Satnam Singh, Antonello Lovato, tramite i suoi legali, ha presentato ricorso al Riesame per ottenere la scarcerazione
Antonello Lovato, l’uomo di 38 anni accusato di omicidio volontario con dolo eventuale del 31enne indiano Satnam Singh, ha presentato presso il Tribunale del Riesame di Roma il ricorso per la revoca o la sostituzione della misura cautelare in carcere, dove si trova tuttora ristretto. A presentare il ricorso, la cui discussione non è stata ancora fissata, sono stati i suoi avvocati difensori Mario Antinucci e Stefano Perotti.
Secondo la difesa, non sussistono i requisiti per l’ordinanza di misura cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Giuseppe Molfese: né pericolo di fuga, né reiterazione del reato, né possibilità di inquinare le prove a suo carico.
Lo scorso 2 luglio, i militari della Compagnia Carabinieri di Latina, guidati dal Maggiore Paolo Perrone, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del 38enne di Latina, Antonello Lovato, accusato dell’omicidio doloso del 31enne di nazionalità indiana, Satnam Singh. Il 31enne è diventato simbolo del malcostume del caporalato e il suo nome, dopo la sua morte, è finito all’attenzione di tutti i giornali e telegiornali nazionali e internazionali. L’arresto di Lovato è stato disposto dal giudice per le indagini preliminari del Trobunale di Latina, Giuseppe Molfese, dopo la richiesta pervenuta dal sostituto procuratore di Latina, Marina Marra, lo scorso 25 giugno.
Come noto, “Navi”, così chiamato da amici e conoscenti, era venuto in Italia nel 2016. Dopo aver ottenuto il primo permesso di soggiorno, era diventato, a scadenza del lasciapassare, un vero e proprio invisibile come tanti extracomunitari sfruttati nei campi dell’agro pontino e oltre. Feritosi, lo scorso 17 giugno, con la macchina avvolgi-plastica per i meloni nell’azienda della ditta individuale di Antonello Lovato a Borgo Santa Maria, il 31enne lavoratore in nero è stato caricato su un furgone dal medesimo Lovato, suo datore di lavoro, e trasportato con la moglie via dall’azienda.
Dopo sette chilometri, senza essere portato in ospedale, “Navi” è stato abbandonato con la moglie in Via Genova davanti alla casa dove era ospitato da una coppia di italiani. Copiosa la perdita di sangue dal braccio mutilato e dalle gambe in condizioni gravissime, Navi è morto due giorni dopo in un letto dell’ospedale San Camillo di Roma dove era stato elitrasportato.
Al momento, il 38enne Lovato, è indagato per i reati omicidio doloso e per diverse violazioni del decreto legislativo 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Secondo il sostituto procuratore di Latina, Marina Marra – che ha chiesto la misura cautelare in carcere al Gip Giuseppe Molfese che l’ha condivisa – Lovato, “con plurime condotte”, ha causato con colpa, violando le norme di sicurezza sul lavoro, il ferimento di Satnam Singh, 31enne indiano irregolare e privo di permesso di soggiorno. Dopo l’arresto, nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia avvenuto in carcere, Lovato si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al Gip Molfese e al Pm Marra.
Secondo l’accusa, “Navi” era addetto a manovrare l’attrezzo “avvolgitelo”, senza protezione, tanto da rimanere impigliato e trascinato. In questo modo, il 31enne ha subito l’amputazione totale del braccio destro e altre gravi lesioni. Lovato, trovandosi nel posto, aveva l’obbligo di prestare immediata assistenza all’uomo e, invece, ha omesso di chiamare i soccorsi e ha posto in essere “una sequela di azioni volte all’occultamento di quanto accaduto”. Lovato peraltro ha caricato a bordo del suo furgone Satnam, che perdeva molto sangue, riponendo il braccio amputato in una cassetta per gli ortaggi.
Secondo i tecnici esperti dell’Asl di Latina che sono intervenuti insieme alle forze dell’ordine, Lovato, in quel terribile 17 giugno, si trovava alla guida del mezzo agricolo. La premessa è che “Navi” e la moglie Soni, tutti e due irregolari, ma sempre al lavoro sui campi, avevano altra mansione, cioè quella di raccogliere ortaggi. Solo che quel pomeriggio, il 31enne indiano, secondo i tecnici del “servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro”, avrebbe cambiato mansione e si sarebbe avvicinato troppo agli organi in movimento dell’avvolgi telo. “Si deduce – sostiene l’Asl nell’ordinanza di arresto di Lovato – che il Singh sia rimasto impigliato e poi trascinato nell’attrezzatura, probabilmente a causa della manica della camicia”. Una circostanza fatale perché “la rotazione ha avvolto gli abiti di Singh attorno all’attrezzatura, creando un effetto simile a una corda”, tanto che il corpo e il braccio destro di Singh è ruotato più volte intorno all’attrezzo “avvolgitelo”.
È la stessa moglie di Singh Satnam a confermare la vicenda agli inquirenti. “Quando è successo l’incidente a mio marito, il trattore stava fermo. Antonello stava seduto sul trattore e mentre l’avvolgi-plastica era in funzione, Antonello dava indicazioni a mio marito delle operazioni che avrebbe dovuto svolgere. All’improvviso ho udito Antonello urlare e nel medesimo istante ho visto mio marito riverso a terra accovacciato su se stesso vicino al macchinario”.
