IL VOTO DI SCAMBIO DA DEL PRETE PER ADINOLFI. RICCARDO: “È LA POLITICA, MI CHIAMANO TUTTI”

/
Matteo Adinolfi
Matteo Adinolfi

Le dinamiche del voto di scambio raccontate dal collaboratore di giustizia Agostino Riccardo: quel mondo di sotto filtrato dai collettori del mondo di mezzo

Il numero di preferenze che il candidato Matteo Adinolfi risulta aver acquisito presso i seggi ubicati all’interno del plesso scolastico di via Gran Sasso d’Italia, struttura nella quale risultano chiamati ad esprimere la propria preferenza i cittadini residenti presso gli indirizzi controllati dal clan Di Silvio, raggiungono la somma pari a 33 preferenze. Ecco perché, come evince il Gip del Tribunale di Roma Nicotra, Agostino Riccardo non era riuscito a mantenere le promesse.

I voti pattuiti di Riccardo, per conto del Clan Di Silvio, con Del Prete e Forzan ammontavano a circa 80 fino ad arrivare a oltre duecento il giorno delle elezioni.

Per quanto dichiarato a verbale alla DDA da Renato Pugliese, infatti, “Agostino in quella occasione gli ha detto le zone precise dove si potevano acquistare i voti. In realtà Riccardo si era allargato perché la zona di via Pierluigi Nervi era di Sabatino Morelli”. E Sabatino Morelli, come ampiamente raccontato dall’inchiesta “Alba Pontina”, fa parte dell’omonima famiglia di origine rom che all’epoca entrò in contrasto, soccombendo, con i Di Silvio di Armando detto “Lallà”. I Morelli, infatti, erano rimasti fedeli al Clan Travali, sgominato nel frattempo dall’operazione Don’t Touch, e si occupavano della campagna elettorale per Angelo Tripodi Sindaco tramite i voti comprati a favore del candidato consigliere comunale Roberto Bergamo. Per tali episodi Angelo Morelli detto “Calo” e Roberto Bergamo sono a processo, presso il Tribunale di Roma, per illeciti di natura elettorale. La loro prima udienza è fissata il prossimo 14 ottobre.

I dubbi espressi da Emanuele Forzan circa il rispetto degli accordi da parte di Agostino Riccardo si sarebbero rivelati fondati: l’allora responsabile della campagna elettorale per Noi Con Salvini – Forzan, per l’appunto – in una conversazione con Del Prete, che invece si mostrava fiducioso, definisce i tipi come Riccardo “puttane in cerca di soldi“. Ad ogni modo, tale aspetto, secondo gli inquirenti e la legge, risulta irrilevante: secondo la nuova formulazione dell’articolo art. 416 ter del codice penale, in seguito alla riforma del 2014, “chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis (ndr: associazione mafiosa) in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”.

E sulla base di questo articolo di legge, la Procura/DDA di Roma ha basato la sua inchiesta nei confronti di Del Prete, Forzan e Adinolfi (anche Riccardo è indagato): perché c’è stata un’accettazione di voti in cambio di soldi da parte di Del Prete/Forzan per eleggere Adinolfi e perché colui che prometteva – Riccardo – le preferenze era un noto affiliato a Clan del capoluogo. Prima al gruppo dei Travali, poi al gruppo capeggiato da Armando “Lallà” Di Silvio. Senza contare che per quest’ultimo c’è una sentenza passata in giudicato, proprio nei confronti di Pugliese e Riccardo, che li cristallizza con l’aggravante mafiosa essendo stati ex affiliati, e ora collaboratori di giustizia, al Clan Di Silvio di Campo Boario.

