L’ETERNO GIMONDI. E QUEL GIRO DEL ’69 CON LA TRAGEDIA DI TERRACINA

Felice Gimondi e il Cannibale Eddy Merckx
Felice Gimondi e il Cannibale Eddy Merckx durante la tappa Viterbo-Terracina nel Giro del 1969

In questi giorni, dopo la notizia della improvvisa morte del grande campione di ciclismo Felice Gimondi, si è detto e scritto molto sul suo conto.

Felice Gimondi con la maglia di campione d'Italia
Felice Gimondi con la maglia di campione d’Italia

Si è parlato dell’aspetto umano (corretto, serio, mai sopra le righe e fuori posto, un vero galantuomo, un esempio) e delle sue tante e grandi vittorie conseguite durante la sua lunga carriera da professionista (dal 1965 al 1979).

Un ciclista completo capace di vincere nelle corse in linea, nei grandi Giri e anche in pista; un corridore senza punti deboli che riusciva a primeggiare in salita, a cronometro e a difendersi bene e vincere anche in volata.

LE VITTORIE

Eddy Merckx
Eddy Merckx

Ricordiamo velocemente per dovere di cronaca e storia le sue più importanti vittorie, dalle corse a tappe alle grandi classiche in linea: il Tour de France nel 1965 (a soli 22 anni e al suo primo anno di professionismo); il Giro d’Italia nel 1967, nel 1969 e nel 1976; la Vuelta (il Giro di Spagna) nel 1968; la mitica Parigi – Roubaix (quella dove si affronta l’inferno del pavé) nel 1966; la Parigi – Bruxelles nel 1966 e nel 1976; il Giro di Lombardia nel 1966 e nel 1973; il campionato del mondo su strada nel 1973;  la Milano – Sanremo nel 1974.

È pacificamente riconosciuto che le vittorie di Felice Gimondi sarebbero state ancora più numerose se il suo destino sportivo non avesse incrociato quello del più grande ciclista di tutti i tempi, il belga Eddy    Merckx, detto il Cannibale.

IL GIRO D’ITALIA DEL 1969 E QUELLA MALEDETTA SETTIMA TAPPA

Tra le vittorie di Gimondi, come detto, c’è il Giro d’Italia del 1969.

Probabilmente, anzi sicuramente, è la vittoria che ricordava con meno piacere.

Quel Giro infatti fu funestato da una tragedia che accadde proprio nella nostra provincia, e precisamente a Terracina (ne abbiamo già parlato in un articolo pubblicato nel maggio scorso a cinquanta anni dall’evento).

Tragedia di Terracina - Giro d'Italia 1969
Tragedia di Terracina – Giro d’Italia 1969

All’arrivo in volata della tappa (Viterbo – Terracina) crollò una tribuna laterale dove erano assiepati i tifosi e morì un bambino di 11 anni; vi furono anche 48 feriti tra pubblico e ciclisti coinvolti dal cedimento della struttura.

Il Giro finì quindi tristemente, segnato anche da un’altra vicenda non sportiva: dopo la sedicesima tappa, Eddy Merckx, che era al comando della corsa, risultò positivo all’antidoping e fu squalificato. La maglia rosa passò quindi a Felice Gimondi che era secondo in classifica distanziato di 1 minuto e 41 secondi.  

PROTAGONISTA DI UN’EPOCA

Ciò che probabilmente merita di essere sottolineato è che la carriera di Felice Gimondi si è sviluppata in un contesto, sportivo e sociale, che ha tutte le caratteristiche per assurgere dalla mera narrazione di una serie di eventi ciclistici al racconto di una vera e propria epoca.

Vanno infatti ricordati due aspetti molto importanti. 

LA POPOLARITÀ DEL CICLISMO

Quando Gimondi iniziò la carriera la popolarità del ciclismo era pari a quella del calcio.

biglie con i corridoriI bambini e i ragazzi, così come sceglievano la propria squadra di calcio del cuore e il campione preferito, allo stesso tempo sceglievano il ciclista per cui tifare. Il ciclismo tra l’altro, con l’avvento della televisione e la diffusione generalizzata degli apparecchi televisivi, riunì nei salotti delle case in attesa del collegamento con la corsa tre generazioni (nonni, padri e figli). Inoltre non c’erano solo le figurine dei calciatori, ma anche quelle dei ciclisti, e d’estate si vedevano spesso bambini giocare con delle biglie all’interno delle quali era raffigurato il volto di un ciclista, biglie che facevano rotolare su una pista di sabbia realizzata trascinando per le gambe e con la schiena a terra il più leggero del gruppo.  

UNA STRAORDINARIA GENERAZIONE DI CICLISTI ITALIANI

Se Gimondi è stato l’unico italiano in grado di rivaleggiare con Eddy Merckx, non va dimenticato che fu il più grande di una straordinaria generazione di ciclisti italiani, che non ha avuto eguali nei periodi successivi.   

