Due pontini accusati di una maxi truffa attuata via telefono: la Cassazione respinge il loro ricorso. Il caso in mano alla Procura di Torino
Accuse molto gravi quelle a carico di due giovani pontini: il 31enne di Latina, Francesco Coppola, e la 27enne Eleonora Fedele, originaria di Terracina. I due sono stati destinatari di un decreto di sequestro preventivo dei loro conti correnti disposto dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino lo scorso dicembre: 649.450 euro la somma oggetto di sequestro, oltreché a beni mobili e immobili per 249.100 euro.
Lo scorso 13 febbraio il tribunale del riesame piemontese ha rigettato l’istanza di dissequestro presentata dai due indagati. Ma di cosa sono accusati i due pontini?
Secondo l’accusa, gli indagati si sono resi responsabili di due ipotesi di truffe attuate per telefono e con l’invito, rivolto alle persone offese, ad effettuarle investimenti finanziari attraverso l’apertura di specifici conti sui quali venivano trasferite dagli investitori raggirati le somme che poi venivano indirizzate ad ulteriori conti nella disponibilità di Coppola e Fedele. Il meccanismo truffaldino ha fruttato grossi guadagni: uno per l’importo di 31.970 euro sfilato a un uomo, un altro per la somma “monstre” di 1 milione di euro sottratta a una donna.
Questi importi, secondo gli inquirenti, sono stati successivamente trasferiti su conti esteri (uno in Lituania) intestati o comunque riferibili personalmente a Coppola (anche in una banca di Latina. Per tale ragione ai due indagati viene contestato il reato di autoriciclaggio per aver impiegato e trasferito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative, il denaro provento dei reati di truffa.
Contro l’ordinanza del Riesame di Torino che ha negato il dissequestro, i due pontini sono ricorsi in Cassazione insistendo sul difetto di territoriali, visto che una truffa è stata consumata ai danni di una donna di Milano (nel senso che quest’ultima ha versato i soldi, 1 milione di euro, presso un’agenzia di un istituto di credito meneghino) e parte dei soldi sono finiti in un conto di un istituto bancario di Latina.
Ad ogni modo, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso perché infondato, prima di tutto perché il reato di riciclaggio è stato commesso all’estero con il versamento dei soldi sui conti. Il procedimento rimane a Torino perché è in quella città che si è consumata la prima truffa. Non si possono considerare infatti neanche le modalità con cui i soldi sono stati spesi successivamente: ossia in criptovalute o in vestiti, automobili, cene e vacanze.