Beccato nel carcere di Rebibbia con i cellulari: Costantino Di Silvio detto “Patatone” è tra i 41 indagati coinvolti nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia
Droga, cellulari, pizza e birre nel carcere di Rebibbia. Sono i beni introdotti illegalmente nel penitenziario di Roma e finiti nelle indagini del sostituto procuratore della DDA di Roma, Carlo Villani. Ad essere coinvolte 41 persone tra cui forze dell’ordine e un medico. I reati contestati alle persone che rischiano il processo sono quelli di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga, e corruzione.
I fatti, per lo più, risalgono al 2020. La fattispecie di corruzione riguarda il caso di un agente della polizia penitenziaria che in cambio di 300 euro avrebbe recapitato in carcere un pacco di droga. I detenuti coinvolti nell’attività sono accusati di aver usato cellulari all’interno della struttura. Infine, a un medico del carcere è contestata l’omessa denuncia per non avere comunicato all’autorità giudiziaria l’utilizzo del cellulare da parte di un detenuto, di cui era a conoscenza.
Tra i nomi coinvolti non può che risaltare quello di Costantino Di Silvio detto “Patatone”, il numero due del clan Di Silvio sponda Gionchetto, in carcere da illo tempore per scontare diverse condanne, tra cui, la più rilevante e significativa, quella per l’omicidio di Fabio Buonamano detto “Bistecca”, l’ex amico ucciso, con la collaborazione dello zio e boss Giuseppe Di Silvio detto Romolo, a gennaio 2010, all’inizio della guerra criminale pontina. Era il 26 gennaio di 14 anni fa, un giorno dopo che i clan Di Silvio e Ciarelli, uniti per l’occasione, avevano ucciso Massimiliano Moro.
Il figlio di Ferdinando “Il Bello” è stato ora coinvolto nell’inchiesta della DDA di Roma sullo scandalo di droga e telefonini che entravano nel carcere di Rebibbia. In particolare a “Patatone”, che non potrà uscire dal carcere almeno fino al 2035, è stato beccato dagli investigatori mentre utilizzava nel carcere tre telefonini. Secondo gli inquirenti, uno dei telefonini, tra l’ottobre e il dicembre 2020, fu venduto da “Patatone” a un detenuto, Maurizio Leoniello, alla cifra di 200 euro.
“Patatone” avrebbe utilizzato uno dei telefonini, quello poi venduto a Leoniello, per comunicare con l’esterno e con i famigliari. Di Silvio avrebbe ordinato a una donna, Cinzia Pisciottana, di compare il telefono cellulare e di consegnarlo a all’assistente capo coordinatore del corpo della Polizia Penitenziaria, Leonardo Pacini. Sarebbe stato quest’ultimo a introdurre il cellulare a Rebibbia a consegnarlo a “Patatone”.
Gli stessi tre – Pisciottana, Di Silvio e Pacini -, insieme al cognato di “Patatone”, Alessandro Di Stefano, e a uno degli affiliati dei Di Silvio, al momento sotto processo in una costola del processo “Scarface” a Latina, Domenico Renzi, sono accomunati dallo stesso capo di imputazione. Pacini, ovviamente, per aver venduto la sua funzione di pubblico ufficiale, poiché, secondo gli inquirenti, si è prodigato per soddisfare le richieste di “Patatone” il quale, tra l’agosto e il novembre del 2020, era detenuto nel reparto G8 di Rebibbia. A Di Silvio, inoltre, arrivavano da parte di Pisciottana, Di Stefano e Renzi, sempre con l’intermediazione della guardia carceraria Pacini, pacchi di cellullari, schede sim, cibo, medicinali, “pizzini” e altri beni non meglio specificati.
Da “Patatone”, la guardia carceraria avrebbe ricevuto promesse e denaro (o comunque altre utilità) che gli inquirenti non riescono a quantificare.
Uno spaccato molto grave e che dimostra il vincolo della famiglia Di Silvio che rimane anche dopo anni di carcere. Ad essere coinvolto, come detto, c’è Alessandro Di Stefano, cognato di “Patatone” in quanto marito della sorella, entrambi imputati, a Latina, per le villette abusive a Borgo San Michele.