Maltrattata e picchiata più volte, una donna di 30 anni ritratta e viene condannata per falsa testimonianza
Tra lui accusato di maltrattamenti in famiglia contro la ex compagna e quest’ultima che, prima denuncia i presunti comportamenti violenti e poi li ritratta, il Tribunale di Latina ha creduto alla versione dell’uomo. Nessun maltrattamento messo in atto dal 33enne Carmine Di Silvio, difeso dall’avvocato Ernesto Renzi, mentre una condanna a 1 anno e 4 mesi nei confronti della trentenne Shara Grifo, assistita dall’avvocato Valentina Varrone.
È questo l’esito del processo che ha visto la sua conclusione oggi, 27 settembre, quando il III collegio del Tribunale di Latina della terna di giudici La Rosa-Sergio-Romano ha emesso la sua sentenza. Per Carmine Di Silvio una condanna a 6 mesi per la violazione del divieto di avvicinamento, una misura che gli era stata applicata dall’autorità giudiziaria quando la compagna aveva sporto denuncia.
Prima del verdetto, il pubblico ministero Marina Marra aveva svolto la sua requisitoria, chiedendo la condanna per entrambi: per Carmine Di Silvio detto “Belvo” 4 anni e 6 mesi in ordine al reato di maltrattamenti e violazione della misura cautelare; 2 anni per falsa testimonianza (e per aver violato anche lei la misura cautelare, consentendo al compagno di stare in casa da lei) in capo a Shara Grifo.
I due, peraltro, sono recentemente balzati agli onori della cronaca perché le loro dichiarazioni hanno dato una mano ai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina per sgominare l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga che si muoveva tra Campo Boario e Nicolosi. Si tratta dell’operazione “Nico” che ha portato agli arresti del terzo ramo della famiglia Di Silvio, quella il cui capo-sodalizio è Ferdinando Di Silvio detto “Macciò” e che comprende il noto Antonio Di Silvio detto “Cavallo”, padre dell’imputato odierno.
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Shara Grifo è stata condannata per falsa testimonianza in quanto, nel corso dell’incidente probatorio dell’udienza preliminare che ha preceduto il rinvio a giudizio, secondo la Procura di Latina ha mentito e ritrattato i comportamenti violenti subiti dall’ex compagno.
Tutti e due, peraltro, sono finiti all’attenzione della cronaca anche per un’altra vicenda piuttosto nota: una casa del Nicolosi occupata e liberata dopo dodici anni dall’azione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina, guidati dal tenente colonnello Antonio De Lise. Di pochi giorni fa, invece, il rinvio a giudizio per entrambi: accusati di aver picchiato e rapinato una parente dell’uomo.
Tornando al processo odierno, sia la donna che l’uomo dovevano rispondere anche della violazione del divieto di avvicinamento poiché, dopo i fatti di maltrattamenti risalenti al 2021, Di Silvio fu trovato in casa della donna nel corso di un controllo della Squadra Mobile di Latina. A testimoniarlo, in una precedente udienza, un agente di polizia che materialmente trovò l’uomo nella casa all’interno del noto quartiere di Latina, “Nicolosi”. È la stessa abitazione che fu poi sgomberata dai militari dell’Arma dei Carabinieri.
Ma se per Di Silvio è arrivata la condanna a 6 mesi per questo specifico episodio, per Grifo, invece, è stata stabilita l’assoluzione in quanto non ha commesso il fatto.
Come testimone, in una passata udienza, era stata ascoltata anche un’altra donna la quale, all’epoca dei fatti, viveva al Nicolosi con l’ex compagno. Fu lei ad offrire ospitalità alla 30enne vittima, avendola vista girovagare nel quartiere popolare a un’ora tarda. La donna, per solidarietà, chiese cosa fosse capitato e la vittima le raccontò di essere stata rinchiusa in casa dal compagno che l’aveva privata anche dal telefono. Terrorizzata, la donna aveva preso i suoi bambini ed era andata via, senza meta. La testimone – che poi, su richiesta dei poliziotti che presero la denuncia quella stessa sera, ospitò la donna – ha raccontato di aver avuto confidenze dalla vittima riguardo a diverse violenze. Eppure, come sottolinea l’avvocato Renzi nella sua arringa odierna, anche la stessa testimone, in sede di interrogatorio, non aveva mai parlato di botte, bensì di un litigio.
Alla fine, la condanna più pesante è arrivata per la 30enne: una falsa testimonianza che, come aveva evidenziato il pubblico ministero Marco Giancristofaro, nella scorsa udienza di giugno, era maturata in quanto Grifo, prima di ritrattare, avrebbe confermato, nelle fasi di indagine, per ben quattro volte, la versione dei maltrattamenti.