LA BANDA MAFIOSA DI TOR BELLA MONACA: DAL TERRENO A NETTUNO ALLE CASE ATER DI APRILIA

Tor Bella Monaca
Tor Bella Monaca

Il filo conduttore che da Tor Bella Monaca torna a toccare anche la provincia di Latina e il litorale sud romano

Non è la prima volta che da Torbella, il quartiere diventato uno dei centri di spaccio più forniti e imponenti d’Europa, si arriva nelle lande pontine.

Si sa, secondo i due collaboratori di giustizia di Latina, Renato Pugliese e Agostino Riccardo, che c’erano e probabilmente ci sono ancora contatti tra i sodalizi del nord pontino e di Latina, anche di origine nomade, con le bande di Tor Bella Monaca dove, a farla da padrone, ci sono clan agguerritissimi come i Moccia e i Cordaro.

Uno dei referenti dei clan nomadi di Latina, Gianfranco Mastracci, fu protetto proprio nel quartiere bunker di Tor Bella Monaca, quando le forze dell’ordine erano sulle sue tracce per un arresto. A riferirlo sono i pentiti che, comunque, nei loro verbali raccontano anche di passaggi di droga tra Latina e Tor Bella Monaca con tanto di truffe ai danni del Clan Moccia, seguiti da rappresaglie violente.

Gianfranco Mastracci
Gianfranco Mastracci

L’operazione dei militari del Comando Provinciale di Roma e del Nucleo investigativo di Frascati, scattata all’alba di martedì 27 aprile, nella Capitale e in varie regioni d’Italia, ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Roma Zsuzsa Mendola, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, nei confronti di 51 soggetti, 44 colpiti dalla misura della custodia cautelare in carcere e 7 agli arresti domiciliari, tutti appartenenti a un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico, con base in Via dell’Archeologia

C’era il lusso ostentato da parte di colui che è ritenuto il capo, il 34enne David Longo che faceva sfoggio di vacanze in Sardegna, a Ponza, a Capri, su yacht e persino elicotteri. Macchine alla moda, locandine di “Scarface”, rolex, preziosi, tutto guadagnato, secondo la DDA, con l’immenso giro di spaccio che a Torbella arrivava a fatturare 600mila euro al mese. A poter contestare l’aggravante mafiosa, a latere di questo mondo dell’apparenza, punizioni per gli affiliati che non rigavano dritto, rapimenti, pestaggi, botte anche a parenti e minacce a donne incinte.

I vertici, oltreché a David Longo, erano composti dal fratello di quest’ultimo Daniel, 30 anni (i due erano stati arrestati nel giugno 2016 quando gli inquirenti diedero un colpo rilevante all’egemonia su Torbella del clan Cordaro), e Alessandro Antonuccio, 27 anni. I tre gestivano la droga dalla loro roccaforte, localizzata ai civici 90 e 106 di via dell’Archeologia, nel cuore del cosiddetto “Ferro di cavallo” (lotto 5 di Tor Bella Monaca).

Il gip contesta a 37 affiliati alla banda l’associazione per delinquere con metodo mafioso per “non aver esitato a utilizzare la forza intimidatrice tipica del metodo mafioso, con modalità eclatanti ed evocative dell’appartenenza a un gruppo criminale organizzato tale da incutere nelle vittime una condizione di assoggettamento“.

A far saltare il banco due pentiti che hanno deciso di collaborare con lo Stato, Simone Pinto e Diego Refrigeri che hanno aiutato inquirenti e investigatori a ricostruire organigramma, flussi della droga e dinamiche violente in seno al sodalizio di Longo.

