Operazione “Anemone”, al vertice dell’organizzazione il 57enne Rosario Marando, originario di Platì, e alcuni suoi familiari. Ricostruite le rotte della cocaina dal Sudamerica nei porti spagnoli, a Rotterdam e Gioia Tauro. Confermata l’alleanza con i gruppi albanesi. Coinvolti alcuni pontini
Dalle prime ore di questa mattina, il Ros, con il supporto in fase esecutiva dei comandi provinciali carabinieri di Roma, Pistoia, Latina, Teramo, Reggio Calabria e dello squadrone eliportato «cacciatori» Calabria, sta dando esecuzione a una misura cautelare in carcere emessa dal tribunale di Roma, su richiesta della procura della Repubblica – direzione distrettuale antimafia di Roma, nei confronti di 28 soggetti, indagati a vario titolo di associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso, nonché dei reati di tortura e detenzione di armi.
Le indagini dell’operazione “Anemone”, dirette dalla procura della Repubblica di Roma, hanno rivelato l’operatività di un’associazione di matrice ‘ndranghetista dedita al narcotraffico ed operante nella capitale, facente capo ad un 57 enne calabrese, già condannato in via definitiva per la sua appartenenza alla ‘ndrangheta.
Nel corso dell’operazione sono state sequestrate ingenti quantità di sostanze stupefacenti destinate al mercato romano. Il boss per chi indaga è al vertice della locale di Volpiano, in provincia di Torino, collegata alla cosca di Platì, nel reggino. Da 25 anni a Roma, Rosario Marando, già condannato in via definitiva per la sua appartenenza alla ’ndrangheta, avrebbe preso il controllo della zona di San Basilio insieme con tre figli e complici di bande albanesi specializzate nel recupero della droga dai porti olandesi e spagnoli per il trasporto dello stupefacente fino a Roma.
Broker calabresi si occupavano dell’acquisto di grossi carichi in Sudamerica in arrivo in Spagna e a Rotterdam nonché a Gioia Tauro. Contestati 80 capi d’imputazione per oltre una tonnellata di cocaina e una e mezzo di hashish, “nonché – spiega chi indaga – un episodio di tortura aggravata dal metodo mafioso, contestato a 4 indagati italiani, gravemente indiziati di avere privato della libertà personale uno spacciatore, cagionandogli sofferenze fisiche e un trauma psichico. Le torture inferte sono state riprese con un telefonino, per diffonderne successivamente il video al fine di generare nella vittima e nei soggetti dediti alle attività di smercio di sostanze stupefacente in zona San Basilio, sentimenti di paura, omertà e assoggettamento al volere del gruppo criminale”.
Complessivamente l’indagine, conclusa con l’emissione di 28 provvedimenti cautelari detentivi, 6 interrogatori preventivi, l’arresto in flagranza di reato di 11 soggetti, nonché, all’estero, dei 5 latitanti già citati e il sequestro di ingenti quantitativi di stupefacente (per lo più cocaina e hashish), ha confermato l’infiltrazione del territorio romano di organizzazioni, dedite al narcotraffico, di matrice ‘ndranghetista, e l’alleanza ormai strutturale tra la ‘ndrangheta e organizzazioni criminali albanesi che, forti della loro ramificazione in molti Paesi europei e non solo, garantiscono canali alternativi di approvvigionamento e, soprattutto, la possibilità di utilizzare porti stranieri, dove esercitano il loro controllo, per diversificare le narco-rotte; la centralità del Porto di Gioia Tauro per le importazioni di cocaina; l’esistenza di accordi e regole che consentono a organizzazioni di diversa matrice di spartirsi le più redditizie aree di smercio del narcotico nella Capitale; l’utilizzo sistemico di strumenti tecnologici evoluti e non direttamente intercettabili, per le comunicazioni operative.
A un albanese di 46 anni spettava il compito di smistare la droga a Roma, mentre i contatti fra i sodali erano schermati da sistemi anti-intercettazione con programmi di telefonia criptati. Cinque indagati sono stati catturati in Spagna con la collaborazione della polizia locale
Tra gli arrestati il 37enne Riza Muco, albanese, coinvolto nel processo che si tiene a Latina insieme ai co-imputati di Fondi, Vincenzo Zizzo e Pasquale Spirito. Il processo, noto perché Zizzo viene accusato di aver dato mandato di eseguire un attentato incendiario al sindaco di Lenola, Fernando Magnafico, contesta a Spirito e Riza Muco lo spaccio di sostanze stupefacente. In particolare al 38enne albanese l’accusa è quella di aver rifornito i due co-imputati di 10 chili di droga pronti per lo spaccio.
Nell’ambito dell’operazione “Anemone”, eseguita oggi dai Carabinieri Ros, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Antonella Minunni, dispone il carcere per Riza Muco, accusandolo di essere parte dell’organizzazione di matrice ndranghetista capeggiata da Marando, in quanto “si occupava di collaborare nell’importazione e nella distribuzione dello stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana”.
Ad essere indagato nell’operazione “Anemone” anche il messinese, residente a Latina, Daniele Buda, la cui richiesta di arresto viene respinto perché l’uomo, classe 1980, è deceduto nel 2023.