LATINA. INFERMIERA DELL’ICOT CONTAGIATA DA TUBERCOLOSI CHIEDE DANNI AL GRUPPO GIOMI

Icot Latina
Icot Latina
Infermiera dell’Icot, contagiata da tubercolosi a causa di un paziente proveniente dal Goretti di Latina, chiede danni al gruppo Giomi e scrive al Ministero per un’ispezione
 
Una storia di probabile sciatteria ha ridotto una signora 65enne, originaria di Minturno e residente a Latina, infermiera presso l’Icot di Latina, a dover affrontare la battaglia contro una malattia che parrebbe essere ormai confinata nei romanzi e nella Storia dell’Ottocento ma che, in realtà, è ancora pericolosissima: la tubercolosi.
 
Tutto inizia nell’agosto 2017 quando l’infermiera, dipendente della struttura ospedaliera riconducibile al gruppo Giomi, accoglie nel suo reparto una paziente, proveniente dall’ospedale civile Santa Maria Goretti di Latina, per una riabilitazione derivante da ictus.
 
sintomi tubercolosiTrasferita di nuovo al Goretti, ad ottobre la paziente viene riportata presso l’Icot e da lì si scopre che è affetta da T.B.C. ossia tubercolosi.
Qui iniziano i problemi: la paziente non viene condotta, come il protocollo esigerebbe, in camera di isolamento.
 
Allorché il medico competente con la capo servizio, e tutti coloro che erano entrati a contatto con la paziente malata, compresa l’infermiera, sono chiamati per il test di Mantoux, il test che viene effettuato per saggiare la presenza in un individuo di una infezione anche latente da Mycobacterium tuberculosis, il micobatterio della tubercolosi.
 
Il test dell’infermiera risulta negativo, ma c’è un però. La signora faceva uso di farmaci per patologie immunosoppressori e il medico ne era al corrente. Ecco perché, una volta recatasi dal reumatologo, quest’ultimo chiede all’infermiera di sottoporsi al test Quantiferon: un’analisi ematica che serve alle persone, le quali hanno sviluppato un’infezione ancora latente, di scoprire l’avvenuto contagio. Anche questo test risulta negativo e per tale ragione, in modo da appurare definitivamente l’avvenuta infezione, l’infermiera ha dovuto sospendere l’assunzione del farmaco immunosoppessore che avrebbe potuto coprire il virus tubercolotico.
 
test di Mantoux
Test di Mantoux
Interrotta l’assunzione dei suoi farmaci, la signora ricomincia e ripete, a inizio anno (2019), il Quantiferon che, in effetti, risulta dubbio. Aspetta tre mesi e si sottopone di nuovo agli esami e il test dà esito positivo, un risultato confermato anche da una lastra eseguita al torace che comprova la T.B.C latente.
L’infermiera, evidentemente preoccupata, si rivolge allora alla capo servizio dell’Icot sentendosi rispondere che non non c’era possibilità di fare niente. In seguito, il suo medico di famiglia le consiglia di andare presso l’ambulatorio di pneumologia dell’ASL di Latina, dove si sottopone di nuovo al test di Mantoux che risulta positivo. Tubercolosi diagnosticata, solo che le viene detto che, vista l’età (65 anni), non conviene fare nessuna cura. 
 
Dopo poco, la signora si reca all’Umberto I di Roma dove, tramite TAC, le confermano la tubercolosi. Accertato lo stato di infezione, come è naturale che sia, per l’infermiera comincia un incubo: angosciata e sconcertata per essersi infettata sul posto di lavoro, ben presto anche il timore e la sofferenza prendono piede anche in ragione del fatto che praticamente le è stato detto che non può curarsi.
 
C’è di più. Dopo la preoccupazione della malattia, l’infermiera informa la direzione dell’Icot ma in cambio, a suo dire, riceve solo indifferenza e negligenza che la fanno cadere in uno stato di depressione sentendosi sola ed impotente, anche perché, come accennato, le hanno detto a chiare lettere che le cure per le sono inutili: una tesi, quella della non cura, ribadita dal medico di famiglia e da un neurologo interpellato i quali sostengono che la terapia di cura sarebbe troppo invasiva per una signora di 65 anni.
 
Icot di Latina
Icot di Latina
Depressione e angoscia non la scoraggiano del tutto, e finalmente, per una storia che ha i tratti di un tormento, viene presa in cura da un infettivologo che le imposta una terapia con esami di controllo ogni 15 giorni. Il sollievo dura per poco perché, a causa di problemi epatici, la signora è costretta a sospendere la chemioratepia e a dover, così, rapportarsi di nuovo con crisi di panico croniche irrobustite dalla paura di creare problemi ai pazienti e alla gente che per lavoro e vita quotidiana le girano intorno.
 
Da questo punto inizia anche la sua battaglia nei confronti dell’Icot che individua, specialmente nella direzione, come responsabile di sciatteria poiché, secondo lei, difesa dall’avvocato Renato Mattarelli, avrebbero dovuto prendere provvedimenti per la sua salute e le persone che la circondano. Una vita oggettivamente cambiata che al di là delle responsabilità o meno dell’Icot assume i contorni di un’odissea che nessuno meriterebbe di vivere, nell’ansia quotidiana di contagiare colleghi dell’Icot e famigliari che convivono con lei.
 
Ospedale Santa Maria Goretti
Ospedale Santa Maria Goretti
In sintesi, ad oggi, la situazione si presenta molto grave per tanti motivi.
La signora, infermiera dell’Icot, non può curare una pregressa grave patologia – un’artrite psoriasica cronica – poiché i farmaci stimolerebbero l’attivazione della tubercolosi; d
iversi pazienti, parenti e personale sanitario sarebbero stato contagiati; non sarebbe stata avviata la denuncia di sinistro sul lavoro; l’Icot non risponde alle richieste di fornire le cartelle cliniche del paziente del Goretti che ha trasmesso la TBC, inviate una prima volta nel mese di novembre e una seconda in quello di dicembre; il gruppo Giomi, a cui sono state inviate le diffide, non risponde in merito alla richiesta dei danni subiti a causa del contagio.
 
Per tale ragione, la signora, tramite il suo legale, ha inviato una lettera alla Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute con la prece di istruire il relativo fascicolo e di avviare la dovuta ispezione alla struttura ospedaliera dell’Icot di Latina.
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