SATNAM SINGH: AL PROCESSO PREVISTI OLTRE 30 TESTIMONI TRA ACCUSA E DIFESA

Satnam Singh, il processo che contesta l’omicidio doloso ad Antonello Lovato è atteso per il prossimo 1 aprile

C’è attesa per l’inizio del processo per omicidio con dolo eventuale a carico di Antonello Lovato, il 39enne di Latina accusato di aver ucciso con il suo comportamento il 31enne bracciante indiano Satnam Singh. Qualche giorno fa, il giallo delle telecamere vietate dal Presidente del Tribunale di Latina e dal Presidente della sezione penale. Al momento, da ciò che trapela né la difesa di Lovato, rappresentata dagli avvocati Mario Antinucci e Stefano Perotti, né dalle parti civili già annunciate, hanno detto no alla possibilità che i media riprendano un processo che attira l’attenzione dell’informazione locale, nazionale e oltre.

Il processo, il cui dibattimento inizierà il prossimo martedì 1 aprile, alle ore, davanti alla Corte d’Assise, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere il collega Mario La Rosa, con tanto di giuria popolare, promette di essere sin da subito molto complesso. Previste le eccezioni delle difesa su diverse costituzioni di parte civile. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Barbara Cortegiano, ha stabilito in otto il numero delle persone offese tra cui due fratelli di Satnam Singh, il presidente della Comunità indiana del Lazio, Gurmukh SinghJasveer Kaur, tutti difesi dall’avvocato del foro di Santa Maria Capua Vetere, Giuseppe Versaci. Le altre persone offese indicate nel decreto dal Gip sono i sindacalisti Maurizio Landini della Cgil, Giovanni Mininni della Flai Cgil, Giuseppe Massafra della Cgil di Latina. I tre sindacalisti sono difesi dagli avvocati Simone Sabbattini, Antonio Valori e Andrea Ronchi. Indicata, naturalmente, come persona offesa anche la moglie del bracciante, Soni Soni, la 27enne difesa dall’avvocato del foro di Latina, Gianni Lauretti. A fare richiesta di essere parte civile saranno anche i Comuni di Cisterna e Latina, oltreché ad altre associazioni di cui al momento non si conosce l’identità.

Ma le eccezioni della difesa potrebbero essere ancor di più e l’apertura del processo potrà dire sin da subito il clima in cui si svolgerà un dibattimento senza dubbio non facile per la portata del fatto che ha individuato in Satnam il simbolo dello sfruttamento del caporalato pontino. Al momento i testimoni indicati dal pubblico ministero Marina Marra, che ha coordinato le indagini dei Carabineri, sono ventidue. Solo alla prima udienza sono previsti sei testimoni tra i miliari dell’Arma che hanno proceduto a investigare sul caso. Dieci, invece, i testimoni indicati dalla difesa.

Antonello Lovato è tuttora detenuto in carcere per via dell’ordinanza di custodia cautelare redatta dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina. Dapprincipio nel carcere di Latina dove era guardato a vista dagli agenti di polizia penitenziaria in ragione di possibili tentativi di vendetta da parte di appartenenti alla comunità indiana ristretti in carcere, Lovato, anche nel carcere di Frosinone, dove si trova recluso, è in regime di sorveglianza a vista. Nessuno, infatti, nel carcere ciociaro, ha ritenuto che il detenuto possa essere fuori da qualche rischio. Chi lo ha visto, parla di un uomo distrutto, alle prese con il fatto che gli ha cambiato la vita.

Il bracciante indiano è diventato simbolo del malcostume del caporalato e il suo nome, dopo la sua morte, è finito all’attenzione di tutti i giornali e telegiornali nazionali e internazionali. L’arresto di Lovato è stato disposto dal giudice per le indagini preliminari del Trobunale di Latina, Giuseppe Molfese, lo scorso 2 luglio, dopo la richiesta pervenuta dal sostituto procuratore di Latina, Marina Marra, il 25 giugno.

