Minacce e possesso di armi da guerra: iniziato il rito abbreviato a carico del collaboratore d giustizia Jhonny Lauretti
Lo scorso 4 giugno, il primo collegio del tribunale di Latina, presieduto dal giudice Gian Luca Soana, ha ammesso il rito abbreviato per il 45enne Johnny Lauretti detto “Cavallo Pazzo”, e il coimputato Alberto Di Vito, pusher della zona di Fondi, molto vicino al gruppo dei fratelli Del Vecchio, difeso dagli avvocato Oreste Palmieri e Maurizio Forte.
Era emerso che Lauretti ha revocato la sua difesa all’avvocato Valeria Maffei, spesso coinvolta nell’assistenza ai collaboratori di giustizia pontini, e nominato un altro legale: Giorgio Tessitore, oggi assente e sostituito dall’avvocato Massimo Ferretti. Il legale ha dato il consenso affinché fosse esaminato Lauretti, con la condizione che non si discutesse e quindi si finisse il procedimento con la sentenza.
Il processo è uno stralcio dell’imponente indagine denominata “Jars” che ha già portato al processo con rito ordinario che vede alla sbarra il gruppo soccombente di Fondi (rispetto ai gemelli Del Vecchio), capeggiato da Alessio Ferri e Andrea Pannone.
Nell’ambito del rito abbreviato, è stata acquisita la trascrizione di uno dei verbali di Lauretti, divenuto collaboratore di giustizia dopo l’arresto di novembre scorso. Un verbale che Lauretti ha reso ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia lo scorso 2 gennaio. In pratica una delle prime dichiarazioni, dal momento che Lauretti ha iniziato a collaborare con lo Stato a fine dicembre 2024. In tale verbale, Lauretti aggiunge particolari finora sconosciuti all’accusa.
Lauretti, 45 anni, oggi, 17 settembre, era video-collegato dal sito riservato. Sia “Cavallo Pazzo” che Di Vito sono accusati in concorso di aver detenuto e importato armi da sparo, in particolare 3 pistole e un mitra, esplodendo colpi d’arma da fuoco, nell’ambito della guerra per il predominio dello spaccio nella Piana, contro Alessio Ferri, Marco Simeone, Guido Quadrino e Armando Ciccone. I due devono rispondere anche di minacce.
Interrogato dal pubblico ministero Valerio De Luca, Lauretti ha illustrato la sua attuale posizione: “Dopo essere stato colpito dall’ordinanza Risiko a novembre 2024, ho iniziato la mia collaborazione con lo Stato”. Lauretti fu arrestato per aver sparato contro il gruppo rivale, esattamente ad aprile 2024.
“Conosco Di Vito da una decina di anni, io ero il suo fornitore di droga – ha spiegato Lauretti -. Gli davo anche armi, fino a marzo 2024. Gli fornivo droga perché Di Vito era un grande spacciatore su Fondi”.
Perché ci fu l’esplosione di colpi d’arma da fuoco, chiede il pm? “Erano legati al traffico di sostanze stupefacenti. Con Di Vito scaricavo anche 50 chili di marijuana al mese, e così vale anche l’hashish. Erano tutte grosse quantità”. La droga scorreva a fiumi: “Il gruppo di Ferri era il gruppo rivale a noi, su Fondi e altri Comuni. Io conosco queste persone da giovane età, facciamo parte della stessa generazione”.
Ma cosa accadde il 22 ottobre 2020: “Quel giorno ero a casa mia e venne Di Vito dicendomi che “quei figli di puttana mi avevano fatto una imboscata. Me lo hanno fatta Simeone e Ferri: mi hanno puntato la pistola in faccia. Così in due minuti ci siamo organizzati con mitra e pistole e siamo andati. Eravamo io, la mia compagna Maria Teresa Alecci, Giorgio Benedetto e Alberto Di Vito.
Di Vito era scappato da questa imboscata e che aveva un incontro con loro. Io avevo la disponibilità della mia inseparabile 9X21 e andammo a prendere mitra e pistole. Prendemmo la macchina a sistema, che aveva il doppio fondo per armi e droga. Ci recammo nella proprietà dei suoceri di Alessio Ferri e cominciammo a sparare. Io conoscevo quei terreni, fuori dal contesto cittadino, perché mi rifornivo da Ferri”.
“Noi ci muovemmo con un’unica macchina. Ci videro e io sparavo contro di loro, facemmo qualche sventagliata di mitra. Alla fine si sono dileguati, fu una fortuna per noi e loro. C’era Ciccone, Ferri, Simeone e Quadrino. A esplodere i colpi fummo io e Di Vito, anche se eravamo tutti e quattro armati. Io sparai per ammazzarli”.
Lauretti, però, puntualizza che “Di Vito mi prese in giro, mi disse una bugia perché il gruppo Ferri non mi stavano cercando. Lo capii leggendo l’ordinanza e dalle intercettazioni contenute. Ce l’avevano solo con lui. Io comunque andai perché era credibile che loro mi cercassero: c’erano stati altri episodi di violenza e loro non volevano che noi spacciassimo, volevano che acquistassimo la droga da loro. So che erano andati sotto casa di Di Vito e anche a me diedero un appuntamento 5 anni prima nella stessa zona dove sparai. Loro volevano che Alberto spacciasse per loro, essendo uno spacciatore molto influente su Fondi”.
Dopo questo episodio, il pentito racconta che iniziò una lunga serie di attentati, in ragione della guerra per il controllo dello spaccio. Il processo col rito abbreviato è stato rinviato al prossimo 11 novembre quando è prevista la sentenza.