Arrestato per atti persecutori nei confronti della ex moglie, viene portato nel carcere di Rebibbia e picchiato: è deceduto Francesco Valeriano
È morto ieri, 11 dicembre, Francesco Valeriano, l’uomo di 45 anni massacrato di botte in carcere da ignoti lo scorso giugno. Il quarantacinquenne era detenuto nel carcere di Rebibbia e stava scontando una pena di due anni e mezzo. Originario di Formia, era arrivato nel penitenziario romano da circa un mese e mezzo dopo un periodo detentivo nell’istituto di Cassino.
L’uomo, di professione cameriere e tossicodipendente, nella scorsa primavera è stato arrestato dalle forze dell’ordine e portato nel carcere di Cassino dove è rimasto per circa un mese e mezzo. Dopodiché, avviene il trasferimento nel carcere romano di Rebibbia. Passano poco più di due settimane e l’uomo viene pestato brutalmente, tanto da finire in coma. A denunciare l’accaduto è la sorella del 45enne che spiega di essere stata avvertita dai medici del Policlinico. La diagnosi del 45enne non lascia dubbi ed è una realtà atroce: lesioni al cervello, oltreché ad essere sottoposto a una tracheotomia.
Da mesi sarebbe stato trasferito, da ospedale in ospedale. Dopo un periodo in una struttura privata di Monte Compatri, sabato scorso è stato portato in condizioni gravi al policlinico di Tor Vergata. Ieri mattina, Francesco Valeriano, conosciuto da tutti a Formia come “Fracichiello”, è morto.
Le indagini sul caso sono state avviate per chiarire chi possa aver aggredito il quarantacinquenne o anche se ci siano state sviste o omissioni da parte di chi avrebbe dovuto vigilare. I famigliari dell’uomo sono assistiti dall’avvocato Antony Lavigna.
Sul caso è intervenuto anche l’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria: “Con la morte di Francesco Valeriano, la vicenda non si chiude: si aggrava. Una vita umana persa in carcere è una sconfitta per tutti. La morte di un detenuto in conseguenza di un’aggressione rappresenta una sconfitta dello Stato e del sistema penitenziario nel suo complesso. Un uomo può essere detenuto per reati anche gravi, può avere fragilità personali e dipendenze, ma la pena detentiva non comprende, né può mai comprendere, il rischio di essere massacrato e morire in un letto di ospedale dopo mesi di agonia”.
Come organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, l’Osapp chiede che siano chiamati in causa “non solo gli autori materiali dell’aggressione, che dovranno essere individuati e giudicati, ma anche quelle responsabilità di sistema che da anni il sindacato denuncia: politiche penitenziarie che ignorano i segnali di allarme; istituti sovraccarichi di detenuti problematici, senza adeguate risorse; personale ridotto all’osso e lasciato solo a “tenere insieme” strutture che si reggono su un equilibrio precario”.
