RAPINA A MANO ARMATA DA “TRECCIONI”: ASSOLTO PELUSO

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Rapina a mano armata presso la gelateria di Latina “Treccioni”: si è concluso il processo in Corte d’Appello a carico di Carlo Peluso

La terza sezione penale della Corte d’Appello di Roma, presieduta dal giudice Roberta Palmisano, ha assolto il 44enne di Latina, Carlo Peluso, difeso dall’avvocato Sandro Marcheselli, dall’accusa di rapina a mano armata presso la nota gelateria del capoluogo pontino “Treccioni”. I giudici di secondo grado hanno condannato Peluso per il solo capo d’imputazione della ricettazione, in quanto Peluso è accusato di aver detenuto il motorino rubato – un Sh Honda – con cui era stata commessa la rapina a settembre 2023.

Il procuratore generale della Corte d’Appello aveva chiesto la conferma della condanna a 8 anni di reclusione per Peluso che, oggi, dopo l’arringa difensiva del legale difensore Marcheselli, che ha impugnato al sentenza di primo grado, è stato assolto e scarcerato.

Il processo in primo grado si era concluso a settembre 2024 il processo a carico del 43enne Carlo Peluso, circa un anno dopo dalla rapina, avvenuta il 4 settembre 2023. Peluso era accusato di averla commessa insieme al complice Paolo Coppola (50 anni), processato e condannato in primo grado lo scorso gennaio alla pena di oltre 8 anni di reclusione.

Entrambi di Latina e noti alle forze dell’ordine per svariati precedenti (Coppola peraltro è stato destinatario della misura della sorveglianza speciale) sono stati processati separatamente. Peluso è stato processato col giudizio immediato, mentre Coppola è stato giudicato col rito ordinario dal primo collegio del Tribunale di Latina.

In primo grado, a Latina, al termine di una camera di consiglio durata poco più di un’ora, il II collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici Nadile-Villani-Romano aveva emesso la sentenza di condanna: 8 anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici, oltreché a 1600 euro di multa. Peluso era stato condannato per il reato principale, vale a dire la rapina aggravata, e per quello di furto del motorino con cui si sarebbe recato in gelateria per realizzare la rapina. Assolto, invece, per il possesso dell’arma con cui erano state minacciate le dipendenti del locale e la ricettazione, derivante dal furto del secondo motorino trovato dai poliziotti durante la perquisizione. In secondo grado, invece, l’uomo è stato condannato solo per ricettazione: 1 anno di reclusione.

Nel corso del processo presso il Tribunale di Latina, il pubblico ministero Valerio De Luca aveva chiesto per Peluso la pena di 10 anni di reclusione e 3mila euro di multa. Secondo il pubblico ministero, c’erano indizi che facevano ritenere colpevole Peluso oltre ogni ragionevole dubbio, come i capi di vestiario rinvenuti nella casa di Paolo Coppola, nella quale i poliziotti, all’atto della perquisizione, trovarono anche Carlo Peluso. E, soprattutto, i due caschi e i due motorini – un Honda Sh e uno Scarabeo – entrambi rubati. È con l’Sh che i due avrebbero compiuto la rapina.

Una ricostruzione, quella del Pm, completamente rigettata dall’avvocato difensore Marcheselli che aveva spiegato di come il processo concluso fosse di tipo indiziario, senza alcun quadro probatorio solido. Il legale, nel chiedere l’assoluzione piena del 44enne, aveva evidenziato che il casco ritrovato, e individuato dai poliziotti come quello utilizzato per compiere la rapina, non poteva dirsi essere lo stesso indossato dai due banditi per fare la rapina. Ed era in dubbio, secondo l’avvocato, anche il riconoscimento effettuato da uno dei poliziotti nei confronti di Peluso. Il 43enne, infatti, era stato individuato per il modo di camminare e come impugnava la pistola con la mano sinistra, anche in ragione di un vecchio processo celebrato anni fa che vedeva tra gli imputati il Peluso stesso. Né, secondo il legale, era nitida l’immagine immortalata dalle telecamere di video-sorveglianza: anche in questo caso, niente avrebbe detto che a commettere la rapina fosse stato Peluso, per di più non risultando nessun testimone. Peluso e Coppola, secondo l’arringa dell’avvocato, erano tossicodipendenti ed erano incapaci di intendere e volere anche nel momento della perquisizione avvenuta in una zona popolare di Latina, ad alto tasso di criminalità (le case cosiddette “Arlecchino”). Insomma, secondo l’avvocato, Peluso era un tossicodipendente, bisognosa di cure, che non avrebbe mai potuto portare a termine una rapina a mano armata. Una tesi accolta dalla Corte d’Appello.

A maggio 2024, durante la prima udienza del processo, l’agente di Polizia, che aveva partecipato alle indagini e all’arresto di Coppola e Peluso, aveva spiegato di come erano state svolte le indagini tramite l’ausilio delle immagini della video-sorveglianza privata di un locale del Palazzo di Vetro, dove si trova l’esercizio commerciale rapinato. Dalle immagini, si vedeva con evidenza che una dipendente della gelateria e l’addetta alle pulizie vennero raggiunte e minacciate da uno dei rapinatori sceso dal motorino guidato dal complice. Dopodiché scattarono le perquisizioni a carico di Coppola il quale, secondo la Polizia di Stato, aveva partecipato alla rapina, così come Peluso riconosciuto dal modo di camminare e impugnare con la mano sinistra l’arma, che, però, non era stata mai trovata.

Ad essere trovati i due motorini, entrambi rubati, che sarebbero stati utilizzati per l’atto criminale e per fuggire. Quando i poliziotti andarono nell’appartamento di Coppola, trovarono invece Peluso che non aprì la porta di casa e che, al contrario, da quanto riferito dal poliziotto, avrebbe fatto finta di dormire. Nel soggiorno di casa, i poliziotti trovarono i caschi, identici a quelli con cui i due uomini avevano travisato i loro volti nel corso della rapina.

Dopo l’arresto, davanti al giudice per le indagini preliminari, Mario La Rosa, Paolo Coppola Carlo Peluso, assistiti dagli avvocati Moreno Gullì, Sandro Marcheselli e Valentina Sartori, avevano deciso di rispondere negando tutti gli addebiti. Peluso aveva ammesso di aver rubato lo scooter con cui era stata consumata la rapina e che poi era stato ritrovato in Viale Nervi, nel complesso dei Palazzoni, negando di aver compiuto la rapina.

I due uomini furono arrestati dalla Polizia di Stato che li teneva d’occhio da quando era stato commessa l’azione criminale. Entrambi aveva precedenti penali per rapine e dei furti aggravati.

Al momento della rapina, erano presenti nel locale le due donne (dipendenti del locale), rimaste evidentemente scioccate da ciò che era capitato. Una di loro, chiamata a testimoniare nel corso del processo, non aveva potuto riconoscere i rapinatori, dal momento che entrambi indossavano il casco. L’irruzione dei due banditi fu veloce e violenta: arrivati con uno scooter mentre il locale stava per chiudere e minacciate le due donne, i due soggetti fuggirono immediatamente una volta ricevuti i soldi, circa 3mila euro. Il locale, come noto, si trova in Via Pierluigi Nervi, nel complesso del cosiddetto Palazzo di Vetro, più volte finito al centro della cronaca per violenza, prostituzione e anche rapine.

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