PORTO DI LIVORNO: CENTRO DI NARCOTRAFFICO TRA ‘NDRANGHETA, CAMORRA E IL CLAN CIARELLI

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Porto di Livorno

Il Porto di Livorno snodo principale del narcotraffico italiano: a comandare è la ‘ndrangheta, ma ad aver fatto affari anche il Clan Ciarelli

A dirlo, in un report presentato il 18 gennaio scorso, è la Fondazione Antonino Caponnetto, intitolata al magistrato che ebbe l’idea di creare il pool Antimafia con Falcone e Borsellino a Palermo.

Il porto di Livorno è, secondo Renato Scalia della Fondazione Caponnetto, “zona rossa per quanto concerne la mafia”. Il report si chiama “Livorno e Val di Cornia 2021” ed è il prodotto del lavoro di studio e analisi dell’Osservatorio mediterraneo sulla criminalità organizzata e le mafie, redatto dallo stesso Scalia e dal presidente della Fondazione Salvatore Calleri.

Al centro dell’analisi lo scalo di Livorno, diventato da anni un punto di riferimento dei clan di ‘ndrangheta e camorra per il traffico di cocaina e rifiuti. Sebbene si sia sottovalutato molto il peso del porto toscano, dal momento che appena 4 anni fa, la relazione della DIA (luglio-dicembre 2017) lo relegava in una minuscola nota a piè di pagina. “Nel caso specifico del narcotraffico – si legge in quella relazione – il porto di Livorno potrebbe costituire un importante punto di arrivo sul territorio nazionale di carichi di stupefacenti”.

Ne è passata di acqua sotto i porti se si comparano le due relazioni, anche se va detto che i report della Direzione Investigativa Antimafia (dal 2018 ad oggi) hanno invece coretto il tiro e dato risalto al ruolo sempre più centrale dello scalo labronico.

Siamo al momento più buio da trent’anni in materia di antimafia. La mafia è fuori dall’agenda politica e mediatica nazionale. Si va avanti a luoghi comuni. Il primo, tanto caro a queste organizzazioni criminali, è lasciare il loro contrasto solo a forze dell’ordine e magistratura – ha dichiarato Calleri – Queste organizzazioni hanno un tesoro da 3mila miliardi di euro all’estero. Se fossimo in un Paese normale avremmo sguinzagliato i servizi segreti per trovarli e con quei fondi avremmo risanato tutto. Invece niente”. Tutto giusto se non fosse che, qui nella provincia di Latina, recentemente sono stati proprio i servizi segreti, secondo le ultime indagini della DDA romana e della Procura di Latina (Dirty Glass, ma anche Alba Pontina), ad aver favorito in circostanze poco chiare alcuni interessi poco leciti e molto opachi.

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Renato Scalia, ex ispettore della Direzione investigativa antimafia (Dia) e curatore del capitolo del report dedicato al porto di Livorno, ha sottolineato che lo scalo è diventato, quindi, “base logistica” per i clan legati al traffico di cocaina e rifiuti speciali. A fare da padrona la ‘ndrangheta: “Negli ultimi 10 anni – ha spiegato – le forze di polizia coordinate dalla magistratura hanno realizzato al porto di Livorno 15 sequestri di cocaina, per un quantitativo complessivo di quasi 7 tonnellate”. Nell’agosto 2015, come ricorda ilfattoquotidiano.it che commenta il report della Fondazione Caponnetto, un’operazione portò addirittura al sequestro in Colombia di 8 tonnellate di cocaina già pronte per il traffico internazionale.

In dieci anni di sequestri, le forze di polizia italiane hanno quindi fermato nel solo porto di Livorno cocaina per circa 270 milioni di valore all’ingrosso e più di mezzo miliardo di euro di possibile incasso per chi voleva commerciarla nelle piazze di spaccio.

I clan colpiti da questa azione coordinata dalla magistratura sono stati i Piromalli-Molè, Mancuso, Alvaro, Crea, Bellocco, Paviglianiti, Fiarè, Pitto-Prostamo-Iannello per la ‘ndrangheta. E ancora, i sodalizi camorristi dei Gionta, Birra Iacomino, FabbrocinoCasalesi. Infine, ultimo arrivato ma non per questo meno agguerrito, il Clan Ciarelli di Latina il cui reggente Luigi Ciarelli è stato condannato a 12 anni in primo grado proprio dal Tribunale di Livorno per un carico di cocaina da ben 84 chili.

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Luigi Ciarelli e altri due uomini noti nella mala pontina e laziale, Benito Aversano di Aprilia e Claudio Pitolli di Anzio, furono arrestati nel luglio 2018 con l’operazione White Iron che vide il sequestro, presso lo scalo portuale di Livorno, dell’ingente carico di cocaina destinata ad alimentare le piazze di spaccio del Lazio.

La base utilizzata per stoccare la cocaina era, come spesso accade nelle rotte degli stupefacenti latinensi, Aprilia che, per morfologia e collocazione geografica, è l’ideale per fermare la droga quando arriva da giri più lontani.

Nelle intercettazioni dell’inchiesta “Alba Pontina”, Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, Renato Pugliese e Agostino Riccardo sostengono di far parte di una famiglia (i Di Silvio) contrapposta ai calabresi e ai Ciarelli. Come noto, almeno fino agli arresti del 2018 che colpirono Armando “Lallà” Di Silvio e i figli, l’ala dei Di Silvio di Via Muzio Scevola non vedeva di buon occhio i Ciarelli. Anzi, i figli di Lallà progettavano persino di far fuori Luigi Ciarelli e di farla pagare al figlio Marco Ciarelli.

Ora, è probabile che gli equilibri siano cambiati. In una delle ultime udienze del processo Alba Pontina che si celebra presso il Tribunale di Latina, a domanda posta nei confronti del boss Lallà se conoscesse Carmine Ciarelli, detto Porchettone, vero leader del Clan di Pantanaccio, Armando Di Silvio ha risposto di sì con una certa dose di rispetto: è zingaro come me, anche se di etnia diversa.

Tuttavia, per tornare al porto di Livorno, risulta difficile che un clan come quello dei Ciarelli abbia potuto utilizzare l’hub del narcotraffico del centro Italia senza il lasciapassare delle consorterie più forti d’Italia come quelle calabre. Quell’arresto di Luigi fiaccò la famiglia Ciarelli ma è probabile che gli abbia restituito un peso criminale ancora più forte, soprattutto nei quadri criminali del capoluogo pontino.

Dei Di Silvio si sa tutto, come le recenti operazioni evidenziano, dei Ciarelli e di almeno un’altra organizzazione su Latina, che si fa forte dei legami con cosche calabre, si sa ancora poco.

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