Pusher del quartiere Nicolosi condannato con l’accusa di atti persecutori nei confronti di una donna nel capoluogo di provincia
Era stato fermato a dicembre del 2022 nella maxi operazione anti-droga della Polizia di Stato che aveva portato a numerosi arresti nel quartiere Nicolosi. Successivamente, il 41enne tunisino, Hamed Belhadj, aveva subito il processo dove era stato condannato insieme ad altri imputati, tutti originari del nord Africa, i quali avevano monopolizzato lo spaccio nello storico quartiere Nicolosi di Latina. Condanne che, in seguito, erano state ridotte in Appello.
Il 41enne doveva oggi, 7 luglio, difendersi dall’accusa di stalking per cui era stato arrestato nei mesi scorsi. A febbraio, il giudice per l’udienza preliminare aveva accolto la richiesta di giudicarlo col rito abbreviato condizionato all’ascolto della parte offesa, ossia la donna che, secondo l’accusa rappresentata dal pubblico ministero Valentina Giammaria, era stata vittima dei comportamenti dell’uomo.
La donna sarebbe stata completamente subissata di messaggi e telefonate, fino a 30 al giorno, nel corso dei quali il 41enne l’avrebbe offesa con epiteti quali “puttana, bastarda, pezza di merda”. Non solo stalking perché l’uomo era accusato di averla minacciata di morte tramite un coltello e alcuni pesi da palestra e di essere passato alle vie di fatto con percosse. Comportamenti che hanno provocato nella donna paura per la sua stessa incolumità.
Peraltro, l’uomo, che si trova in carcere per altra ragione, avrebbe eluso la misura cautelare per recarsi presso l’abitazione della donna perseguitata. Un vero calvario per la vittima, coetanea dell’uomo, che sarebbe durata per due anni, dal 2022 fino al 2024 quando il 41enne era stato arrestato.
Oggi, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario, ha condannato alla pena di 3 anni di reclusione il 41enne tunisino.
È la stessa donna ad aver detto agli inquirenti che ad agosto 2022 era caduta nella trappola dell’uomo, assecondando le sue richieste e consentendogli di venire a vivere a casa sua. Nel corso della convivenza, le aggressioni sarebbero state all’ordine del giorno. La donna era spesso colpita nell’interno coscia e, come ha riferito nella denuncia, era letteralmente terrorizzata dalle azioni del compagno violento: “Ricordo l’espressione cattiva del suo volto – aveva detto la donna ascoltata dagli inquirenti – il grigno dei suoi denti e la lingua arrotolata nella gengiva e l’espressione nei suoi occhi. Anche in queste occasioni ripeteva sempre che mi avrebbe mandata al cimitero con mia madre e poi mi denigrava con testuali parole: “Pu…na di sette persone”.