La testimonianza del Dirigente della Squadra Mobile di Latina in occasione dell’incontro on line organizzato dal Comune
“Se pensiamo di sconfiggere la mafia pontina solo con l’azione repressiva, abbiamo perso in partenza perché le mafie si cibano di cultura o sub cultura mafiosa“. Questa è probabilmente la frase più significativa pronunciata dal Dirigente della Squadra Mobile di Latina Giuseppe Pontecorvo in occasione della XXVI Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie organizzata dal Comune di Latina (vedi video di seguito). Ad essere presenti all’incontro Maria Paola Briganti vice Sindaco e Assessore alla Sicurezza, Marco Omizzolo giornalista e scrittore e Don Francesco Fiorillo, referente di Libera Contro le Mafie per la provincia di Latina.
Una testimonianza, quella di Pontecorvo, che è intrisa di orgoglio e consapevolezza accennando peraltro alle “molte altre inchieste che stiamo cercando di portare a termine“. Una conoscenza dell’elemento mafioso del territorio acquisita sul campo a capo della “straordinaria Squadra Mobile“, così la definisce, che negli ultimi anni ha oggettivamente portato a casa dei risultati importanti e storici per la città di Latina e oltre. Per la prima volta, infatti, da più di un trentennio che le dinamiche mafiose hanno inzuppato il territorio di Latina, vengono contestate le associazioni mafiose o i reati aggravati dal metodo mafioso ai clan cittadini. Ed è bene sottolineare “i clan” e non “il clan” perché il capoluogo ha sviluppato più ramificazioni e sodalizi a carattere famigliare e non.
Basti pensare alla paura dei cittadini di Latina che non denunciano. Pontecorvo ha letto in diretta alcuni passaggi di testimonianze di persone che hanno dichiarato, agli stessi inquirenti e investigatori, di non denunciare perché erano incappati in soggetti di cui avevano paura perché ne conoscevano la fama criminale – la loro e quella delle loro famiglie o gruppi a cui appartengono. Ecco, l’assoggettamento del territorio e l’omertà (due delle caratteristiche del 416bis) non rappresentano suggestioni letterarie e cinematografiche ma sono proprio questi episodi di sudditanza, senza più il bisogno di andare a prendere riferimenti o consultare paradigmi presenti in Sicilia, a Secondigliano o nella Locride.
Ha spiegato, Pontecorvo, che venendo dal sud, avendo studiato prima sui libri il fenomeno mafioso e, successivamente, operato come poliziotto in altre realtà mafiose, qui ha trovato qualcosa di unico, un vero e proprio “caso Latina” (“da non sovradimensionare ma neanche da sottostimare“): una città che è riuscita a sviluppare mafie autoctone. Un caso, per l’appunto, che fa di Latina uno specifico e particolare esempio che non si trova da nessuna altra parte d’Italia. Per chiarire, il Dirigente della Squadra Mobile fa l’esempio delle ‘ndrine delocalizzate che hanno comunque contatti con la terra calabra. Ecco, a Latina, ci sono sodalizi radicati e dotati, ormai da anni, di un potente e assoggettante allure criminale sul territorio, che non hanno legami di sottomissione con mafie di altri territori. Sono nate ex abrupto, primigenie di un territorio dove, fino agli anni Novanta-primi Duemila, si negava la presenza mafiosa. Dove, ad esempio, l’omicidio Moro veniva descritto e chiacchierato come un regolamento di conti tra balordi, quando, invece, era l’apice di una faida tra gruppi criminali strutturati come mafie, tramite mandanti, capi bastone e soldati pronti a mettere a ferro e fuoco una città per molti mesi nell’anno di grazia 2010.
Ebbene, a dirlo, è un giovane capo di una squadra di investigatori che viene da Reggio Calabria, il cui sguardo, quando è venuto a Latina, era scevro da condizionamenti territoriali, e per questo lucido, e le sue parole acquisiscono così un significato in più, poiché provenienti da chi non conosceva il territorio e lo ha studiato sin dall’inizio arrivando a una conclusione tremenda ma preziosa, e che è stata da stimolo per le investigazioni a cui ha contributo. Uno sguardo diverso, non indigeno e assuefatto, e che da quando si è posato su Latina, mano mano, ha visto il formarsi di una consapevolezza tecnica e tanto più culturale: la mafia non esiste solo in Sicilia, Calabria e Campania, ma è radicata anche qui, con schemi nuovi ma maledettamente affini alle ‘ndrine, alle cosche, ai clan di camorra.
Certo, ci sono ancora molti processi da celebrare, molte sentenze da pronunciare – e questo Pontecorvo lo ha specificato in un paio di passaggi del suo intervento – ma è dirimente la questione culturale. Da quella non si scappa. Non sono sufficienti le operazioni di polizia (Alba Pontina è sicuramente quella che è riuscita a dare la stura alle inchieste successive) e l’intervento della DDA a cui va il merito di aver creato un pool di magistrati concentrati sui fatti mafiosi di Latina e provincia, è indispensabile che ci sia l’estirpazione della cultura o sub cultura mafiosa.
“Serve l’intervento di tutti“, questo è il messaggio più importante di una testimonianza da tenere a mente. Perché a dirlo non è un latinense, ma qualcuno che è arrivato qui, nella Palude, non sapendo che avrebbe trovato clan e sub cultura mafiosa.