Sono nove gli arresti disposti per l’omicidio di Sumal Jaghsheer, ucciso nella serata del 30 ottobre presso un casolare
Una mattanza sfociata in un omicidio di un uomo. Una gang che puniva coloro che osavano distaccarsi dal loro controllo. Uno degli aggrediti di quella nottata, fatta di sangue, spranghe di ferro e violenza, ha riferito infatti che: “6 o 7 mesi prima, Jiwan (nda: il capo del sodalizio) mi aveva chiamato minacciandomi di lasciare la zona di Borgo Montello affermando che mi avrebbe spezzato le gambe poiché mi accusava di aver fatto licenziare Singh Ranjit (nda: destinatario della misura cautelare in carcere di oggi 29 aprile) dal posto di lavoro, ovvero il supermercato Ins di Santa Palomba…già da due anni io e i miei coinquilini non frequentavamo e non volevamo avere più rapporti con Jiwan e gli altri poiché erano soliti assumere condotte aggressive dei nostri connazionali. Per tali motivi decidevamo di non andare più a comprare generi alimentari al negozio di Jiwan a Borgo Bainsizza, invece decidevamo di andare al negozio di alimentari sito poco distante gestito da “Jitta” (leggi approfondimento).
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Una comunità intrisa di paura e spaventata da violenza, pestaggi e armi. Questa, quindi, in sintesi, è la conclusione a cui arrivano gli inquirenti per una circostanza tragica che, prima o poi, sarebbe accaduta, considerato il senso di onnipotenza della gang “dedita a compiere spedizioni punitive nella comunità indiana” che, su questo sito d’informazione, abbiamo chiamato mafia emergente. E il movente di quella sera era probabilmente punire coloro che avevano abbandonato le compere al negozio di Jiwan per andare dall’odiato collega a Borgo Bainsizza, Amarjit Singh detto Jitta (presente alla festa serale e scampato miracolosamente all’agguato).
Ad ogni modo, sul piano delle azioni messe in campo dagli inquirenti, stamani 29 aprile, su disposizione del sostituto procuratore della Repubblica Marco Giancristofaro, la Squadra Mobile di Latina, agli ordini del Dirigente Giuseppe Pontecorvo, ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Latina Giuseppe Cario nei confronti di nove persone gravemente indiziate, a vario titolo, di reati ai reati di omicidio volontario, porto illegale di pistola, lesioni personali aggravate e rapina aggravata.
Tra i nove destinatari della misura cautelare in carcere c’è Singh Jiwan (39 anni) ritenuto il capo del sodalizio/commando, indicato da altri connazionali come il “gangster”, che, nell’ambito della spedizione punitiva del 30 ottobre scorso a due passi dalla discarica di Borgo Montello, portò alla morte del 29enne Sumal Jagsheer, il giovane che stava festeggiando insieme ad altre persone della comunità indiana la nascita del figlio di appena 16 giorni. Un giovane che ha pagato più di tutti il fatto di essersi allontanato dal sodalizio violento: “Era un bravo ragazzo – dice uno degli intercettati dopo la festa e non facente parte del sodalizio di Jiwan – Prima stavano tutti assieme. Andavano a far rissa insieme“.
Gli altri individuati da Procura e Squadra Mobile come partecipi del commando sono il 38enne Singh Gurpinder ad oggi latitante; il 40enne Singh Devender detto “Binda”, già ristretto nel carcere di Velletri; Singh Ranjit (41 anni) detto “Mika”, anche lui in carcere a Velletri; Singh Parampal (32 anni) detto “Bhuryal” e “Pureval”, ad oggi latitante; Sohal Gurvinder Singh (33 anni) detto “Harry”, già ristretto nel carcere di Rebibbia; Singh Harmandeep (38 anni); Singh Surjit (36 anni) detto “Sunny” e Singh Harinder (32 anni). Risulta indagata a piede libero anche la 35enne Mandeep Kaur.
A novembre scorso, la Squadra Mobile eseguì 3 arresti in un’ordinanza che ne comprendeva cinque verso altrettante persone. All’epoca furono contestati la violazione di domicilio, il porto abusivo d’armi e le lesioni gravi e non l’omicidio non essendoci ancora elementi utili. A finire in carcere furono alcuni di quelli oggi destinatari dell’ordinanza in carcere: oltreché al “capo” Jiwan, Singh Devender, Singh Ranjit e Soahl Gurvinder Singh rintracciati tra Latina ed Aprilia. Risultavano tra gli arrestati anche Singh Parampal e Singh Gurpinder che, però, non furono ritrovati perché latitanti. Una latitanza che dura fino a oggi dal momento che con tutta probabilità i due sono rifugiati in India (in una delle intercettazioni captate dagli investigatori la circostanza è data per certa da due degli indagati).
