Una Piazza della Libertà piena di nuovo dopo quella di sabato organizzata da Flai Cgil: oggi la comunità indiana insieme a Cisl e Uil. Ma non mancano le tensioni
Un popolo, quello indiano, che si è riunito partecipando al corteo che oggi, 25 giugno, è partito dalle autolinee di Latina. A predisporre tutto l’associazione Comunità indiana del Lazio per Satnam Singh, il bracciante trentunenne abbandonato davanti casa dal suo datore di lavoro – l’indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso Antonello Lovato – dopo aver perso il braccio destro in un incidente avvenuto nell’azienda agricola di Borgo Santa Maria.
Una pagina storica per la comunità indiana pontina che si è contata per rivendicare i propri diritti: “Produciamo ricchezza per il Paese, dobbiamo essere tutelati e viaggiare insieme agli italiani”, questo è uno dei messaggi lanciati dal palco allestito in Piazza della Libertà di fronte alla Prefettura di Latina. A partecipare oltre duemila persone, molte delle quali di nazionalità indiana: un grido di dolore che chiedeva dignità a un Paese che, spesso, li ospita come fantasmi, non regolarizzati, a nero, con la complicità di alcuni loro connazionali che si trasformano in caporali e diversi imprenditori italiani che sfruttano manodopera a basso costo, trattando i lavoratori come bestie, tanto da farli vivere in tuguri con paghe da fame. Il quadro è questo e lo conoscono tutti, sia in provincia di Latina, sia, ora, che il capoluogo pontino è oggetto delle attenzioni mediatiche dei maggiori canali “mainstrem” del Belpaese.
Alla manifestazione, si sono tenuti gli interventi dei rappresentanti della comunità indiana e dei sindacati. Presenti i sindacati Fai Cisl, Uila-Uil, Usb, oltre a decine di appartenenti alla comunità indiana arrivati da tutto il Lazio (Latina, Aprilia, Cisterna, Sabaudia e Terracina) e non solo. Presente anche la sindaca di Latina, Matilde Celentano, la quale, dopo aver subito diversi fischi nella manifestazione gemella e rivale dell’altro grande sindacato confederale, Cgil, oggi ha ricevuto gradimento.
“Saluto le comunità indiane presenti a questa grande manifestazione contro il caporalato e lo sfruttamento in agricoltura che ho voluto fortemente sostenere, insieme agli assessori, ai consiglieri comunali, e ai numerosissimi cittadini presenti in questa piazza. Ringrazio il presidente della Provincia, i sindaci del territorio e le loro amministrazioni comunali, che partecipano con convinzione e determinazione. Così come ringrazio le organizzazioni sindacali, in particolare la Fai-Cisl e la UilA, che hanno aderito a questa mobilitazione, al fianco della Comunità indiana del Lazio.
La morte di Satnam Singh ha profondamente toccato tutta la nostra comunità, perché sono stati lesi i diritti umani con azioni di crudeltà e violate le norme sulla sicurezza del lavoro. Il caporalato è una forma di schiavitù che non fa parte della nostra cultura, che non appartiene alla nostra città e alla nostra nazione. Intendiamo in ogni modo possibile impedire che domani ci sia un altro Satnam. Ma anche un’altra giovane donna come Soni, stravolta dal dolore e dalle atrocità subite dal marito. Non dimenticherò mai il suo sguardo perso nel vuoto. Una tragedia quella che l’ha colpita che non può lasciarci indifferenti. Una giovane donna privata del suo affetto più caro, lontana dalla famiglia. Per questo mi sono subito interessata affinché nell’immediatezza fosse seguita dai servizi sociali, richiedendo anche alla Asl un sostegno psicologico.
Soni mi ha espresso il desiderio di volere i genitori al suo fianco in questo momento così doloroso e con lei ho preso un impegno, ovvero che mi sarei attivata personalmente per far venire qui dall’India la madre e il padre. Per questa ragione, ieri mattina, ho preso contatti con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e con la Farnesina per verificare se ci fossero le condizioni per favorire l’ingresso in Italia dei genitori della ragazza. E’ arrivata la buona notizia: la Farnesina si è attivata per il rilascio dei visti per la madre e la sorella di Soni per le quali è previsto un incontro nella sede diplomatica di New Delhi per organizzare il viaggio. Allo stesso tempo mi sono interessata affinché la giovane donna avesse nel nostro Paese una tutela legale, necessaria perché nessuno possa approfittarsi della sua fragilità, in questo momento particolare. Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Latina, l’avvocato Giovanni Lauretti, da me contattato, si è reso disponibile a fornirle l’assistenza legale di cui necessita.
Per quanto riguarda il lutto cittadino preannunciato: confermo che ci sarà. Siamo in attesa di capire quali saranno le modalità con cui si svolgerà il rito funebre e le relative tempistiche per intervenire con un’apposita ordinanza che interpreterà il sentimento dell’intera città. La morte di Satnam ha toccato tutti noi e quello che possiamo e dobbiamo fare perché tutto ciò non accada mai più è un lavoro di squadra che non deve avere un colore politico. Il Comune di Latina ha dato un buon esempio, approvando all’unanimità un ordine del giorno finalizzato a promuovere la costituzione di parte civile nel futuro processo contro l’imprenditore attualmente indagato. Ci riserveremo, qualora sussistano i presupposti, di costituirci parte civile – come Comune – anche in altri procedimenti giudiziari per caporalato. Contro il caporalato e anche contro le morti sul lavoro – in questa provincia in una settimana ci sono state tre vittime – serve una rete istituzionale, una sinergia tra associazioni e sindacati. Soltanto così possiamo abbattere il muro dell’illegalità, che non rappresenta tutte le aziende ma che alimenta un’economia malata e che trova terreno fertile nella disperazione di chi viene da lontano e che finisce preda dello sfruttamento.
