PERMESSO E CONDONO NEGATI DAL COMUNE: TAR DÀ RAGIONE AL PRIVATO

Comune di Sperlonga
Sede del Comune di Sperlonga

Permesso a costruire annullato dal Comune di Sperlonga: l’ente perde la causa al Tribunale amministrativo di Latina

Una causa amministrativa che dà ragione al privato e torto all’ente comunale in riferimento a un provvedimento di annullamento del permesso a costruire di un immobile. Si tratta di un ricorso presentato da un privato cittadino, difeso dagli avvocati Francesco e Giovanni Di Ciollo, contro il Comune sperlongano, assistito dall’avvocato Marco Tomassi.

Nei giorni scorsi, il Tar di Latina, presieduto dal giudice Ines Simona Immacolata Pisano – estensore della sentenza il collega Massimiliano Scalise – ha dato ragione al cittadino che chiedeva l’annullamento del provvedimento del Comune di Sperlonga, datato novembre 2024, con cui sono stati annullati il permesso di costruire in sanatoria e il permesso di costruire, già rilasciati in favore del ricorrente.

Un annullamento esercitato dall’ente comunale in autotutela. Il Comune aveva così annullato il permesso a costruire, concesso in favore del ricorrente dal Comune stesso in sede di riesame del rigetto della sua domanda di condono edilizio.

Il cittadino voleva usufruire, infatti, della sanatoria dell’immobile edificato sul suo terreno, a Sperlonga, e composto dal piano seminterrato per una superficie abitativa di 100 metri quadrati, nonché dal locale deposito per attrezzi agricoli e cantina per una superficie di 47,30 metri quadrati.

La domanda era stata rigettata con ordinanza comunale, in quanto le opere risultavano realizzate dopo il 31 dicembre 2023 (data utile per fruire del condono). Inoltre il ricorrente chiedeva anche di far valere il permesso a costruire relativo ad opere di riqualificazione mediante demolizione e ricostruzione del predetto fabbricato.

L’annullamento è stato disposto dal Comune per la mancata dimostrazione, da parte del ricorrente, dell’epoca di ultimazione dei lavori entro la data del 31 dicembre 1993, requisito indispensabile per poter beneficiare del condono del 1994. La sussistenza di tale requisito sarebbe stata ulteriormente esclusa da un’ortofoto dell’Istituto Geografico Militare (di seguito “IGM”) del 19 novembre 2024 acquisita dal Comune in sede istruttoria. La foto avrebbe dimostrato l’inesistenza, al 6 marzo 1994, delle opere edilizie oggetto della domanda di condono. Ecco perché furono annullati i due permessi: quello in sanatoria del 2021 e quello del 2023.

Diversi i motivi di doglianza presentati dagli avvocati Di Ciollo. Il Comune di Sperlonga si sarebbe basato sulle medesime argomentazioni in precedenza superate alla luce dell’adozione del provvedimento di riesame recante il permesso in sanatoria annullato; avrebbe acquisito l’ortofoto dell’IGM, su cui ha basato le determinazioni impugnate, senza porla nel fuoco del contraddittorio; avrebbe erroneamente basato il proprio convincimento su detta ortofoto, che tuttavia sarebbe opaca e avrebbe una risoluzione non adeguata, tenuto conto dello stato dei luoghi; sarebbe, per contro, stata illegittimamente utilizzata una foto allegata all’originaria domanda di condono, in tesi comprovante il carattere risalente del manufatto abusivo.

In tale contesto, ai fini della valutazione dei giudici amministrativi, è entrato di diritto anche la dichiarazione resa dal Comandante dei Carabinieri d Sperlonga, a novembre 2020. I militari dell’Arma, infatti, avevano compiuto nell’ottobre 1994 un sopralluogo sul terreno del ricorrente da cui era emersa l’effettuazione di lavori abusivi. Il rilievo aveva dato causa al provvedimento comunale di sospensione dei lavori e poi all’ordinanza di demolizione di quanto abusivamente edificato. Il Comandante, a specifica richiesta del Comune, aveva puntualizzato che i lavori abusivi riscontrati nel corso del sopralluogo hanno riguardato verosimilmente il completamento del piano superiore dell’edificio del ricorrente e – per conseguenza ovvia – non hanno interessato il seminterrato e l’annesso locale deposito, ossia proprio gli interventi oggetto della domanda di condono oggetto del riesame positivo.

“Appare evidente – ragiona il Tar nella sentenza – che il provvedimento impugnato sia stato occasionato non già, come erroneamente affermato dal Comune, dalla falsità o dalla contrarietà al vero dell’affermazione del ricorrente sul requisito per fruire del condono bensì da un vero e proprio ripensamento del Comune stesso circa la sua attendibilità e, in generale, circa l’attendibilità del quadro istruttorio già positivamente scrutinato in sede di riesame. Tale ripensamento, tuttavia, è avvenuto a distanza di circa tre anni, senza che il ritardo del Comune sia stato determinato da nuove o ulteriori reticenze od opacità nella condotta del ricorrente o dalla difficile riconoscibilità dell’inattendibilità delle dichiarazioni stesse o anche solo dalla complessità dell’istruttoria”.

Secondo i giudici amministrativi “l’adozione dell’atto impugnato sia stata determinata non già dalla falsità e dalla contrarietà al vero della dichiarazione rilasciata dal ricorrente sulla data di realizzazione delle opere oggetto di sanatoria bensì dal tardivo ripensamento del Comune sull’attendibilità del quadro probatorio posto a base del titolo in sanatoria caducato”.

Il Tar spiega che “l’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo richieda necessariamente un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto ed attuale, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela dell’Amministrazione, entro un termine ragionevole, non essendo, pure nella materia edilizia, sufficiente l’intento di operare un mero astratto ripristino della legalità violata”.

Inoltre, “nel caso all’esame la motivazione dell’atto impugnato si è diffusa nella descrizione della causa dell’illegittimità e si è limitata ad evocare la teoria dell’interesse pubblico; nella medesima motivazione, dunque, non sono stati enucleati l’interesse pubblico specifico all’annullamento e l’interesse del ricorrente, particolarmente evidente visto il lasso di tempo trascorso dal conseguimento del titolo in sanatoria, né tanto meno detti interessi sono stati posti in comparazione fra di loro”.

Il Tar, inoltre, si è pronunciato anche sulle espressioni ritenute offensive o sconvenienti dal Comune negli scritti difensivi del ricorrente. Anche su questo punto, i giudici hanno dato ragione al ricorrente, pur richiamando lo stesso a un linguaggio più consono: “le espressioni – oggettivamente talvolta non appropriate- utilizzate dalla difesa del ricorrente all’interno del ricorso possono essere interpretate come una modalità di attività giudiziale comunque rientrante nell’esercizio del diritto di difesa, essendo funzionalizzata l’enfatizzazione di alcune modalità operative e comportamentali del funzionario preposto al procedimento che ha condotto all’atto impugnato al precipuo obiettivo di meglio lumeggiare i profili di illegittimità che hanno afflitto quest’ultimo”.






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