INCENDIO LOAS, QUELLA PEC DISATTIVATA E IL PASTICCIO TRA ENTI : “LA SOCIETÀ DI APRILIA OPERAVA CON LA SCIA SOSPESA”

/

Maxi-rogo alla Loas di Aprilia: riprende il processo che vede sul banco degli imputati i vertici dell’azienda di Via della Cooperazione

Una nuova udienza davanti al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Paolo Romano, per il processo a carico di Antonio Martino e Liberato Ciervo in qualità di soci della Loas Italia srl e dell’allora legale rappresentante Alberto Barnabei. Ai tre imputati il Pubblico Ministero Giuseppe Bontempo, oggi presente a rappresentare l’accusa (il titolare dell’indagine, Andrea D’Angeli, non è più in servizio a Latina) contesta sei capi d’accusa: incendio colposo e vari reati ambientali in ordine alla gestione dei rifiuti e allo smaltimento delle acque reflue. 

Oggi, 14 ottobre, sono stati ascoltati come testimoni dell’accusa due ingegneri dell’Arpa Lazio, oltreché al Comandante del Gruppo Carabinieri Forestali di Latina, Vittorio Iansiti. In particolare, ove ce ne fosse bisogno, uno dei due ingegneri dell’Arpa Lazio ha ribadito di come le misurazioni tramite centralina effettuate, ogni qual volta vi sono incendi presso le aziende – e la provincia pontina è tristemente ricca di. questi episodi -, risultano più o meno meri esercizi di stile. È sempre difficile, infatti, poter dire se ci sia inquinamento dell’aria o meno.

Esistono, infatti, valori solo indicativi da parte dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) per quanto riguarda i tre principali elementi misurati laddove scoppi un incendio presso un sito ricco di plastica e altro materiale che, a logica, è nocivo per la salute umana: si tratta di diossina, benzoapirene e PCB (Policlorobifenili). Lo si vede quando escono i risultati: l’Arpa appone sotto ogni valore rilevato la postilla per cui non ci sono valori a norma di legge travalicati i quali si possa parlare apertamente di inquinamento.

Ma, come ha fatto rilevare l’avvocato Marco Torelli della Provincia di Latina, costituitasi parte civile così come il Comune di Latina, assistito dall’avvocato Alessandra Muccitelli, il testo unico ambientale, ossia la legge di Stato, descrive quelle sostanze come altamente tossiche e cancerogene.

Entrambe le testimonianze degli ingegneri dell’Arpa Lazio hanno fatto emergere di come l’elemento tecnico non consenta di dire quello che a occhio e naso umani sembra: ossia che la nube di fumo nero che si sprigionò quel 9 agosto 2020, nel corso del terrificante incendio scoppiato alla Loas di Aprilia, è stata una sciagura per la salute umana.

Ciò che è certo è che i rifiuti accumulati nell’area gestita dalla Loas erano maggiori a quello che le autorizzazioni consentivano. Gli stessi ingegneri dell’Arpa lo hanno sostenuto, così come i rifiuti erano posizionati in zone dove non avrebbero dovuto stazionare e che, infatti, furono raggiunti dalle fiamme. Su tutti, il parcheggio dell’impresa che era diventato più o meno una discarica di plastica.

Le centraline rilevarono l’aria dopo l’incendio per dieci giorni, dal 10 al 19 agosto 2020. Ma, secondo uno dei due ingegneri dell’Arpa Lazio, Massimo Magliocchetti, non solo non esistono valori di soglia su cui misurare il livello di inquinamento, ma ha poco senso misurare in quanto l’incendio, nel caso di specie, durò troppo poco. Ci vorrebbero infatti 24 ore per avere dei dati certi, mentre l’incendio alla Loas perdurò dalle ore 20 del 9 agosto alle ore 6 del 10 agosto. E, inoltre, la quantità di materiale bruciato è stata troppo esigua per arrivare a delle conclusioni. Insomma, secondo il tecnico dell’Arpa, non è sufficiente aver avuto contezza che sono andate alle fiamme migliaia di tonnellate di plastica.

Per di più, queste sostanze sono volatili e possono scomparire dalla zona in poco tempo. Ecco perché risulta praticamente inutile, e forse è solo uno specchietto per le allodole, apporre le centraline sul luogo dell’incendio, laddove il vento può spostare le sostanze tossiche a chilometri di distanza in un batter d’occhio.

Diversa la testimonianza del Comandante dei Forestali di Latina, Vittorio Iansiti, il quale ha relazionato sugli accertamenti eseguiti, soprattuto rispetto quelli di natura amministrative, cioè riguardo alle eventuali omissioni e negligenze da parte degli enti in relazione alle autorizzazioni della Loas. Innanzitutto, è emerso che l’ultimo certificato prevenzione incendi della Loas risaliva addirittura al 2012, mentre la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), propedeutica alla predetta certificazione, era di fatto sospesa da una comunicazione dei Vigili del Fuoco.