Oggi siamo tutti qui, per fare proposte e per ascoltare. La mobilitazione contro il caporalato e per la sicurezza sul lavoro deve seguire il principio della partecipazione, a riprova che non servono gli steccati politici. Mi rivolgo anche alle organizzazioni sindacali che da anni assistono i lavoratori immigrati: la nostra porta è sempre aperta. Sconfiggere il caporalato è una guerra di civiltà. E le guerre di civiltà si vincono tutti uniti, perché nessuno può farcela da solo”.
Ma nella piazza dei sindacati, che ha dimostrato come gli stessi riescono a dividersi anche di fronte a una tragedia come quella di Satnam Singh, non sono mancate le testimonianze da far tremare le vene ai polsi. Su tutte quella di un testimone dell’incidente di Satnam, il connazionale Taranjeet Singh: “Abbiamo chiesto a Lovato di chiamare i soccorsi, ma lui diceva che era morto. Ho sentito le urla del datore di lavoro e di Satnam: sono corso e l’ho visto incastrato sotto il macchinario senza un braccio. Tutti chiedevamo al datore di lavoro di chiamare i soccorsi ma non c’era verso, perché diceva che era morto. Non c’era più nulla da fare”. Questo testimone lavorava presso i Lovato senza contratto, irregolare, come Satnam e la moglie Soni la quale, peraltro, dopo il permesso di soggiorno verrà assistita dall’avvocato e Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Latina, Gianni Lauretti, in ottica costituzione di parte civile.
E non è mancata neanche la polemica interna alla manifestazione. Il sindacato USB, insieme a Potere al Popolo, Cambiare Rotta e OSA, ha lasciato la piazza in protesta in contemporanea con gli interventi dei segretari CISL e UIL: “Noi siamo venuti perché la comunità indiana ha chiamato a questa manifestazione tutti quanti. Adesso stiamo andando via perché le cose che sentiamo dire dai segretari dei sindacati, che tra l’altro noi sappiamo complici con le organizzazioni padronali, è inascoltabile”.
A dare fastidio “l’invito ai lavoratori indiani a imparare l’italiano. Qua bisogna insegnare ai nostri politici al rispetto di regole che garantiscano i diritti a tutti. La loro complicità oggi è disgustosa”.
A partecipare anche il Presidente della Provincia Gerardo Stefanelli. “Sono centinaia i lavoratori migranti ed italiani che sostengono la produzione agroalimentare della nostra Provincia, che solo ora ci appare pervasa dalla piaga dello sfruttamento e dell’illegalità, mentre il caporalato esiste latente sotto gli occhi di tutti. Nel 2015 era stato denunciato da migliaia di braccianti indiani proprio qui, dove oggi oltre a loro, sono riunite anche le istituzioni in segno di cordoglio e di denuncia ferrea ad una realtà che non può più essere accettata.
Indubbiamente, la morte di Satnam ha scatenato l’indignazione pubblica, portando anche oggi centinaia di persone in piazza che vogliono denunciare un trattamento così disumano. L’escalation di violenza e brutalità dall’omissione di soccorso, dal sequestro dei telefoni fino all’orrore del braccio nascosto in cassetta per poi essere abbandonato sono alcuni dei dettagli più crudi di una storia di sopraffazione, di mancata umanità e di assenza di garanzia e diritti che fa di Satnam Singh il simbolo di tanti morti silenziosi.
Da questa piazza si leva la lotta allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato, con il dramma di una popolazione che si sente dimenticata perché qualcosa, ancora una volta, nelle istituzioni non ha funzionato da quel 2016, quando per la prima volta venne circoscritto il caporalato con la legge 199. Una legge che per la prima volta equiparò il caporale e utilizzatore della manodopera sfruttata, parlando di lesioni gravi della dignità umana e introducendo un sistema sanzionatorio e misure cautelari per le aziende che si macchiavano di questo crimine.
Da quel protocollo sperimentale contro il caporalato sono mancati strumenti a rafforzamento delle procedure di contrasto, l’intensificazione dei controlli e una rete di supporto per i flussi migranti, abbandonati a se stessi e penalizzati da una politica di odio che ci ha fatto perdere di vista la componente umana. È necessario dare un segnale chiaro verso una cultura diffusa che intende ancora il lavoro come sopraffazione e sfruttamento e non come strumento di rivendicazione della propria dignità. Servono politiche assistenziali ai migranti che arrivano nei nostri territori e una stretta decisa contro lo sfruttamento e il caporalato, fatta di controlli stringenti, pene certe e la scrittura di una nuova cultura del lavoro migrante, fatta di diritti, tutele e sicurezza”.