Da un'immagine Rai sulla Milano-Sanremo 1967. La cinquantottesima edizione della corsa fu disputata il 18 marzo 1967, su un percorso di 288 km. Fu vinta dal belga Eddy Merckx, giunto al traguardo precedendo gli italiani Gianni Motta e Franco Bitossi
Da un’immagine Rai sulla Milano-Sanremo 1967. La cinquantottesima edizione della corsa fu disputata il 18 marzo 1967, su un percorso di 288 km. Fu vinta dal belga Eddy Merckx, giunto al traguardo precedendo gli italiani Gianni Motta e Franco Bitossi

Vittorio Adorni vinse il Giro d’Italia del 1965 e il campionato del mondo su strada del 1968; Gianni Motta vinse il Giro d’Italia del 1966; Michele Dancelli è passato alla storia per aver spezzato nel 1970 quel sortilegio per cui nessun italiano riusciva più a vincere la Milano – Sanremo (l’ultimo prima di lui era stato Loretto Petrucci nel 1953); Marino Basso vinse il campionato del mondo su strada nel 1972; Dino Zandegù, che nelle volate faceva a sportellate con Marino Basso e il campione belga Sercu, si impose nel Giro delle Fiandre del 1967; Franco Bitossi, detto Cuore Matto per via degli attacchi di tachicardia che ogni tanto lo colpivano durante le gare e lo costringevano a fermarsi per un po’ prima di rituffarsi nell’agone, vinse ben 21 tappe nei Giri d’Italia ai quali partecipò oltre a sfiorare per un nonnulla la vittoria al campionato mondiale su strada; Italo Zilioli, eccezionale discesista, oltre alle vittorie nelle corse di linea si distinse per gli ottimi piazzamenti nei Giri d’Italia. Un ricordo particolare merita infine Vito Taccone scomparso nel 2007. Abruzzese dal carattere focoso è stato l’unico esemplare, all’interno di questa fantastica generazione di ciclisti, nato sotto la linea gotica.    

UNA EPOPÈA

I ciclisti citati ed altri ancora, di cui Gimondi rappresentò la massima espressione, non furono soltanto corridori e campioni, furono anche Uomini.

Vito Taccone
Vito Taccone

Non erano distinguibili soltanto per le caratteristiche tecniche e il modo di correre, ma pure, e forse di più, per quello che rappresentavano dal punto di vista umano.

Ognuno di essi aveva un carattere diverso dall’altro e la propria specifica storia personale e familiare.

Il minimo comune denominatore che li legava era quello di essere figli di chi aveva patito le sofferenze della guerra e di guardare con avveduta circospezione all’ebbrezza che caratterizzava l’Italia del boom economico.

Le loro vicende ciclistiche e umane potrebbero essere senz’altro degne di un poema epico in forma moderna e, grazie alla televisione, ne abbiamo anche la prova documentale.  

IL PROCESSO ALLA TAPPA

Il Processo alla tappa
Il Processo alla tappa, il programma televisivo della Rai con il grande giornalista Sergio Zavoli (il secondo da destra)

Uno dei più grandi giornalisti televisivi di sempre, Sergio Zavoli, ebbe una eccezionale intuizione: realizzare un programma in diretta da mandare in onda subito dopo la conclusione della tappa del Giro d’Italia al fine di commentarla e analizzarla.

“Il processo alla tappa”, questo il nome della trasmissione, andò in onda per nove Giri d’Italia consecutivi dal 1962 al 1970 (fu poi ripreso nel 1998) conseguendo uno straordinario successo. Ospitava grandi giornalisti (ad esempio Gianni Brera, Bruno Raschi, Gian Paolo Ormezzano) e allo stesso tempo umili gregari e corridori di secondo piano di cui venivano raccontate le storie sconosciute.

Ovviamente un ruolo di primo piano lo avevano proprio i grandi ciclisti italiani di cui abbiamo parlato, espressione di una generazione irripetibile.

È proprio da quelle stupende e suggestive immagini in bianco e nero della corsa, di cui il processo alla tappa riproponeva alcuni momenti topici, è proprio da quei volti stremati dalla fatica di ciclisti che avevano dato tutto, è proprio dalle parole schiette con cui i protagonisti si presentavano al pubblico televisivo che il racconto di quel periodo diventa epico.

E proprio come in ogni poema epico anche la morte segue la sua logica.

Con l’eccezione di Vito Taccone, come detto scomparso nel 2007, tutti gli straordinari protagonisti di quel periodo sopravvivono al migliore di loro, al più bravo, al più forte per potergli rendere l’ultimo doveroso e sentito omaggio.  

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