Assistente capo scout originario di Terracina arrestato per aver abusato di alcuni minorenni, la perizia della difesa che fa discutere
Una perizia della consulente della difesa che fa discutere le famiglie dei bambini abusati; peraltro redatta dalla psicoterapeuta, incaricata dagli avvocati del 19enne Simone Di Pinto, la quale assiste il il giovane anche in forma privata dopo che è stato iscritto nel registro degli indagati e ha iniziato un percorso psicologico.
Sono questi i risvolti della perizia depositata nel corso dell’udienza preliminare che si è tenuta lo scorso 28 gennaio e che vece come indagato il succitato Simone Di Pinto, l’assistente capo scout di Terracina e studente universitario di Biologia presso il Polo Pontino de “La Sapienza”, accusato di pedopornografia e arrestato lo scorso 2 agosto. Il 19enne, difeso dagli avvocati Ippolita Naso e Carmela Massaro, si trova al momento agli arresti domiciliari. A coordinare le indagini il sostituto procuratore capitolino Vittorio Bonfanti. I reati che riguardano vittime di minore età sono, infatti, di competenza del Tribunale di Roma, nonostante che i fatti contestati siano accaduti a Terracina.
A costituirsi parti civili, assistiti dall’avvocato Pasquale Lattari, i quattro minorenni che vanno dai 10 ai 16 anni, tutti rappresentati dai genitori. Non solo, perché a richiedere la costituzione come parte civile sono state anche il gruppo Scouts Agesci Terracina 3, all’interno del quale operava l’imputato quale educatore e “profittando del rapporto di fiducia con il bambino derivante dallo svolgere la funzione di aiuto capo nella branca dei lupetti” e la Garante Infanzia e Adolescenza della Regione Lazio, Monica Sansoni che, con il centro antiviolenza per minori vittime di violenza, aveva accolto, ascoltato ed orientato le famiglie alla denuncia. A sottolineare la gravità ed i plurimi reati delle condotte contenute nei capi di imputazione si sono anche costituite la associazioni di tutela dei minori “Insieme a Marianna” Aps, per la promozione e il contrasto della violenza su donne e minori, e “No Child Abuse”, costituita da ragazzi e loro famiglie vittime di abusi.
Ad ogni modo, secondo la perizia psicologica del consulente della difesa, Di Pinto, avendo subito la mancata accettazione del suo orientamento sessuale da parte dei genitori, avrebbe sviluppato il bisogno di accettazione in altri contesti percepiti come “meno minacciosi”, sviluppando un senso di vulnerabilità e un bisogno di protezione. Quest’ultimo aspetto avrebbe così prodotto il “fingersi una ragazza per evitare il giudizio“, ossia lo stesso comportamento con cui ha turlupinato alcuni dei giovani lupetti, spacciandosi con nomi del tipo “Aurora” e facendosi inviare immagini osé per poi ricattarli.
Secondo la perizia psicologia, la mancanza di accettazione dei genitori ha reso Di Pinto fragile. Lo stesso indagato ha dichiarato di essere stato bersaglio di bullismo. Le esperienze di umiliazione vissute avrebbero fatto in modo che il 19enne si rifugiasse nell’ambiente digitale. Tuttavia, la scelta di spacciarsi per ragazza e ricattare dei ragazzini, viene vista dalla psicologa come “una profonda vulnerabilità emotiva“. Inoltre, secondo la psicologa, fingersi una ragazza attraverso profili social “non era orientato a causare danni, ma rappresentava una modalità di sopravvivenza emotiva, un tentativo di soddisfare bisogni relazionali e di accettazione che il Di Pinto non era in grado di ottenere attraverso relazioni autentiche“.
Il comportamento contestato dagli inquirenti, tra cui l’estorsione, è visto come “un tentativo di colmare un vuoto emotivo”. “Con loro – ha detto il 19enne – mi sentivo più sicuro. Mi davano attenzione che non trovavo altrove“. E sui fatti contestati, Di Pinto ammette di non capire quanto fossero gravi.
Secondo la psicologa il comportamento di Di Pinto non fa emergere “elementi che indichino una premeditazione consapevole o un intento lesivo, bensì un quadro caratterizzato da vulnerabilità psicologica significativa“.
In sostanza, secondo la valutazione psicologica fornita dalla consulente della difesa, Di Pinto, non essendo accettato e non accettando in buona misura il suo orientamento sessuale, avrebbe finto di essere una ragazza, con tutti i risvolti penali del caso specifico, ma senza essere consapevole di arrecare danno. Conclusioni che hanno provocato la reazione delle famiglie dei ragazzini vittime dei suoi comportamenti. La sua è una personalità “borderline con tratti ossessivi”, sebbene la consulenza non faccia alcun cenno a una sua incapacità di intendere e volere.
Sul lato del giudizio abbreviato a cui va incontro Di Pinto, il Gup romano Gerardi ha rinviato l’udienza preliminare al prossimo 4 giugno 2025. In quella data, dovrebbe arrivare la sentenza con il rito abbreviato in cui è compresa la consulenza psicologica.
