L’Omelia del vescovo Mariano Crociata per il 91° anniversario della Dedicazione della cattedrale di San Marco e 92° Natale della Città di Latina
“Questa chiesa cattedrale ci accoglie sempre, come parrocchiani o come fedeli delle parrocchie di Latina o come fedeli della diocesi. Essa è il segno della nostra Chiesa e del suo radunarsi per celebrare, pregare, e poi essere mandata in missione nei luoghi della vita, in famiglia, sul lavoro, nella società tutta. Siamo Chiesa dovunque, anche fuori da un luogo sacro come questo. Siamo grati per questo segno e per questo luogo, che racchiude in sé il senso del nostro essere Chiesa e del nostro essere cristiani, attorno al vescovo, espressione dell’identità apostolica della nostra fede, il quale ha qui la sua cattedra, il luogo simbolico della sua presidenza, del suo insegnamento, della sua guida.
La cattedrale è un po’ la nostra casa, la casa di tutti quanti formiamo la Chiesa. E come tale essa è anche il segno del passaggio e della visita di Dio nella nostra vita. La celebrazione annuale della dedicazione di questa chiesa cattedrale – specialmente nel tempo di Avvento e così prossimi al Natale – torna a dirci e a chiederci con tanta insistenza e con tanto incoraggiamento: il Signore passa, il Signore viene a visitarci; ma noi ci crediamo? Ne siamo convinti? Come ci trova questa visita e che cosa si attende da noi? Cerchiamo ogni tanto di tornare su queste domande, e non limitiamoci a sorvolarle velocemente.
La figura evangelica di Zaccheo ci aiuta non poco a riflettere e a rispondere alle domande della nostra fede. È un uomo lontano dalla religione, e anzi considerato un poco di buono, uno poco onesto. Eppure conserva in sé una grande curiosità, e in qualche modo una disponibilità a interrogarsi, a capire. È quello che vediamo al passaggio di Gesù. Egli cerca di vederlo e scopre con indicibile sorpresa di essere lui ad essere cercato. Misteriosamente, capisce che Gesù è venuto per lui: «oggi devo fermarmi a casa tua». Il tono perentorio di Gesù scioglie ogni dubbio e riserva, gli fa vincere ogni senso di vergogna e di indegnità che sempre lo ha accompagnato. L’accoglienza nella casa è cordiale e festosa, resa piena dalla decisione di cambiare vita, di passare dallo sfruttare gli altri a prendersi cura degli altri. Questo produce la visita del Signore quando viene accolta. E viene accolta quando in qualche modo è viva dentro una ricerca, un desiderio, un orientamento al più, al meglio, in ultimo a Dio.
Il venire in chiesa è autentico quando ci rilancia fuori dalla chiesa con un rinnovato desiderio di bene accresciuto e vivo. Desiderio di seguire Gesù e di portarlo dove conduciamo ordinariamente la nostra vita, con l’impegno serio a correggere le distorsioni dei nostri atteggiamenti e dei nostri comportamenti, passando come lo Zaccheo evangelico, dal curarci solo dei nostri interessi e del nostro privato al dedicarci anche agli altri.
Ci sono due categorie di persone che nella nostra città abbisognano più di altre di attenzione e di cura. La prima categoria è quella dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. Ad essi ci preoccupiamo di dare materialmente tutto il necessario. Purtroppo non tutti essi dispongono dei beni essenziali in uguale misura, considerata anche la fragilità e l’indigenza di tante famiglie. Accanto al benessere materiale bisogna aggiungere almeno un altro tipo di bene non meno necessario, e cioè l’educazione. Senza dubbio la scuola è il luogo privilegiato in cui questo compito viene assolto e deve essere una preoccupazione costante di tutti quella di garantire ambienti sicuri e servizi di qualità, oltre che di contrastare sempre di più la dispersione scolastica. Tuttavia non dobbiamo perdere di vista che la trasmissione di conoscenza e la attivazione di forme varie di esperienze e di socializzazione non bastano, se prima di tutto non ci sono figure di adulti e di educatori all’altezza del loro compito. Le nuove generazioni hanno bisogno prima di ogni altra cosa di modelli. Perciò la questione seria è quale genere di adulti i bambini, i ragazzi e i giovani di oggi trovano accanto a sé, in famiglia, a scuola, nelle parrocchie, nella società. Che modelli umani e cristiani siamo noi adulti?
Una seconda categoria di persone sono i poveri, i bisognosi di vario genere, i senza tetto, italiani e stranieri. Bisogna prendere atto dell’impegno molteplice che nella nostra città viene sviluppato, oltre che dalle istituzioni o dalla Caritas anche da associazioni e gruppi di varia ispirazione. Tuttavia il problema mantiene un livello di bisogni sempre molto alto. Bisognerebbe promuovere un’alleanza sempre più coinvolgente tra quanti operano a favore delle fasce più povere della comunità, tra istituzioni e volontariato, tra organismi associativi e privati. È una pena vedere gente che vaga o staziona nell’inedia o che vive di accattonaggio. Da questo punto di vista, un’opera sociale veramente efficace può essere solo quella che coinvolge e risveglia interesse e motivazione nelle stesse persone bisognose, perché – oltre ogni assistenzialismo – ognuno impari a fare qualcosa di buono, anche poco, della propria vita e del proprio tempo. Una cultura dell’impegno e dell’operosità è ciò di cui abbiamo bisogno un po’ tutti, non solo poveri e indigenti, ma anche giovani e adulti tutti, tra cui molti che spesso, se hanno un lavoro, lo usano per far passare il tempo e non per fare ciò che sarebbe richiesto e necessario.
Quando riceviamo una visita, tutto in noi in qualche modo si mette in moto, attenzione e tempo da dedicare, cose da predisporre, spazio da fare, accoglienza da dare. E il nostro tempo oggi ci fa sperimentare una visita speciale, il giubileo dell’anno prossimo, che per la diocesi sarà aperto in questa cattedrale il 29 prossimo. È un tempo di grazia, un tempo di risveglio e un tempo di speranza, quello che ci attende. Non facciamolo passare invano! Quando viviamo con speranza e impegno, la vita ci elargisce gioie e consolazioni che altrimenti non conosceremo mai”.