“Era l’ultimo giorno prima delle votazioni – dichiara a verbale, nell’interrogatorio reso alla DDA di Roma da Agostino Riccardo lo scorso 11 febbraio, in merito all’inchiesta Del Prete/Forzan/Adinolfi – Del Prete ci aveva pagato le due tranche da 15.000 euro, Armando Di Silvio aveva assicurato in questo giorno 40 voti in più, che in questa occasione vennero comprati per 10.000 euro ed erano sempre destinati a Matteo Adinolfi. Lui contava mille euro alla volta, tant’è che contò fino a 10.000 euro. Io portai i soldi ad Armando Di Silvio e ci dividemmo i soldi anche con i figli, credo 2.500 curo ciascuno. Si trattava di soldi corrisposti per ulteriori voti che Armando personalmente avrebbe procurato, voti importanti perché determinanti per arrivare alla soglia dei 500. Aggiungo che nel valore dei 10.000 euro era compreso anche il servizio di affissione dei manifesti oltre la mezzanotte, ovvero l’orario dopo il quale sarebbe stato proibito dar luogo alle affissioni. Dopo le elezioni Raffaele Del Prete – descritto dal collaboratore come un “megalomane arrestato in passato per droga…corrotto da 15 anni, amico intimo di Mauro Carturan e Armando Di Silvio” – mi diede qualche soldo, ma piccole somme perché quando lo incontravo gli chiedevo sempre qualcosa. Credo che Adinolfi prese proprio cinquecento voti spaccati (ndr: in realtà 449), ovvero quelli che gli avevamo procurato noi e quelli procurati da Del Prete. Sempre in quel periodo Del Prete aveva fatto venire delle persone a tagliare l’erba e a mettere delle palme e dei giochi per bambini in via Helsinky, sotto le case popolari. Per quanto ne so le fece mettere proprio lui, forse con i suoi operai, nei giorni prima delle elezioni. Si trovano vicino al campo dove venne ucciso Fabio Buonamano, il parco si riconosce perché sembra un piccolo paradiso in un quartiere popolare, con delle palme esotiche, che sono ancora lì”.

Non mancavano neanche le tracce sugli eventuali voti portati nella disponibilità di Adinolfi. Sempre nello stesso interrogatorio datato 11 febbraio 2021, che costituisce l’inedito maggiore della nuova inchiesta per voto di scambio politico-mafioso, il collaboratore di giustizia rende note le modalità concordate di individuazione del voto attraverso la scrittura del nome del candidato Adinolfi espresso con la A maiuscola per i voti che avrebbe portato il Riccardo, mentre, per quelli di Armando Di Silvio, il nome di Adinolfi doveva essere scritto con la A in corsivo.
E Riccardo puntualizza che per convincere l’elettore a votare Adinolfi era sufficiente che Armando Di Silvio dicesse di votare quel candidato e la sua richiesta era un ordine, poiché nessuno avrebbe osato rifiutarsi. Un aspetto da cui discende per gli inquirenti “l’acquisizione del consenso elettorale tramite il metodo mafioso”. Si spende il nome di un boss per ottener ciò che si vuole.

“Le persone – spiega Riccardo a verbale – i cui voti erano assicurati, venivano convinte anzitutto perché noi eravamo il clan Di Silvio, e inoltre io mettevo i bigliettini con il nome del candidato in una busta e alcuni soldi, circa 150 euro. C’era un accordo per il controllo del voto, perché i voti che portavo io sarebbero stati espressi scrivendo il nome del candidato Adinolfi con la A scritta grande, mentre quelli di Armando credo dovessero essere espressi scrivendo il nome in corsivo. Ovviamente veniva espressa anche la preferenza per la lista Noi con Salvini con una croce. Ricordo che ai tempi di Maietta andavamo a prendere le persone con il camioncino per portarli a votare. Nelle elezioni del .2006-2007 abbiamo fatto vincere Maietta con 1.000 voti, divenne assessore al Comune (ndr: in realtà divenne assessore nella Giunta successiva, quella con Di Giorgi sindaco). Maietta faceva parte della lista di Zaccheo, che però non c’entra niente con questi traffici. Io all’epoca ero con il clan Travali; quando venne sfiduciato Zaccheo, si candidò nel 2011 Giovanni Di Giorgi. Anche in questa occasione abbiamo portato i voti come clan Travali . Nel 2013 nacque la lista “Fratelli D’Italia” e noi sostenemmo Pasquale Maietta con circa 35.000 voti per entrare alla Camera dei Deputati. Fecero dimettere Fabio Rampelli ed entrò Paquale Maietta. Nel 2013 Giovanni Di Giorgi ci presentò Gina Cetrone, che era consigliere uscente con la Giunta Polverini. Dovevamo sostenere anche lei per quel periodo elettorale, ma poi la tradimmo perché su richiesta di Maietta dirottammo i voti in favore di Nicola Calandrini; erano le elezioni del 2013″.

Un Agostino che al di là delle risultanze che vi saranno all’eventuale processo, dimostra di conoscere bene la politica e alcuni passaggi fondamentali delle elezioni intercorse dal 2007 al 2016. E in due intercettazioni derivanti dall’indagine si capisce a quale grado consapevolezza fosse arrivato l’attuale collaboratore di giustizia.