La svolta dell’indagine che è proseguita in questi mesi grazie al lavoro dei detective della Squadra Mobile sta proprio nel fatto che ora è contestato agli indagati anche il reato di omicidio volontario, finora contestato solo a Singh Jiwan che in sede di interrogatorio, reso a novembre davanti al Gip, ha negato ogni addebito, dichiarando invece che lui e un altro del suo gruppo erano stati aggrediti alla festa a cui avevano partecipato in quanto invitati perché un paio di anni prima aveva denunciato un tale chiamato “Rupa”. Una versione che è risultata discordante con quanto da dichiarato dalla coniuge e da altri arrestati che, a loro volta, sull’aggressione, in realtà una spedizione punitiva, hanno fornito racconti agli investigatori altrettanto difformi tra di loro.
Inoltre, a carico del “capo” Jiwan detto anche “Gighen” e di Devender, Gurpinder, Parampal, Sohal Gurivinder, Harmandeep e Surjit c’è anche una rapina nei confronti di un connazionale che gestisce un esercizio commerciale – un Punjabi Store in Via degli Ulivi ad Aprilia – commessa il 2 ottobre 2020 e a cui sottrassero circa 3500 euro che avrebbero dovuto essere spediti all’estero mediante il Money Gram.
L’esercente fu bloccato e preso a schiaffi e derubato dei soldi conservati nella tasca sinistra dei pantaloni, proprio all’interno del suo negozio. Un episodio, filmato almeno nelle fasi della preparazione dalla tele-sorveglianza (al momento che la banda si trovava fuori poco prima di irrompere) che rimanda a un’altra indagine, stavolta dei Carabinieri coordinati dal Pm Daria Monsurrò, nella quale a essere coinvolti sono gli stessi, già a giudizio presso il Tribunale di Latina, per fatti inerenti a rapina, lesione aggravata e violenza privata (leggi approfondimento di seguito). Le misure cautelari furono eseguite dai militari dell’Arma a novembre, pochi giorni dopo dall’omicidio del 29enne Sumal che, secondo la relazione del medico legale del Pubblico ministero, è morto a causa di “acuta insufficienza cardio-respiratoria conseguenza delle lesioni cranico-encefalitiche derivati da un mezzo contundente a superficie limitata compatibile con un tubo metallico” come quelli sequestrati dalla Polizia.
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Tornando agli arresti odierni, gli esecutori materiali dell’omicidio del 29enne Sumal Jagsheer, la cui unica colpa era stata quella di allontanarsi dal gruppo dedito a violenze e pestaggi nella comunità indiana, sono, secondo gli investigatori, Singh Jiwan (il capo), Singh Devender e Singh Ranjit.
Fu una nottata orribile quella che si consumò il 30 ottobre 2021 a Borgo Montello. Sumal Jagsheer fu barbaramente picchiato con bastoni di ferro e lasciato in una pozza di sangue nel terrazzo all’ex podere “Piciacchia. In tale contesto, Singh Jiwan, con in capo un casco semi integrale, incitava i suoi sodali a prendere ed uccidere tutti i presenti alla festa, fornendo indicazioni su coloro da aggredire a colpi di spranghe di ferro. Sumal morì di lì a poco all’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, un altro degli aggrediti riportò fratture multiple, giudicate guaribili in 90 giorni salvo complicazioni. Tramite le testimonianze, è emerso che Singh Jiwan gridava quella notte: “Prendete questa gente e ammazzateli tutti…fotteteci la sorella…fotteteci la madre…tirate fuori questi stronzi“. Altri chiedevano a Jiwan: “Chi dobbiamo ammazzare ora?“. E alla moglie (Mandeep Kaur che risulta indagata), Singh Jiwan, intercettato nei giorni seguenti alla mattanza di Strada Monfalcone, diceva: “Loro non sapevano che saremmo venuti…prima o poi doveva succedere questa cosa visto che non si stanno mai buoni“. Oltreché alla tragica fine del 29enne Sumal, in seguito all’aggressione della gang dovettero ricorrere alle cure dell’ospedale altri quattro malcapitati che festeggiavano la nascita del figlio dell’assassinato (uno dei quali è indagato a sua volta per lesioni, per aver colpito con un bastone il capo del sodalizio Jiwan). E alle cure dell’ospedale, come noto, dove ricorrere anche il capo Jiwan che, infatti, insieme a un altro degli arrestati, Gurpinder, si fece assistere dall’Ospedale di Velletri proprio per evitare di incorrere negli investigatori di Latina già in azione la sera stessa dell’omicidio.
La paura quella sera era tanta, si poteva percepire dalle telefonate intercorse tra alcuni dei presenti alla festa come, ad esempio, la circostanza per cui un uomo dal casolare di Strada Monfalcone chiamò il Presidente della Comunità indiana laziale Singh Gurmukh (che quella sera era obiettivo delle violenze del gruppo), nel frattempo assentatosi dal luogo della mattanza, dicendo: “È arrivato Jiwan con i suoi ragazzi e stanno menando tutti“.
