“E arriva nel tardo pomeriggio di oggi (ndr: ieri) la condanna a 9 anni del Gup di Palermo per Vito Nicastri, l’accusa “concorso esterno in associazione mafiosa”, è arrivata dopo tanti anni in cui, parlando del porto commerciale di Gaeta, si ci trovava a parlare di petcoke, di scarichi di merce polverose, e di pale eoliche. E qualcuno ci diceva, rimproverandoci, “ma neanche la roba pulita vi sta bene che arrivi al porto commerciale, neanche le pale eoliche!” E quando si provava a spiegare chi fosse Nicastri, che il Financial Times aveva soprannominato “il Signore del vento”, quando si provava a mettere insieme, Trapani, Palermo, Nicastri, le pale stoccate al Porto commerciale di Gaeta e Messina Denaro, e Cosa Nostra, qualcuno immaginava che si stavano facendo illazioni, che ci eravamo fatti prendere la mano dalla fantasia, che qualche giornalista aveva esagerato. Ecco, oggi arriva chiara netta, quella sentenza. Arriva in un silenzio surreale“. Parole del sindaco di Formia, Paola Villa, che ieri dalla sua pagina Facebook ha voluto sottolineare la condanna del noto re dell’eolico Vito Nicastri, al centro di intrecci mafiosi, politici e imprenditoriali, e legato persino al Basso Lazio, al porto commerciale di Gaeta. Un viluppo da dire a bassa voce e utilizzare con cura poiché le parole mafia o camorra, applicate al porto gaetano da pochi, e sussurrate da tanti, doveva rimanere bandita (leggi qui approfondimento di Latina Tu).
È per tale motivo che il sindaco Villa punta il dito sul negazionismo di questi anni, provenienti da importanti rappresentanti del mondo industriale del sud pontino (leggi qui il secondo approfondimento di Latina Tu), intorno agli affari del Signore dei Venti e dei suoi rapporti con la criminalità organizzata, denunciati da una sparuta minoranza di giornalisti e, da ieri, vidimati da una sentenza seppur di primo grado.
Il Signore dei venti, Vito Nicastri, l’imprenditore di Alcamo in affari con Paolo Arata, ex consulente di Matteo Salvini, è stato condannato dal gup di Palermo Filippo Lo Presti. Il reato è quello dei colletti bianchi, il concorso esterno in associazione mafiosa.
I sostituti procuratori Gianluca De Leo, Giacomo Brandini e il procuratore aggiunto Paolo Guido gli contestavano di aver intrattenuto rapporti con esponenti di cosche, tra cui quelle legate al boss numero uno dei superlatitanti italiani, Matteo Messina Denaro, l’ultimo padrino legato alla stagione degli attentati e delle bombe di Cosa Nostra, primula rossa dal giugno 1993.
Accusato dalla Direzione investigativa antimafia di Trapani di intestazione fittizia e corruzione nell’ambito del caso Arata, per Nicastri è la prima condanna per mafia, seppur avesse già subito una confisca di beni del valore di 1,3 mln di euro.
Punto di snodo per Nicastri è stata la vicenda Arata debordata la scorsa primavera, riguardante la presunta mazzetta da 30mila euro che avrebbe intascato l’ex sottosegretario alle infrastrutture e trasporti leghista Armando Siri – indagato per corruzione – per agevolare una politica energetica ricca di finanziamenti al fine di favorire le società dell’ex deputato di Forza Italia Paolo Arata, a sua volta ritenuto vicino a Nicastri e quindi alla rete di sostegni per la lunga e solida latitanza del super-ricercato mafioso Matteo Messina Denaro.
Ad oggi, l’imprenditore Nicastri collabora con i magistrati della Procura di Palermo, e ha svelato alcuni episodi di corruzione di pubblici funzionari, chiamando in causa il suo socio occulto Arata, pur avendo sempre negato di avere avuto rapporti con esponenti mafiosi. La sentenza di ieri lo smentisce. Il gup ha condannato anche il fratello di Vito, Roberto Nicastri, pure lui a 9 anni, per concorso esterno in associazione mafiosa.