Secondo gli inquirenti, Lovato ha mentito, fornendo una versione non veritiera dell’incidente. “Mi sono allontanato a circa 5 metri dal trattore per dire alla moglie che era ora di staccare perché erano le 16. In quel momento – ha detto Lovato – Singh ha preso un telo e lo ha agganciato all’attrezzo avvolgitelo senza che io gli avessi detto di farlo, si è agganciato all’avvolgitelo, forse con un guanto ed è stato tirato verso il macchinario rimanendo incastrato, agganciato con la camicia”.
Il problema ulteriore per Lovato è che Singh era in nero e l’attrezzo, inoltre, risulta privo di qualsiasi certificazione di conformità, senza contare che per funzionare avrebbe dovuto essere collegato al trattore. Non c’era inoltre nessun dispositivo d protezione individuale previsto per i lavoratori, ecco perché la condotta di Lovato, per gli inquirenti, risulta causa del ferimento: nessuna sicurezza sul lavoro sarebbe l’antefatto per l’incidente di Singh.
Dopo l’amputazione del braccio, la moglie chiedeva a Lovato di chiamare i soccorsi invano. Dopodiché il 38enne di Borgo Santa Maria ha preso un furgone bianco, caricando dentro la moglie disperata e il marito per poi accompagnarli in Via Genova, tra Borgo Bainsizza e Cisterna (località Castelverde). Nonostante le altre richieste da parte della moglie per condurre Singh in ospedale, Lovato ha tirato dritto verso Via Genova dove “Antonello – ha spiegato agli inquirenti, Soni – ha preso mio marito per riporlo a terra avanti alla nostra abitazione”.
E ancora, dopo averli lasciati senza soccorsi, “Antonello è tornato al furgone per prendere il braccio amputato di mio marito che ha riposto all’interno delle cassette che c’erano nel furgone, all’ingresso del nostro civico, nei pressi del cancelletto vicino ai contenitori della spazzatura”.
Al che Lovato, secondo la testimonianza dell’uomo che ospitava Soni e “Navi”, Ilario Pepe, “iniziava a correre verso la strada”, per poi salire sul furgone, “proprio con l’intenzione di scappare”.
Secondo il Gip Molfese è “agghiacciante il ritrovamento della mano” all’interno della cassettina fatta di plastica nera, tipica di quelle per la frutta; “Del resto del braccio – ha spiegato Pepe agli inquirenti – non ve ne era traccia”. Una circostanza confermata anche da un altro vicino.
Fatto sta che il Gip è sicuro: “dai primi accertamenti medico legali acquisiti, il decesso è causalmente collegato all’infortunio subito, nonché alla successiva omissione posta in essere dall’indagato”. È la stessa medico legale, nominata dalla Procura, Maria Cristina Setacci, a ribadire che “l’amputazione estremamente evidente…rendeva indispensabile nella immediatezza dell’evento traumatico un trasporto immediato-urgente-indifferibile al Pronto Soccorso”. Non solo perché “il soccorso immediato non soltanto consente di tentare una ricostruzione dell’arto ma soprattutto di salvare la vita al soggetto che ha riportato l’amputazione”. Infine, la chiosa finale e decisiva: “Un accesso immediato in un pronto soccorso – scrive il medico legale Setacci – e un trattamento in urgenza della gravissima lesione dell’arto superiore destro avrebbero consentito con i criteri probabilistici necessari di salvare la vita di Singh Satnam“.
Ecco perché, secondo il Gip, “la condotta omissiva dell’indagato acquisisce unica rilevanza causale nel decesso della persona offesa”. Insomma, Satnam Singh poteva essere salvato e Lovato avrebbe messo in conto il probabile decesso, accettando il rischio. Il 38enne, oggi arrestato, non solo fugge via con il furgone ma, per l’accusa, pulisce il sangue all’interno del mezzo, successivamente sequestrato dai Carabinieri.
Voleva celare quanto accaduto, di questo sono convinti la Procura di Latina e il Gip del Tribunale perché Lovato sapeva che Singh si trovava in Italia da irregolare e che lavorava in azienda a Borgo Santa Maria fuori da ogni regola di sicurezza. La condotta di Lovato viene quindi considerata dolosa e “omicidiaria” e definita “disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà”. Inoltre, Lovato ha parlato di condizione di choc, tentando di giustificare i motivi per cui ha ripulito il furgone dal sangue di Singh. Invece, per il Gip di Latina, “il comportamento è apparso lucido e teso a dissimulare quanto accaduto, a tutti i costi”. Peraltro, il 38enne, secondo la testimonianza di un altro bracciante, intimava agli altri lavoratori di stare in silenzio su quanto verificatosi: “Faceva il gesto del dito davanti la bocca, come per dirci di stare zitti“.
Il giudice per le indagini preliminari motiva la carcerazione di Antonello Lovato col fatto che le indagini sono ancora in corso e il 38enne potrebbe intimidire i lavoratori stranieri, già di per sé assoggettati e condizionarne la genuinità delle affermazioni. Sono infatti ancora in essere gli accertamenti sulla condizione dei lavoratori stranieri all’interno dell’azienda nella quale – sottolinea il Gip – c’è la possibilità che “accadimenti”, come quello di Singh, “possano ancora realizzarsi e, per l’effetto, l’indole manifestata dall’indagato impone di evidenziare che non si asterrebbe se si presentasse effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie”.