PAPA LEONE XIV, L’OMELIA DEL VESCOVO PONTINO

“È importante collocarsi subito nell’ottica giusta, se vogliamo cogliere e vivere il senso proprio di questa celebrazione. Scorrendo i molti commenti e parole di augurio che sono stati indirizzati al nuovo Papa, possiamo notare come per lo più essi si fermano sulla figura del cardinale Prevost per sottolinearne l’una o l’altra qualità. Questo è pienamente legittimo, e del resto abbiamo bisogno di conoscere la persona che concretamente ha assunto la missione di nuovo pastore della Chiesa universale. Io stesso allora potrei testimoniare che ci troviamo di fronte a una persona mite e forte allo stesso tempo, e potrei ulteriormente arricchire l’elenco delle doti che la corredano. Ma noi non siamo qui per tenere un talk show o una conversazione da salotto; noi siamo convenuti in cattedrale per compiere un atto di fede, siamo qui per ringraziare e celebrare la bontà di Dio che continua a guidare la sua Chiesa donandole, per il tempo che abbiamo dinanzi, una nuova guida nella figura di papa Leone XIV. 

Ogni volta che avremo modo di vederlo, di ascoltarlo, di pregare per lui nella liturgia eucaristica o in altri momenti, dovremo avere cura di ricordarci che egli è il segno primo e per eccellenza che il Signore continua a guidare la sua Chiesa e non l’abbandona nemmeno in questi tempi, difficili non solo per la fede e per la Chiesa, ma anche per la società e per il mondo intero. 

Come è illuminante la pagina del profeta Isaia! Essa ci dice che anche il nuovo Papa è scelto da Dio a guidare la sua Chiesa non per le sue caratteristiche personali, ma perché Egli lo ha scelto e ha effuso su di lui il suo Spirito Santo. Da questo ha veramente inizio il nuovo ministero e in questo troviamo la nostra consolazione e la nostra sicurezza, perché la nostra fiducia non è posta in un uomo, ma attraverso di lui in Dio stesso. E allora sotto la sua guida procederemo veramente sicuri.

L’anno di grazia di cui parla ancora il profeta – e davvero questo anno giubilare si sta rivelando straordinario – è il tempo nel quale Dio ha deciso di agire portando liberazione e sollievo a tutti quelli che sono nella prova, a noi che sperimentiamo limiti di ogni genere, di natura materiale e di qualità spirituale, a motivo delle nostre fragilità e della lentezza nel rispondere alla chiamata del Signore su di noi. Il nuovo pontefice ci ha detto nel suo primo saluto che non dobbiamo avere paura, perché il Cristo risorto ci dona la sua pace e, sostenuti da essa, possiamo camminare insieme, mano nella mano con Dio e tra di noi, aiutandoci a costruire ponti tra di noi e con tutti attraverso l’incontro e il dialogo. 

Ci sentiamo profondamente incoraggiati nell’ascoltare parole come queste: «Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore». Dobbiamo sentire allo stesso tempo il santo orgoglio e la responsabilità di portare al mondo la luce di Cristo, senza paura e senza vergognarci di lui. Sappiamo infatti che solo lui, il Cristo risorto, può annunciare e portare, in un mondo lacerato da guerre e discordie, «una pace disarmata e una pace disarmante». Una pace che comincia con l’«accogliere […] con le braccia aperte tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della nostra presenza, del dialogo e dell’amore». 

Il vangelo ci parla di amore, amore di Gesù – e del Padre per Gesù – nel quale rimanere osservandone i comandamenti, così da condividere la gioia piena della comunione con Lui e tra di noi. Un amore di amicizia così piena da culminare nel dono della vita per gli amici. Non un amore da servi, che agiscono per paura o per interessi, ma un amore da prescelti, da prediletti del Padre e del prediletto per eccellenza che è Gesù stesso. 

Credo che il Papa abbia voluto trasmetterci, fin dalle sue prime parole, questa circolarità dell’amore e questo amore di predilezione dal quale per primo egli si è sempre sentito avvolto e ora in modo speciale nella chiamata al nuovo ministero di successore di Pietro. Lo ha fatto anche stamane nella prima celebrazione da Papa insieme ai cardinali nella Cappella Sistina, quando ha voluto indicare il centro di tutto ciò che si è compiuto in questi giorni per lui e per la Chiesa grazie a Gesù. Egli lo definisce «il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre», ma anche come «un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno».

Il Papa ha voluto sottolineare l’intreccio inestricabile tra il dono dell’amore di Dio e la nostra adesione ad esso con l’osservanza del comandamento dell’amore, e lo ha fatto accostando «il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano». Da qui egli comincia come pontefice, da Gesù, dalla Chiesa, dalla nostra risposta e adesione umana al dono di Dio, e questo per il bene di tutto il genere umano. Non rimaniamo chiusi in noi stessi o tra di noi, ma apriamoci al mondo come veri testimoni che non si accontentano di vedere in Gesù «una specie di leader carismatico o di superuomo», ma gli consegnano la loro vita e rimangono nel suo amore. 

Accogliere il mondo che ci è affidato così com’è, ma «farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui [Gesù], nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione»: è questa la missione che il Papa ci ricorda per rendere vivo il vangelo oggi. Mi piace chiudere citando ancora l’omelia di oggi di Leone XIV, che dice bene fino a qual punto il primato di Cristo arriva per chi comprende nella sua luce il ministero che ha avuto affidato, perfino il più alto. Con riferimento a sant’Ignazio di Antiochia e al suo desiderio di consumarsi totalmente per Cristo, egli ha detto: «un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo».

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