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Come noto, “Navi”, come era chiamato Satnam da amici e conoscenti, era venuto in Italia nel 2016. Dopo aver ottenuto il primo permesso di soggiorno, era diventato, a scadenza del lasciapassare, un vero e proprio invisibile come tanti extracomunitari sfruttati nei campi dell’agro pontino e oltre. Feritosi lo scorso 17 giugno, con la macchina avvolgi-plastica per i meloni nell’azienda della ditta individuale di Antonello Lovato a Borgo Santa Maria, il 31enne lavoratore in nero è stato caricato su un furgone dal medesimo Lovato, suo datore di lavoro, e trasportato con la moglie via dall’azienda.

Dopo sette chilometri, senza essere portato in ospedale, “Navi” è stato abbandonato con la moglie in Via Genova, a Castelverde (già comune di Cisterna) davanti alla casa dove era ospitato da una coppia di italiani. Copiosa la perdita di sangue dal braccio mutilato e dalle gambe in condizioni gravissime, Navi è morto due giorni dopo in un letto dell’ospedale San Camillo di Roma dove era stato elitrasportato.

Lovato è imputato per i reati omicidio doloso e per diverse violazioni del decreto legislativo 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Secondo il sostituto procuratore di Latina, Marina Marra – che ha chiesto la misura cautelare in carcere al Gip Giuseppe Molfese che l’ha condivisa – Lovato, “con plurime condotte”, ha causato con colpa, violando le norme di sicurezza sul lavoro, il ferimento di Satnam Singh, 31enne indiano irregolare e privo di permesso di soggiorno.

Secondo l’accusa, “Navi” era addetto a manovrare l’attrezzo “avvolgitelo”, senza protezione, tanto da rimanere impigliato e trascinato. In questo modo, il 31enne ha subito l’amputazione totale del braccio destro e altre gravi lesioni. Lovato, trovandosi nel posto, aveva l’obbligo di prestare immediata assistenza all’uomo e, invece, ha omesso di chiamare i soccorsi e ha posto in essere “una sequela di azioni volte all’occultamento di quanto accaduto”. Lovato peraltro ha caricato a bordo del suo furgone Satnam, che perdeva molto sangue, riponendo il braccio amputato in una cassetta per gli ortaggi.

A parere dei tecnici esperti dell’Asl di Latina che sono intervenuti insieme alle forze dell’ordine, Lovato, in quel terribile 17 giugno, si trovava alla guida del mezzo agricolo. La premessa è che “Navi” e la moglie Soni, tutti e due irregolari, ma sempre al lavoro sui campi, avevano altra mansione, cioè quella di raccogliere ortaggi. Solo che quel pomeriggio, il 31enne indiano, secondo i tecnici del “servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro”, avrebbe cambiato mansione e si sarebbe avvicinato troppo agli organi in movimento dell’avvolgi telo. “Si deduce – sostiene l’Asl nell’ordinanza di arresto di Lovato – che il Singh sia rimasto impigliato e poi trascinato nell’attrezzatura, probabilmente a causa della manica della camicia”. Una circostanza fatale perché “la rotazione ha avvolto gli abiti di Singh attorno all’attrezzatura, creando un effetto simile a una corda”, tanto che il corpo e il braccio destro di Singh è ruotato più volte intorno all’attrezzo “avvolgitelo”.

È la stessa moglie (ascoltata in seguito anche nel corso di un incidente probatorio) di Singh Satnam a confermare la vicenda agli inquirenti. “Quando è successo l’incidente a mio marito, il trattore stava fermo. Antonello stava seduto sul trattore e mentre l’avvolgi-plastica era in funzione, Antonello dava indicazioni a mio marito delle operazioni che avrebbe dovuto svolgere. All’improvviso ho udito Antonello urlare e nel medesimo istante ho visto mio marito riverso a terra accovacciato su se stesso vicino al macchinario”.

Secondo gli inquirenti, Lovato ha mentito, fornendo una versione non veritiera dell’incidente. “Mi sono allontanato a circa 5 metri dal trattore per dire alla moglie che era ora di staccare perché erano le 16. In quel momento – ha detto Lovato – Singh ha preso un telo e lo ha agganciato all’attrezzo avvolgitelo senza che io gli avessi detto di farlo, si è agganciato all’avvolgitelo, forse con un guanto ed è stato tirato verso il macchinario rimanendo incastrato, agganciato con la camicia”.

