“Deve prendersi atto in accoglimento del ricorso del Pubblico ministero che questa statuizione si rivela affetta da motivazione viziata per contraddittorietà interna e per sua strutturale carenza rispetto all’esigenza di fornire una giustificazione puntuale e adeguata delle conclusioni raggiunte in senso difforme rispetto a quelle a cui era approdata la Corte di assise”.
È quanto scrivono i giudici della Cassazione nelle motivazioni con cui hanno disposto un processo di appello bis per i fratelli Gabriele e Marco Bianchi, che la sera del sei settembre del 2020 pestarono a morte Willy Monteiro Duarte a Colleferro, centro in provincia di Roma, relativamente alle attenuanti generiche.
“I giudici di primo grado – si legge nella sentenza – “avevano negato ai suddetti imputati le attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. considerando che, per un verso, nessun aspetto connesso all’incontestabile gravità del fatto, concretatosi nella brutale uccisione di un giovane inerme, era suscettibile di determinare attenuazioni di pena e che, per altro verso, negativa era la valutazione della loro pronunciata capacità a delinquere, essendo essi gravati da carichi pendenti per reati inerenti a violenza e condannati in secondo grado per spaccio di sostanze stupefacenti, persone note nel loro contesto come picchiatori, facenti parte della chat denominata “La gang dello scrocchio”, dotati di personalità allarmante, privi di attività lavorativa eppure connotati da tenore di vita elevato, nonché protagonisti di un comportamento post factum dimostrativo dell’assenza di qualsiasi revisione critica del loro gravissimo operato deviante“.
Muovendo dal consolidato e condiviso principio di diritto secondo cui, nel motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti (essendo necessario e sufficiente che egli dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., ritenuti decisivi o comunque rilevanti), il giudice di appello, in punto di principio, “poteva senz’altro ribaltare la sentenza di primo grado nella parte in cui la Corte di assise aveva negato il riconoscimento delle attenuanti generiche ai Bianchi, individuando elementi ritenuti adeguati a fondare tale approdo e, allo stesso tempo, spiegando le ragioni per le quali i fattori esposti dai giudici di primo grado non fossero ostativi all’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. in senso favorevole ai suddetti imputati, così da offrire una giustificazione puntuale e adeguata delle conclusioni raggiunte in senso difforme da quelle espresse dalla Corte di assise“. Ad avviso dei giudici di legittimità, “la motivazione resa non presenta tali requisiti“.
In primo luogo, “a fronte della specifica sottolineatura emergente dalla prima decisione – con precisi riferimenti alle modalità dell’azione, alle connotazioni del contesto agito e alle plurime lesioni cagionate alla sconosciuta e inerme vittima – in merito alla particolare gravità del fatto, vale a dire del delitto nel suo insieme di elementi, sia quello strutturale che quello psicologico, per gli effetti di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen., complessivamente considerato, in relazione al disposto di cui all’art. 62-bis cod. pen., la Corte di assise di appello si è limitata a far leva sulla natura eventuale del dolo che ha sorretto l’azione omicidiaria per superare le considerazioni ostative spese dai giudici di primo grado“.
Quindi, a fronte di una valutazione omnicomprensiva operata dalla Corte di assise dei criteri di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen., “i giudici di appello hanno concentrato la loro valutazione sul criterio del dolo posto a base dell’azione, omettendo di inserirlo – sia pure, ove del caso, per annettere allo stesso rilevanza determinante – nel complesso di elementi a cui la prima decisione aveva operato un compiuto riferimento“.
Che la forma del dolo eventuale si ponga, rispetto al parametro dell’intensità e relativamente all’aspetto inerente alla componente della volontà, a un livello meno intenso della forma del dolo intenzionale – si legge nella sentenza – “può dirsi concetto ordinariamente affermato dagli interpreti. Era ed è, tuttavia, da considerare che la definizione della complessiva intensità del dolo dipende anche da altri fattori, fra i quali non secondario si profila quello – riguardante l’aspetto della consapevolezza – inerente al grado di coscienza avuto dall’agente del disvalore della condotta serbata, tanto più accentuata essendo, su tale versante di natura qualitativa, l’intensità del dolo quanto più immediata ed evidente risulti per l’agente l’antigiuridicità e l’antisocialità dell’azione delittuosa“.