ORDIGNO NELLA CASERMA DEI CARABINIERI DI LATINA: NEGATO IL RISARCIMENTO AI FAMIGLIARI DI ANDREOLI

Bomba all’interno della caserma dei Carabinieri di Latina: a distanza di venti anni dei fatti, la Cassazione nega il risarcimento ai famigliari di Alberto Andreoli

Una vicenda che scosse la città di Latina ma che è rimasta misteriosa, poi dimenticata. A distanza di venti anni la storia di Alberto Andreoli, appuntato dei Carabinieri di 35 anni, morto all’interno della caserma di Latina a causa della deflagrazione di una bomba il 14 settembre 2005.

Una bomba a mano sicuramente non lanciata dall’esterno, ma invece introdotta nella caserma da qualcuno convinto che fosse inoffensiva. È quanto sosteneva il comunicato emesso nel tardo pomeriggio dall’allora procuratore aggiunto di Latina, Francesco Lazzaro, dopo che era stata annullata una conferenza stampa.

“La bomba – spiegava il magistrato – è probabilmente di fabbricazione russa, fatto questo che si evincerebbe dalla superficie liscia dell’involucro”. Gli accertamenti tecnici eseguiti dal Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Roma, in collaborazione con gli artificieri dell’Arma sui residui rinvenuti nell’ufficio in cui la bomba è esplosa e sul corpo della vittima – si affermava nella nota della Procura – farebbero escludere l’atto terroristico al 99%.

Le indagini su quella bomba non portarono a nulla, pur essendo state annunciate. Sul fronte del risarcimento civile, invece, i famigliari hanno dato battaglia contro i due ministeri dell’Interno e della Difesa che si sono costituiti nella causa.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 5054/2022, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell’Interno, ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma che, nel 2013, aveva condannato il Ministero della difesa, dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’interno, a risarcire alla moglie di Andreoli la somma di 259.980 euro ed alle sue due figlie la somma di 250.696 euro ciascuna. Il Tribunale romano, in primo grado civile, aveve ritenuto il ministero responsabile del decesso di Alberto Andreoli, appuntato dei carabinieri, avvenuto all’interno della stazione dei carabinieri di Latina in data 14 settembre 2005 per causa della deflagrazione di una bomba a mano.

I giudici dell’Appello, che negarono il risarcimento ai famigliari, avevano ritenuto accertato che la deflagrazione della bomba non era riferibile all’azione di terzi, che l’ordigno non era stato introdotto in caserma né da terzi, né da commilitoni né da vigili urbani, pur confermando che erano ignote le circostanze che aveva portato la vittima ad avere nella sua disponibilità l’ordigno, che esso era stato attivato dalla vittima, fors’anche inconsapevole della sua natura e delle modalità di innesco, visto che l’oggetto non era verniciato, era privo di scritte e non era riconoscibile come bomba, con conseguente impossibilità di ricondurre alla Pubblica Amministrazione la responsabilità per custodia, non essendovi consapevolezza da parte sua della presenza dell’ordigno all’interno della caserma. Insomma, nessun responsabile e solo suggestioni sul fatto che Andreoli avrebbe portato da solo una bomba all’interno della caserma.

Contro la sentenza dell’Appello, le tre donne, famigliari di Andreoli, difese dall’avvocato Mario Lauro Pietrosanti, hanno fatto ricorso in Cassazione. Gli ermellini non hanno cambiato l’esito del secondo grado, negando il risarcimento e rigettando il ricorso.

La Cassazione ha ricordato l’Appello che aveva parlato di “comportamento imprudente della vittima, che non aveva denunziato, come le era imposto dalla normativa, la presenza di armi ed esplosivi e che, pur potendo prevedere con l’ordinaria diligenza, una situazione di pericolo dipendente dalla cosa altrui, vi si era esposto volontariamente, aveva interrotto il nesso causale; ha escluso la responsabilità del Ministero della Difesa, difettando il nesso eziologico tra la condotta imputatagli anche solo omissiva e l’evento e prima ancora una colpa generica o specifica, ed avendo comunque il comportamento colposo della vittima integrato gli estremi del caso fortuito”.

Un mistero che anche nelle parole di sentenze civili rimane tale, ammantato dalla burocrazia giudiziaria la quale rende tutto “kafkiano”.

Articolo precedente

VIALE EUROPA, L’ASSESSORE ALL’AMBIENTE DI TERRACINA RISPONDE: “NO A STRUMENTALIZZAZIONI”

Articolo successivo

MUORE A 23 ANNI DOPO LO SCONTRO CONTRO IL PINO SULLA LITORANEA

Ultime da Giudiziaria