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“L’attuale misura costituisce l’epilogo di una attività di indagine che ha avuto origine a seguito della violenta aggressione perpetrata il 30 ottobre 2021, quando gli odierni destinatari della misura cautelare fecero irruzione all’interno dell’abitazione di un loro connazionale ove si tenevano dei festeggiamenti e, armati di pistola e mazze di ferro, aggredirono i presenti cagionando la morte di Sumal Jagsheer e il ferimento di ulteriori diversi soggetti sempre di nazionalità indiana. Nell’immediatezza dei fatti – si legge nella nota di Questura e Procura di Latina – è stato sottoposto a fermo Singh Jiwan ritenuto appunto responsabile per l’omicidio Jagsheer, deceduto quella notte a seguito l’aggressione posta in essere da alcuni connazionali, a Borgo Montello, in Strada Monfalcone, laddove agenti dell’Ufficio Volanti e della Squadra Mobile di Latina erano intervenuti a seguito di segnalazione. Le successive indagini coordinate dalla Procura di Latina e condotte dalla Squadra Mobile, attraverso l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno permesso di ricostruire la dinamica degli eventi occorsi e ricondurre la commissione dei fatti ad un gruppo di cittadini indiani, capeggiato da Singh Jiwan, che con violenza e minaccia ha compiuto la spedizione punitiva“.
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“In tale contesto, sembra emergere come l’azione sia stata preordinata per punire alcune delle persone presenti ai festeggiamenti, ritenuti colpevoli di essersi allontanate dal sodalizio, oltre che per incutere timore e paura nei confronti di esercenti commerciali, sempre appartenenti alla comunità indiana. Al riguardo, la misura cautelare è stata disposta anche per una rapina commessa lo scorso 2 ottobre 2021 ai danni di un esercente commerciale, di nazionalità indiana, a cui è stata sottratta la somma contante di 3500 euro. Tra gli approfondimenti investigativi – conclude la nota – vi sono stati i riscontri assunti dalla Polizia Scientifica che hanno documentato l’utilizzo, durante tale azione intimidatoria, da parte del gruppo in questione, di un pistola calibro 9 corto dalla quale sono stati esplosi tre colpi d’arma da fuoco. Nella stessa direzione si è accertato il rinvenimento di tracce biologiche, riconducibili ad alcuni degli indagati, sulla spranghe brandite nel corso delle colluttazione avuta con la vittima e sequestrate durante il sopralluogo avvenuto la stessa notte dell’omicidio“. E dalla Polizia Scientifica sono stati trovati anche due tubi innocenti utilizzati come armi per la mattanza.
Una violenza inaudita che ha portato a un giovane ammazzato, da cui si evidenzia un’omertà e una paura diffusa tra gli appartenenti della granitica comunità indiana. Gli indagati, intercettati dagli investigatori, dimostrano peraltro di conoscere anche i rischi a cui sarebbero andati incontro dopo la mattanza di Strada Monfalcone. Molti hanno paura di aver lasciato tracce biologiche sulle spranghe come si evince dai colloqui intercettati nel carcere dopo gli arresti eseguiti a novembre (colloqui in cui gli indagati ammettono di essere stati sul luogo dell’aggressione) e Jiwan, che non smette i gradi del capo, afferma, intercettato dopo l’omicidio e quindi dal carcere, che “se fossi stato fuori gli avrei fatto annulla re le testimonianze…avrei fatto rapire il cugino di Mandeep, avrebbe ritrattato tutto“. Un boss di fatto, al di là delle eventuali sentenze della magistratura, aiutato a costruirsi falsi alibi anche grazie alla moglie che la sera dell’omicidio, alle 23 inoltrate, dopo 40 minuti dalla mattanza, telefonò al 112 dichiarando falsamente che ignoti erano penetrati dentro la loro casa a Borgo Bainsizza, infrangendo vetri e rompendo il braccio al coniuge. Una messinscena confermata anche dalle testimonianze dei vicini di casa che, quella sera, hanno riferito di non aver udito assolutamente nulla né di aver notato presenze estranee o ricevuto richieste di aiuto.
E non mancherebbero, dopo gli arresti avvenuti dopo la mattanza di ottobre a carico di Jiwan, anche minacce di ritorsioni da parte della moglie Mandeep Kaur la quale, secondo una dichiarazione riferita de relato, avrebbe voluto dare mandato a una spedizione punitiva nei confronti di un commerciante di Borgo Bainsizza presente alla festa e non parte del sodalizio di Jiwan, con l’obiettivo di ammazzarlo di botte.
E, infine, a poter inchiodare Jiwan e i suoi è una intercettazione captata in carcere in cui lo stesso capo dice: “Il bastone che avevo io l’ho portato a casa…non è facile trovare le prove…questo bastone l0ho preso il giorno prima nel magazzino…quindi potrebbero esserci le impronte anche di altre persone sopra”.