Il problema ulteriore per Lovato è che Singh era in nero e l’attrezzo, inoltre, risulta privo di qualsiasi certificazione di conformità, senza contare che per funzionare avrebbe dovuto essere collegato al trattore. Non c’era inoltre nessun dispositivo d protezione individuale previsto per i lavoratori, ecco perché la condotta di Lovato, per gli inquirenti, risulta causa del ferimento: nessuna sicurezza sul lavoro sarebbe l’antefatto per l’incidente di Singh.

Dopo l’amputazione del braccio, la moglie chiedeva a Lovato di chiamare i soccorsi invano. Dopodiché il 38enne di Borgo Santa Maria ha preso un furgone bianco, caricando dentro la moglie disperata e il marito per poi accompagnarli in Via Genova, tra Borgo Bainsizza e Cisterna. Nonostante le altre richieste da parte della moglie per condurre Singh in ospedale, Lovato ha tirato dritto verso Via Genova dove “Antonello – ha spiegato agli inquirenti, Soni – ha preso mio marito per riporlo a terra avanti alla nostra abitazione”.

Al che Lovato, secondo la testimonianza dell’uomo che ospitava Soni e “Navi”, Ilario Pepe, “iniziava a correre verso la strada”, per poi salire sul furgone, “proprio con l’intenzione di scappare”. Secondo il Gip Molfese è “agghiacciante il ritrovamento della mano” all’interno della cassettina fatta di plastica nera, tipica di quelle per la frutta; “Del resto del braccio – ha spiegato Pepe agli inquirenti – non ve ne era traccia”. Una circostanza confermata anche da un altro vicino.

Fatto sta che il Gip è sicuro: “dai primi accertamenti medico legali acquisiti, il decesso è causalmente collegato all’infortunio subito, nonché alla successiva omissione posta in essere dall’indagato”. È la stessa medico legale, nominata dalla Procura, Maria Cristina Setacci, a ribadire che “l’amputazione estremamente evidente…rendeva indispensabile nella immediatezza dell’evento traumatico un trasporto immediato-urgente-indifferibile al Pronto Soccorso”. Non solo perché “il soccorso immediato non soltanto consente di tentare una ricostruzione dell’arto ma soprattutto di salvare la vita al soggetto che ha riportato l’amputazione”. Infine, la chiosa finale e decisiva: “Un accesso immediato in un pronto soccorso – scrive il medico legale Setacci – e un trattamento in urgenza della gravissima lesione dell’arto superiore destro avrebbero consentito con i criteri probabilistici necessari di salvare la vita di Singh Satnam“.

Ecco perché, secondo il Gip, “la condotta omissiva dell’indagato acquisisce unica rilevanza causale nel decesso della persona offesa”. Insomma, Satnam Singh poteva essere salvato e Lovato avrebbe messo in conto il probabile decesso, accettando il rischio. Il 38enne, oggi arrestato, non solo fugge via con il furgone ma, per l’accusa, pulisce il sangue all’interno del mezzo, successivamente sequestrato dai Carabinieri.

Voleva celare quanto accaduto, di questo sono convinti la Procura di Latina e il Gip del Tribunale perché Lovato sapeva che Singh si trovava in Italia da irregolare e che lavorava in azienda a Borgo Santa Maria fuori da ogni regola di sicurezza. La condotta di Lovato viene quindi considerata dolosa e “omicidiaria” e definita “disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà”. Inoltre, Lovato ha parlato di condizione di choc, tentando di giustificare i motivi per cui ha ripulito il furgone dal sangue di Singh. Invece, per il Gip di Latina, “il comportamento è apparso lucido e teso a dissimulare quanto accaduto, a tutti i costi”. Peraltro, il 38enne, secondo la testimonianza di un altro bracciante, intimava agli altri lavoratori di stare in silenzio su quanto verificatosi: “Faceva il gesto del dito davanti la bocca, come per dirci di stare zitti“.

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