Roma e dal Questore di Roma.

Il provvedimento ablatorio disposto dalla terza sezione penale del Tribunale di Roma riguarda beni e assetti societari, per un valore complessivo di 10 milioni di euro, riferibili a una famiglia di imprenditori – i 78enni Maria Pia Faraoni e Giuseppe De Rosa e il 44enne Nicola De Rosa, collegati ai Piattella di Aprilia (con cui hanno avuto rapporti di lavoro nella gestione della discarica abusiva sin dal 2012) -, operante nei settori della gestione dei rifiuti ed immobiliare, coinvolta, nel 2017, nell’operazione denominata “Dark side”, condotta dalla Polizia di Stato con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, che disvelò l’esistenza di un sodalizio criminale dedito all’illecito smaltimento di rifiuti, accertando numerosi sversamenti abusivi, aventi ad oggetto anche rifiuti di natura tossica e generanti elevatissimi profitti illeciti.

Tra i conferitori nella cava di Via Corta ad Aprilia (almeno fino al luglio del 2017), nella disponibilità di Antonino e Riccardo Piatella, oltreché a Roberta Lanari (coimputati di Faraoni e dei De Rosa e condannati anche per associazione per delinquere), fu individuata anche un’impresa, ossia la Menfer srl, riconducibile ai De Rosa/Faraoni, i quali, per gli anzidetti fatti, sono stati condannati in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma per traffico illecito di rifiuti, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, realizzazione o gestione di discarica non autorizzata e inquinamento ambientale. I tre famigliari sono stati condannati alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione, oltreché a 10mila euro di multa.

Successivi approfondimenti investigativi hanno consentito di raccogliere ulteriori e gravi elementi indiziari a carico dei proposti in ordine ai reati, anche risalenti, commessi nella gestione delle società di famiglia, quali intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio, appropriazione indebita ed emissione di fatturazioni per operazioni inesistenti.

Inoltre, dalle odierne indagini patrimoniali svolte dai menzionati Uffici, che hanno abbracciato l’arco temporale di circa un trentennio, è emerso che i Faraoni-De Rosa, a fronte di una marcata sproporzione tra la complessiva situazione reddituale “dichiarata” dal nucleo familiare e il patrimonio direttamente o indirettamente allo stesso riconducibile, utilizzavano gli schermi societari per effettuare importanti acquisizioni immobiliari finanziate attraverso gli introiti derivanti dai predetti traffici illeciti ovvero mediante la sistematica distrazione di fondi societari.

I Faraoni-De Rosa, peraltro, hanno subito una ulteriore richiesta di rinvio a giudizio per altre ipotesi di traffico illecito di rifiuti a giugno 2020. Inoltre, sono imputati per trasferimento fraudolento di valori poiché, secondo la magistratura, la Menfer srl (operante dal 1996) e la Rutulia Immobiliare sono state fittiziamente intestate a Maria Pia Faraoni. L’intestazione fittizia sarebbe stata conclusa per eludere le misure di prevenzione patrimoniale nei confronti da marito e figlio: Giuseppe e Nicola De Rosa. E per di più fu concretizzata a seguito di una separazione consensuale dei coniugi (che gli inquirenti ritengono fittizia) che prevedeva il trasferimento alla Faraoni delle quote di partecipazione della De Rosa Metalli, di cui era titolare il marito Giuseppe De Rosa.

Accogliendo la proposta formulata congiuntamente dal Procuratore della Repubblica e dal Questore di Roma, il Tribunale di Roma – Sezione delle Misure di Prevenzione di Roma ha disposto, pertanto, il sequestro della totalità delle quote e dell’intero patrimonio aziendale di 3 compagini societarie, operanti nei settori del trattamento dei rifiuti, del commercio di materiali ferrosi e immobiliare, nonché di 22 fabbricati e 10 terreni, 1 veicolo e 34 rapporti finanziari, per un valore complessivamente stimato di circa 10 milioni di euro.

Si tratta nello specifico, per quanto riguarda la provincia di Latina, di tre fabbricati ad Aprilia e quattro terreni agricoli ubicati a Fondi. Sequestrati, ai fini di confisca, anche le quote sociali della società Menfer srl con sede ad Ardea (impresa che si occupa del commercio all’ingrosso di materiale ferroso, ma illecitamente, secondo gli inquirenti, esteso all’attività di gestione dei rifiuti speciali), della Rutulia Immobiliare basata a Roma e della Ennedierre Ecologia srl. Diversi i fabbricati e i terreni sequestrati ad Ardea riconducibili all’immobiliare.

Già nel 2019, la Divisione Anticrimine della Questura di Latina e il Servizio Centrale Anticrimine della Polizia di Stato avevano eseguito un decreto di sequestro di beni emesso, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale – Sez. Misure di Prevenzione di Roma, su proposta congiunta del Procuratore della Repubblica di Roma e del Questore di Latina, nei confronti di Antonio Piattella, nato nel 1964, residente ad Aprilia.

L’imprenditore, nel 2017, era stato tratto in arresto dalla Polizia di Stato nell’ambito dell’operazione Dark side”, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. presso il tribunale di Roma, nonché destinatario di un provvedimento di sequestro preventivo, che aveva interessato i beni e le aziende nella sua disponibilità, poiché ritenuto al vertice di un sodalizio criminale dedito all’illecito smaltimento di rifiuti, che venivano interrati in una ex cava in via Corta alle porte di Aprilia, in località Tufetto, senza alcuna autorizzazione al loro trattamento e senza alcun tipo di preventiva “preparazione” del sito, volta ad evitare che i rifiuti potessero disperdersi ed entrare in contatto con l’ambiente, arrecando grave danno all’intera collettività. All’epoca ad essere arrestato per traffico illecito di rifiuti anche il figlio 22enne Riccardo Piattella, oltreché ad altre 13 persone tra cui Antonio Martino, imprenditore con interessi nell’impianto della Loas e coinvolto nell’indagine scaturita dal maxi rogo dell’agosto 2020.

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A maggio 2020, infine, un nuovo arresto per Antonino Piattella sulla scorta del provvedimento definitivo di pene emesso dall’Ufficio Esecuzioni della Procura di Roma per una serie di reati, quali abuso edilizio, ricettazione, lottizzazione abusiva, estorsione e violazione della normativa in materia di rifiuti

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