NEONATA VENDUTA A 20MILA EURO: PROSCIOLTO L’INTERMEDIARIO

Neonata venduta al prezzo di circa 20mila euro: a distanza di sette anni dai fatti, condannato l’intermediario

Il giudice monocratico del Tribunale di Latina, Beatrice Bernabei, ha prosciolto Youssef Berrazzouk (55 anni), arrestato nel 2017 nell’inchiesta originata sulla comprevendita della neonata. La sentenza di assoluzione, arrivata per parte delle accuse nel merito e per parte in ragione di intervenuta prescrizione, è stata pronunciata nel tardo pomeriggio di oggi, 10 febbraio.

Il suo ruolo, secondo la ricostruzione degli investigatori, sarebbe stato quello di mediatore di tutta l’operazione. Era lui che avrebbe messo in contatto le due donne, Francesca Zorzo, che intendeva acquistare la bambina, e Nicoleta Tanase, la madre naturale. Le due donne avevano patteggiato la pena davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario: 2 anni di reclusione per l’allora 35enne di Latina, 1 anno e 6 mesi per l’allora 24enne rumena.

A dicembre scorso, davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina Beatrice Bernabei, il pubblico ministero aveva chiesto 3 anni di reclusione per Berrazouk, assistito dagli avvocatI Emanuele Farelli e Francesco Vasaturo che, invece, hanno chiesto l’assoluzione.

I fatti erano accaduti a Latina. La vicenda era stata scoperta dalla Squadra Mobile che aveva rintracciato la bimba, nel frattempo finita al padre naturale. Arrestati la donna italiana che aveva pagato per diventare madre, la mamma naturale e l’intermediario marocchino, per l’appunto Berrazouk. Tutti e tre erano stati posti ai domiciliari.

Durante la gestazione della madre naturale la donna aveva indossato una pancia finta acquistata online per simulare la gravidanza. La neonata era stata consegnata poco dopo la nascita in cambio della somma pattuita di 20 mila euro, ma era stata rifiutata in quanto mulatta: il padre naturale era infatti del Mali. L’acquirente avrebbe avuto troppa difficoltà a giustificare la sua nascita con la pelle di quel colore. La polizia, dopo una rapida indagine, aveva rintracciato la bambina in un appartamento a Roma, a Tor Vergata. Stava bene, il giovane africano se ne era preso cura, ed era stata subito affidata ad una casa-famiglia.

Tutto era nato da una segnalazione di un funzionario di stato civile del Comune di Latina al quale Zorzo, accompagnata dalla madre, si era rivolta per il riconoscimento di una bambina partorita in casa. All’appuntamento per la registrazione all’anagrafe però la donna non si era mai presentata, ogni volta con scuse diverse. Così l’impiegato, insospettito, aveva avvertito la Procura e in due giorni la polizia aveva ritrovato la bambina.

La madre naturale era andata all’ospedale di Anzio, a sud di Roma, per partorire, aveva lasciato lì la bambina ed era tornata due giorni dopo per riconoscerla e riprenderla, accompagnata da Berrazzuk, che diceva di essere il padre. I medici, sospettosi, avevano convinto la donna a non farla riconoscere dall’uomo. Quando gli investigatori erano riusciti a contattare Zorzo, la donna aveva spiegato che non aveva idea di dove fosse la piccola.

Gli investigatori erano riusciti prima a rintracciare l’intermediario e poi, grazie alle informazioni fornite dall’ospedale di Nettuno, ad avere il nome della madre naturale e dopo diverse perquisizioni andate a vuoto l’avevano trovata in un quartiere popolare di Anzio abitato per lo più da immigrati.

Ma la neonata non c’era. La situazione di degrado in cui la ragazza viveva aveva fatto inizialmente temere il peggio. Poi era stata la stessa ragazza romena a decidere di collaborare rivelando il nome del padre naturale a cui la bambina era stata affidata.

Oggi, la sentenza che chiude il cerchio a una vicenda che aveva avuto una vasta eco mediatica nel momento in cui era emersa.

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