Su questo aspetto, il Carabiniere Forestale ha esposto un fatto esemplificativo di ciò che non può che essere chiamato un pasticcio amministrativo, o meglio una vera e propria goffaggine. Infatti, i Vigili del Fuoco comunicarono al Comune via pec la sospensione della Scia, ma solo l’ente pubblico di Aprilia avrebbe potuto formalmente e ufficialmente sospenderla.

Perché la Scia della Loas non fu sospesa? Ufficialmente perché il Comune di Aprilia si scordò di comunicare ai Vigili del Fuoco il nuovo indirizzo pec. Per tale ragione la comunicazione dei Vigili del Fuoco fu inviata all’indirizzo disattivato. Un episodio che sembra uscito da un film grottesco, ma che è realmente avvenuto.

In sostanza, la Loas ha esercitato senza una scia e senza certificato prevenzione incendi, perché un indirizzo pec non fu comunicato tra due enti. La prima scia sospesa risaliva addirittura al 2015, dopodiché si ripetè fino al 2019 questo schema. Fatto sta che quando la Loas andò in fiamme stava operando senza Scia, un documento senza il quale nessuna attività in Italia può lavorare.

Secondo quanto riferito da Iansiti, i Vigili del Fuoco dicono che la Scia doveva intendersi sospesa e lo avevano comunicato non solo alla pec del Comune errata, ma anche alla stessa impresa apriliana, alla Prefettura e all’allora sindaco di Aprilia, Antonio Terra (il Comune di Aprilia, come noto, non si è costiuito parte civile).

Il processo – che è stato rinviato al prossimo 17 gennaio 2025 quando verrà concluso il contro-esame del Comandante Iansiti più l’esame di altri tre testimoni della Procura – scaturisce dall’indagine, portata avanti dal Procuratore aggiunto Carlo Lasperanza e dal sostituto procuratore Andrea D’Angeli, che fece emergere una quantità dei rifiuti in surplus presenti all’interno dell’area della Loas in Via della Cooperazione al momento del devastante incendio che ha praticamente carbonizzato due dei tre capannoni dell’azienda. Una tesi che gli imputati, difesi dall’avvocato Fabrizio D’Amico, avevano respinto già in udienza preliminare, avvalendosi anche dei pareri favorevoli degli Enti preposti a controllare (tra i quali, soprattutto, la Provincia di Latina, il Comune di Aprilia e la Regione Lazio) arrivati anche poco prima che il 9 agosto 2020 scoppiasse uno degli incendi più impattanti degli ultimi anni nella provincia di Latina e non solo.

Leggi anche:
ROGO LOAS, LA TESTIMONIANZA DEL VIGILE DEL FUOCO: “UN MACELLO, FIAMME DI 15 METRI: MAI VISTA UNA COSA DEL GENERE”

Al momento, pesa come un macigno sugli imputati ciò che venne scritto nel 2021 dalla Commissione Ecomafie del Parlamento italiano. Le indagini condotte unitamente all’ausilio dei Carabinieri del Norm di Aprilia, dei Carabinieri Forestali del NIPAAF di Latina e dei Carabinieri NOE di Roma – si leggeva nella relazione approvata il 4 agosto 2021, a un anno dal disastro – hanno consentito di appurare: a) la natura dolosa dell’incendio che si è sviluppato all’interno dell’area, su cui insiste l’impianto di smaltimento e recupero rifiuti speciali non pericolosi gestito dalla LOAS Italia S.r.l.: incendio per cui è stato iscritto autonomo procedimento penale (il n. 2211/21 R.G. notizie di reato mod. 44) nell’ambito del quale è stata formulata richiesta di archiviazione perché le indagini anche di natura tecnica non hanno consentito, allo stato, di individuare l’autore (o gli autori) del gesto criminale; b) una compromissione o comunque un deterioramento significativo e misurabile dell’aria consistito nella accertata presenza di diossine, furani e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) in valori superiori a quelli medi individuati dall’OMS (diossine e furani) e a quelli annuali previsti dal d.lgs. n. 155/2010 (gli IPA), anche nelle zone limitrofe all’area interessata dall’incendio appiccato dolosamente da persone rimaste ignote (come riportato nei rapporti di ARPA Lazio – Servizio Qualità dell’aria e monitoraggio degli agenti fisici; c) alcune criticità nella comunicazione e nel raccordo tra enti/autorità competenti in ordine al monitoraggio e/o controllo delle autorizzazioni, delle prescrizioni via via impartite e delle reali condizioni del sito con particolare riferimento allo stoccaggio e alla gestione dei rifiuti, anche al fine dell’adozione dei provvedimenti di sospensione o revoca delle autorizzazioni concesse”.

Leggi anche:
“UN MARE DE SORDI” DA SPARTIRSI: IL CASO CASTRIOTA TRA SEQUESTRI E VELENI IN PROCURA E TRIBUNALE

Articolo precedente

PORTA NORD A LATINA, INAUGURATO IL NUOVO PARCO PUBBLICO

Articolo successivo

GAETA, MERCATO EX AVIR SPOSTATO A SERAPO

Ultime da Giudiziaria