Omicidio a Borgo Montello: la comunità indiana è sotto choc, le denunce e la rabbia. Spunta un gruppo dedito alle spedizioni punitive
Come noto, sabato sera, intorno alle 22,30, a Borgo Montello, in Via Monfalcone, a poca distanza dalla discarica, è stato ucciso un uomo di 29 anni: si chiamava Jaseer Singh. L’uomo aveva appena avuto un bambino dalla sua compagna in India e stava festeggiando con una decina di amici il lieto evento.
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È avvenuto tutto nel giro breve di mezz’ora. Gli amici convenutI alla festa all’ex podere “Piciacchia” decidono di postare sui social le immagini del loro evento e dopo pochi minuti si vedono piombare a Borgo Montello un commando intenzionato a mettere in pratica una vera e propria spedizione punitiva. Sono una trentina. Molti degli aggrediti li conoscono, sanno chi sono e stamani, 1 novembre, sono stati convocati in Questura dove i detective della Squadra Mobile stanno ricostruendo l’accaduto.
Il casolare dove c’è stata l’aggressione – dalle immagini si possono vedere i danni causati dal raid – apparteneva a una famiglia di Pomezia (oggi dovrebbe ricadere nella proprietà di uno dei gestori della discarica, la società Ecoambiente srl), ovviamente ignara di ciò che sarebbe accaduto sabato sera.
Chi abita lì, in Via Monfalcone, intorno alle 22,30, ha sentito un gran trambusto: auto che arrivano e andavano via, urla e qualche scoppio. Nessuno si era preoccupato seriamente perché, in quel casolare, soprattutto di sabato sera, è usuale che gli indiani si vedano e stiano insieme facendo festa come si conviene a uomini la cui età è compresa dai 25 ai 45. All’ex podere Piciacchia, oltreché al giovane ucciso, abitano altri quattro indiani.
Tuttavia, quelli che sono stati considerati fuochi d’artificio, in realtà sono stati colpi d’arma da fuoco sparati in aria dalla banda che è arrivata per pestare gli uomini presenti alla festa. Il problema, per loro, e per tutta la comunità visibilmente scossa (li abbiamo visti stamani 1 novembre), è che è morto un giovane di 29 anni in seguito alle bastonate subite.
Lo scenario al casolare è pauroso, quasi fossimo in un frame di “Kill Bill” diretto da Quentin Tarantino: sedie di plastica distrutte, porte dell’abitato tutte sfondate da una furia cieca, il sangue per terra lavato dalla pioggia che è caduta dolce nella giornata odierna.
All’arrivo dei circa trenta uomini (o forse più), di nazionalità indiana, compreso qualche pakistano – come ci spiega uno dei presenti alla festa omicida – nessuno dei presenti pensava che la situazione sarebbe degenerata immediatamente. Un paio di loro, tra cui il ragazzo ucciso, ha provato a rifugiarsi nel casolare ma le porte rotte testimoniano che gli aggressori sono entrati con barbara forza e hanno devastato tutto ciò che gli è capitato a tiro, inclusi i corpi degli uomini presenti: oltreché al deceduto, ci sono dieci ricoverati tra Latina, Anzio e Roma.
A Borgo Bainsizza (il borgo che confina e si unisce con Montello), dove la comunità indiana si mischia a marocchini, tunisini, altri arabi e rumeni, non c’è tanta voglia di parlare. Gli italiani del luogo continuano la loro vita, gli immigrati sanno che qualcosa di molto grave è successo. Una donna ci spiega tutto quello che sa, in un italiano stentato. Qui, loro sono integrati, i figli studiano e qualcuno è anche all’Università.
Uno dei ragazzi aggrediti, presenti alla festa, ci spiega che funziona così: ci sono i lavoratori e le loro vite e c’è una sorta di capo, un vero e proprio ras. L’uomo, che abita a Latina, a suo arbitrio, è in grado di chiamare altri sodali di Aprilia, Sabaudia, Fondi (dove gli indiani sono più presenti) per punire chi non si è comportato come dovrebbe. Sì perché il culmine tragico della morte di Jaseer Singh sarebbe solo la punta dell’iceberg. Tante le aggressioni negli anni, numerosi i pestaggi e, come ci dice la donna indiana, le “gambe rotte”.
Altri indiani presenti oggi in Questura ci dicono che loro hanno sempre denunciato ma nessuno, per ora, ha pagato per quelle violenze. Uno degli indiani di Borgo Bainsizza racconta che, nel 2019, ha subito un pestaggio, gli hanno rotto una gamba. Ha denunciato, ma niente si è mosso tanto è che la moglie ci dice sconsolata: “In Italia mi sa che non cambia niente”.
Il movente? Da ciò che affiora ci sarebbe alla base il controllo della comunità. Ci sono i capi e quelli che devono sottostare. Uno dei ragazzi indiani, che lavora in un magazzino – la maggior parte opera tra i campi ma ci sono anche giovani che tra Aprilia, Latina, Sabaudia e Fondi sono impiegati in esercizi commerciali -, ci racconta che è sufficiente un’auto in più, uno smartphone di troppo, che subito scatta il controllo con tanto di intimidazione e, nel peggiore dei casi, la violenza. Nessuno può comprare niente se non sotto il benestare di questa sorta di banda. Tanto più che alla radice del massacro di Borgo Montello, ci sarebbe proprio questo: la banda non voleva che i dieci indiani festeggiassero e facessero sfoggio dell’evento sui social. Saranno gli investigatori ad appurare se ciò sia vero o se, invece, come molti sospettano, ci siano questioni di caporalato, droga o faide dettate da invidie profonde.
Una sorta di mano nera indiana che tutto vuole controllare. C’è qualcuno che, alla fine, ce lo dice chiaramente: dobbiamo pagare il pizzo, ci chiedono soldi. Un controllo sociale da parte dei cosiddetti capi indiani che rimanda a quello che doveva essere l’immigrazione italiana vessata dai ras mafiosi nella New York della prima metà del secolo scorso.
E più di qualcuno ci racconta di una rivalità anche tra negozi di alimentari che si trovano a Borgo Bainsizza dove si è sviluppata la concorrenza mal sopportata tra due esercizi.
Ecco, a quanto parrebbe, le prime risposte al rebus del delitto dell’ex podere “Piciacchia” andrebbero cercate lì.