Del Prete: cazzo stai co’ ‘sto telefono
Riccardo: È la politica, mi chiamano tutti, non ce la faccio più sto a usci’ pazzo
Forzan: tocca…i messaggi Raffaè
Riccardo: oh io venerdì sono andato a mangiare coo Cusani, pooo, eh coso Forzan: Fazzone
Riccardo: Fazzone…Claudio, co Corradini, co Cetrone…mamma mia che…quanta robba oh
Del Prete: arriviamoci a quei livelli Agosti’

Successivamente, sempre a maggio 2016.
Riccardo: da qua via Magenta tutto bene tutto a mia moglie, mi madre, mi padre, Francescaaa e tutta la scala, tutta la scala, tutto quanto eh
Del Prete: non mi dire più niente, se mi dici quello che esce non è un problema
Riccardo: te lo dico io, cinquanta voti
Del Prete: va bene
Riccardo: poi se…ti serve qualcosa in più (nel frattempo a Riccardo gli squilla nuovamente il telefono e dice di non farcela più per cui non risponde)…eh poi ne parliamo ti faccio parlare co’ na persona brava, tranquilla ah…voti di Pasquale erano
Del Prete: ah
Riccardo: tutti voti che piava Pasquale (ndr: Maietta)
Del Prete: ma co Cipolletta?
Riccardo: no, non è Cipolletta
Del Prete: ah
Riccardo: una persona tranquilla che conosce mio padre bene
Del Prete: uhm
Riccardo: te lo dico perché è Armando, se già c’aveva parlato, uno…
Del Prete: ahhh…ok vabbè
Riccardo: quelli sono ottantasette voti tutti che piava sempre Pasquale…mo’ li sta a corteggia’ Calvi tramite Bruno Creo…

I rapporti tra Del Prete, Forzan e Agostino Riccardo escludono la diretta interlocuzione con il mondo di sopra politico. In un episodio, raccontato da Riccardo, è lo stesso Del Prete a mostrare fastidio e diffidenza quando, nell’estate 2016, presso uno stabilimento di San Felice Circeo, il “pentito” lo incontra con l’attuale deputato Zicchieri. Del Prete marca la distanza poiché i due mondi – quello criminale e quello politico – devono rimanere distanti e l’unico trait d’union può essere solo il collettore di voti, in questo caso – come prospettato dalla DDA – lui stesso: l’imprenditore dei rifiuti in cerca di riferimenti politici per i suoi affari.

Lo stesso Adinolfi – senza che per questo si intacchi la ratio dell’inchiesta sul voto di scambio politico-mafioso – rimane fuori dai contatti col mondo di sotto, a parte l’incontro ravvicinato con due Di Silvio (ala Gionchetto, vedi link sotto).

Leggi anche:
PACCHETTI DI VOTI, DEL PRETE E LA LEGA DI SALVINI/ADINOLFI: NON SOLO RICCARDO, CITATI DI SILVIO E ALTRI POLITICI

L’attuale parlamentare, al massimo, si presenta nelle intercettazioni dell’inchiesta a colloquio con Emanuele Forzan e Del Prete.

Siamo sempre prima delle Comunali 2016.
Forzan: che ti devi recuperà Mattè, ma che stiamo a fa’, mi metti nell’impiccio
Adinolfi: (si sente la voce di Matteo Adinolfi ma non si capisce cosa dica) ottantadue (sembra di capire)
Forzan: so centotredici, scimonito (sembra di capire).

Successivamente, la conversazione prosegue fuori dall’ufficio di Del Prete e oltre a Matteo Adinolfi ed Emanuele Forzan viene rilevata dalla Polizia Giudiziaria la presenza di altre persone, tra cui i fratelli Raffaele e Pasquale Del Prete.
Il discorso continua sul tema dei soldi sin quando Forzan contesta verosimilmente ad Adinolfi la sua ritrosia a pagare: “Mi cambi discorso, cioè non cacci mai`na lira“.

Articolo precedente

CHIUSURA IMPIANTO RIDA: COMUNE DI APRILIA GARANTISCE RACCOLTA PANNOLINI

Articolo successivo

SAN FELICE CIRCEO: AGGREDISCE UN UOMO E GLI RUBA LA BICI. 23ENNE IN ARRESTO

Ultime da Focus