ROGO LOAS, PROSEGUE IL PROCESSO: FOCUS SULLE AUTORIZZAZIONI DELLA PROVINCIA

Maxi-rogo alla Loas di Aprilia: riprende il processo che vede sul banco degli imputati i vertici dell’azienda di Via della Cooperazione

Una nuova udienza davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Paolo Romano, per il processo a carico di Antonio Martino e Liberato Ciervo in qualità di soci della Loas Italia srl e dell’allora legale rappresentante Alberto Barnabei. Ai tre imputati il Pubblico Ministero Andrea D’Angeli contesta sei capi d’accusa: incendio colposo e vari reati ambientali in ordine alla gestione dei rifiuti e allo smaltimento delle acque reflue. 

Il processo, come noto, scaturisce dall’indagine, portata avanti dal Procuratore aggiunto Carlo Lasperanza e dal medesimo sostituto procuratore Andrea D’Angeli, che fece emergere una quantità dei rifiuti in surplus presenti all’interno dell’area della Loas in Via della Cooperazione al momento del devastante incendio che ha praticamente carbonizzato due dei tre capannoni dell’azienda. Una tesi che gli imputati, difesi dall’avvocato Fabrizio D’Amico, avevano respinto già in udienza preliminare, avvalendosi anche dei pareri favorevoli degli Enti preposti a controllare (tra i quali, soprattutto, la Provincia di Latina, il Comune di Aprilia e la Regione Lazio) arrivati anche poco prima che il 9 agosto 2020 scoppiasse uno degli incendi più impattanti degli ultimi anni nella provincia di Latina e non solo.

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Nel corso della scorsa udienza, tenutasi ad aprile, era stata messa in luce dalla difesa la contraddizione della Scia revocata dai Vigili del Fuoco nel giugno 2019. Successivamente, nel luglio dello stesso anno, come aveva ricordato l’avvocato D’Amico, la Provincia concesse alla Loas l’autorizzazione all’ampliamento per lavorare rifiuti speciali e pericolosi, inviata per conoscenza a tutti gli enti preposti al controllo e mai contestata.

E proprio di autorizzazioni e reale stato dei luoghi del centro rifiuti di Via della Cooperazione si è parlato oggi con altri due testimoni dell’accusa: si tratta di due Carabinieri del Noe, nucleo operativo ecologico di Latina, che hanno partecipato alle indagini subito dopo il rogo dell’agosto di ormai quattro anni fa, quando si era, per intenderci, in piena pandemia.

Il pubblico ministero, peraltro, ha depositato anche un vecchio procedimento penale del 2015, finito con assoluzione, finalizzato a rappresentare lo stato dei luoghi della Loas anni prima dell’incendio: già all’epoca – è la tesi dell’accusa – la situazione non sarebbe stata in regola, prodromo al devastante incendio del 2020.

In particolare uno dei Carabinieri del Noe, che ha svolto il lavoro di verifica sulle autorizzazioni dell’impianto, ha spiegato di come si premurò di contattare l’ingegnere Antonio Nardone, all’epoca dirigente del servizio Ambiente alla Provincia di Latina. L’ente di Via Costa fu interpellata per verificare cosa fosse stato autorizzato e come in realtà risultava l’area al momento dell’incendio. Il militare dell’Arma ha ribadito, ad ogni modo, come già spiegato da precedenti testimoni escussi a febbraio, tra i rappresentanti dei Vigili del Fuoco, che i cavi dell’alta tensione erano stati tranciati e sotto furono trovati stoccati diversi rifiuti che, da prescrizione dell’autorizzazione, non potevano trovarsi lì. “La provincia dapprincipio ci rispose con alcuni elaborati, ma sul posto ho capito che non corrispondevano alcune cose”.

Il processo, che è stato rinviato al prossimo 14 ottobre 2024, riprenderà con la testimonianza dei Carabinieri Forestali. Cruciale, ma in altra udienza da fissare, sarà anche l’escussione del consulente tecnico che ha redatto una relazione in cui viene spiegata la causa dell’incendio. Parti civili nel processo sono il Comune e la Provincia di Latina, ma non il Comune di Aprilia.

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Al momento, pesa come un macigno sugli imputati ciò che venne scritto nel 2021 dalla Commissione Ecomafie del Parlamento italiano. Le indagini condotte unitamente all’ausilio dei Carabinieri del Norm di Aprilia, dei Carabinieri Forestali del NIPAAF di Latina e dei Carabinieri NOE di Roma – si leggeva nella relazione approvata il 4 agosto 2021, a un anno dal disastro – hanno consentito di appurare: a) la natura dolosa dell’incendio che si è sviluppato all’interno dell’area, su cui insiste l’impianto di smaltimento e recupero rifiuti speciali non pericolosi gestito dalla LOAS Italia S.r.l.: incendio per cui è stato iscritto autonomo procedimento penale (il n. 2211/21 R.G. notizie di reato mod. 44) nell’ambito del quale è stata formulata richiesta di archiviazione perché le indagini anche di natura tecnica non hanno consentito, allo stato, di individuare l’autore (o gli autori) del gesto criminale; b) una compromissione o comunque un deterioramento significativo e misurabile dell’aria consistito nella accertata presenza di diossine, furani e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) in valori superiori a quelli medi individuati dall’OMS (diossine e furani) e a quelli annuali previsti dal d.lgs. n. 155/2010 (gli IPA), anche nelle zone limitrofe all’area interessata dall’incendio appiccato dolosamente da persone rimaste ignote (come riportato nei rapporti di ARPA Lazio – Servizio Qualità dell’aria e monitoraggio degli agenti fisici; c) alcune criticità nella comunicazione e nel raccordo tra enti/autorità competenti in ordine al monitoraggio e/o controllo delle autorizzazioni, delle prescrizioni via via impartite e delle reali condizioni del sito con particolare riferimento allo stoccaggio e alla gestione dei rifiuti, anche al fine dell’adozione dei provvedimenti di sospensione o revoca delle autorizzazioni concesse”.

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