Tra il materiale per la decisione del giudice, come noto, ci saranno anche gli incidenti probatori di 3 ragazzi, oltreché alle chat con l’imputato, le foto acquisite dallo stesso e l’ingente materiale pedopornografico costituito da 292 filmati.
A luglio scorso, l’assistente capo scout di Terracina è stato iscritto nel registro degli indagati, accusato di gravi reati legati a presunti abusi su minori. L’associazione coinvolta conta circa 140 bambini tra i suoi frequentatori abituali. Le attività estive dell’organizzazione furono interrotte dalla decisione dell’Agesci, generando preoccupazione tra le famiglie coinvolte. “Cari genitori, il parroco e la comunità Capi comunicano – aveva scritto l’Agesci ai genitori – che per motivi imprevisti e imprevedibili tutte le attività e i campi estivi sono sospesi”.
La Procura di Roma considera, come detto, quattro le persone offese dai reati che avrebbe commesso Di Pinto: si tratta di due ragazzi di 16 anni, un ragazzo di 12 anni e un bambino di 10 anni.
Si va dalla pornografia minorile agli atti persecutori fino al reato di estorsione ai danni di un sedicenne. L’accusa più grave è quella della violenza sessuale aggravata ai danni del bambino di dieci anni, all’epoca degli abusi di appena 9 anni. I fatti ricadono giugno 2024. Di Pinto, che svolgeva il ruolo di aiuto capo dei lupetti del gruppo scout a Terracina, avrebbe invitato il bambino a fermarsi con lui nei locali della parrocchia. Rimasti da soli, con la scusa di aggiustargli i pantaloni, il 19enne avrebbe infilato le mani negli slip del bambino palpeggiandogli i genitali. Una circostanza resa ancora più grave, secondo la Procura, perché Di Pinto l’avrebbe commessa esercitando la sua autorità.
L’intera vicenda ha origine da un ricatto tramite social media, che ha coinvolto i due minorenni di 12 e 16 anni manipolati attraverso un profilo fasullo su Instagram. Il 19enne assistente capo scout, secondo l’accusa, ha agito dietro le quinte, utilizzando il profilo falso, spacciandosi per una certa “Aurora” di 17 anni e chiedendo immagini compromettenti ai giovani, per poi minacciarli di diffonderle se non avessero pagato una somma in denaro. L’intervento della Polizia Postale di Latina ha portato, a luglio, al sequestro dei dispositivi e all’avvio di un’approfondita inchiesta.
In un caso Di Pinto chiedeva al sedicenne di mostrargli il pene nelle immagini, poi lo contattava tramite Whastapp chiedendogli un video che lo ritraesse mentre si masturbava. Non solo: intimava al ragazzo, minacciando di rovinarlo nel caso contrario, di chiedere ai suoi amici altre immagini dello stesso tipo, come se fosse interessato a produrre materiale pedopornografico. Tra i reati contestati a Di Pinto, infatti, c’è quello di detenzione o accesso a materiale pornografico: sul suo cellulare sono stati trovati dalla Polizia Postale ben 292 filmati a carattere pedopornografico. Uno spaccato che può far pensare a una rete pedofila e al bisogno impellente non solo di detenere sempre più materiale.
Il ragazzo di sedici anni a cui Di Pinto chiedeva le immagini e i video pedopornografici veniva minacciato: se non avesse prodotto il materiale, l’aiuto capo scout, con le false sembianze di “Aurora”, avrebbe fatto vedere i video e le immagini già inviate, che lo ritravano mentre si masturbava, a genitori, parenti e amici. Episodi di stalking andati avanti per quasi un anno dal 2023 fino al giugno 2024. E in una circostanza, sempre lo stesso sedicenne fu costretto a pagare “Aurora” 55 euro che furono consegnati materialmente a Di Pinto.
Non solo ambienti di Chiesa e dell’area scout. In un caso, Di Pinto avrebbe contattato, tramite Instagram, sempre attraverso il falso nome di “Aurora”, anche un altro ragazzo di sedici anni, ora parte offesa, che non ha nulla a che vedere con quell’area di frequentazione. Al giovane le stesse richieste di materiale pedopornografico, con il 16enne nudo e in pose erotiche. Il ricatto era il medesimo: o produci altro materiale, o mostro quello che già ho a parenti e amici. Una volta arrestato ad agosto, Di Pinto si è avvalso della facoltà di non rispondere.
La parrocchia frequentata dal giovane indagato è quella della Chiesa San Domenico Savio di Terracina, la stessa frequentata in passato da Alessandro Frateschi, l’ex insegnante di religione condannato per violenza sessuale su cinque minori. L’indagine è partita dalla denuncia di due genitori che hanno sentito piangere il loro ragazzo adolescente, vittima del ricatto dell’assistente capo scout.