È Pinto a raccontare dell’escalation criminale di Longo, che conosce sin da ragazzo, e svelare come il gruppo malavitoso avesse interessi anche a pochi chilometri da Latina. “Conosco David da tantissimi anni, da quando lui faceva il pusher e io portavo le “pallette”, le dosi confezionate pronte a essere vendute. Nella prima fase il mio ruolo era controllare che la piazza di spaccio funzionasse bene, che le vedette facessero il loro lavoro e che i pusher non derubassero l’organizzazione. Un vero apprendistato dopo il quale Longo si rende conto che sono affidabile e mi incarica di tenere il denaro e i conti per circa 40-50mila euro l’anno. Il 17 luglio 2018 David vuole aggiungere 100mila euro nelle casseforti che custodisco nascoste in un terreno a Nettuno. Scopriamo però che sono state aperte. Comincia allora ad accusare me e mio padre di aver preso i soldi, 220mila euro, poi sempre di più fino a un milione. Per riavere i soldi mi obbliga a delegare a lui la riscossione della polizza assicurativa per un grave incidente che avevo avuto. A casa di mia nonna mio padre custodiva 40mila curo in contanti e prende anche quelli. Mio padre preleva altri soldi ma lui lo picchia di nuovo davanti ai miei familiari, poi minaccia di ucciderci e sua madre Anita minaccia mia sorella incinta: “Ammazzo pure la bambina che hai in pancia“.

Ma non è tutto. Il racconto da brividi lo fa un uomo che viene sequestrato da Danilo Lazzaro, un altro sodale della banda di Tor Bella Monaca, detto “mezzo sacco”. L’uomo e suo figlio commettono la leggerezza di chiedere al gruppo di Longo un prestito di svariate migliaia di euro, oltre 500mila euro. Da lì, l’incubo con tassi da usura e le richieste sempre più insistenti. A settembre 2018, l’uomo in debito con il gruppo di Via dell’Archeologia viene sequestrato e portato prima a Via Lussemburgo ad Aprilia, per ordine proprio di David Longo, e con la collaborazione di “mezzo sacco” Lazzaro, Sergio Flaccarini, Francesco Bruno e Marco Guerrieri. Uno scenario da brividi che si trasforma ben presto in un film dell’orrore criminale. Da Aprilia, il sequestrato viene spostato in più zone, anche a Roma, in attesa che salti fuori il figlio debitore e resosi irreperibile per paura di ritorsioni. Il padre viene trasferito come un pacco tra Roma e provincia, fino a tornare ad Aprilia.

Via Londra, Aprilia
Via Londra, Aprilia

Lazzaro – racconta agli inquirenti l’uomo vittima di sequestro – è tornato a recuperarmi e sempre con un’altra macchina mi ha condotto ad Aprilia in via Londra 4 (ndr: case Ater al Toscanini). Sono certo dell’indirizzo perché ho letto un cartello che si trovava di fronte all’ingresso di questo palazzo. Siamo saliti al primo plano e siamo entrati in questo appartamento composto da un piccolo corridoio con pavimento divelto, probabilmente per lavori, un saloncino con divano mentre sulla sinistra un piccolo angolo cottura con frigorifero e finestra con sbarre. In questa casa sono rimasto sino a quando sono riuscito a scappare la notte del 7 ottobre. Sono rimasto sempre da solo anche se ogni giorno, in orari diversi, mi veniva a trovare il Lazzaro Danilo che mi portava per strada a sgranchirmi le gambe sempre sotto la sua sorveglianza“.

Secondo la Procura/DDA di Roma, a mettere a disposizione l’appartamento di Via Londra potrebbe essere stato un uomo noto alle forze dell’ordine, il cui fratello, proprio in quel frangente, era stato arrestato per droga. Quest’ultimo sarebbe il reale assegnatario dell’appartamento Ater: si tratta di Renato Bosco.

Secondo l’uomo, ridotto praticamente ai domiciliari dalla banda Longo, il suo sequestro era quotidianamente controllato da vere e proprie vedette del quartiere Ater del Toscanini. “Mi sono me conto in quel giorni ogni qualvolta mi affacciavo al balcone di essere tenuto sotto controllo da alcuni giovani elle si trovavano per strada. Ho avuto conferma perché nei giorni successivi, quando Lazzaro è venuto a trovarmi, mi ha fatto vedere sul suo telefono una foto di quando mi trovavo fuori dal balcone dicendomi di non fare stronzate perché ero sotto controllo. La foto era scattata dalla strada e questo mi ha dato conferma che i giovani che vedevo per strada mi tenevano sorto controllo“.

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