A sette anni da quei fatti inizia la cosiddetta guerra criminale di Latina. Nel 2010, viene colpito all’addome da una pallottola (gliene sparano addosso sette) il reuccio del Pantanaccio, Carmine Ciarelli, il Porchettone, e da lì si scatena la mattanza.
I Ciarelli si alleano con i Di Silvio. Ne ammazzano due: il 25 gennaio, a poche ore dall’attentato a Porchettone, uccidono Massimiliano Moro, il giorno dopo, il 26 gennaio, mettono fine alla vita di Fabio “Bistecca” Buonamano, definito dal pentito di Alba Pontina, Agostino Riccardo, come il suo migliore amico.
Per Moro, vengono indagati appartenenti alla famiglia Ciarelli, Ferdinando detto “Furt” (un capoccia del clan) e Antoniogiorgio, e due acquisiti: Andrea Pradissitto e Simone Grenga. Alla fine, nessun colpevole e nessun processo.
Il 22 febbraio del 2011 il sostituto procuratore di Latina Marco Giancristofaro rilascia alcune dichiarazioni sull’omicidio Buonamano definito come “una vera e propria esecuzione commessa con particolare crudeltà che ha provocato un dolore inimmaginabile ai genitori e ai fratelli”. Giancristofaro, nella requisitoria del processo con il rito abbreviato a carico di Patatone condannato a venti anni per l’omicidio Buonamano, sostiene che Carmine Ciarelli ha raccontato agli investigatori che qualche anno prima Costantino Patatone Di Silvio, durante un periodo di detenzione in carcere, aveva saputo che a premere il detonatore nell’estate 2003 a Capoportiere era stato proprio “Bistecca” Buonamano. Questa sarebbe la ragione per cui Patatone e suo zio Romolo Di Silvio si sarebbero vendicati uccidendo “Bistecca”, e secondo alcune testimonianze: “Buonamano era assillato dagli zingari che gli avevano chiesto di sparare ad un avvocato, parte offesa in un processo per estorsione che si era concluso con la condanna di Costantino Di Silvio (ndr: Patatone). L’uccisione di Buonamano, notoriamente legato a Massimiliamo Moro e al suo gruppo – sostenne Giancristofaro – era la vendetta per la morte del padre di Costantino e anche per gli spari contro Carmine Ciarelli”.
Tesi pronunciata all’interno di una requisitoria che, però, non sortì alcuna conseguenza processuale né tantomeno una verità storica accertata.
Eppure, nella requisitoria del dott. Giancristofaro, alcune cose non quadrano. Passano infatti sette anni dall’uccisione de Il Bello. Come mai i figli, Sapurò e Patatone, non fanno niente in quei lunghi sette anni? Cosa li blocca a cercare di vendicare con metodi criminali il padre? E come si lega l’attentato a Ciarelli e la sete di vendetta di quest’ultimo, con il desiderio di rivalsa per la misera fine de Il Bello da parte dei figli? Hanno fatto un pacchetto unico? Difficile da credere, non fila.
Ma, sopratutto, è possibile che i Di Silvio si rivolgano a Buonamano per far sparare a un avvocato, parte offesa in un processo per estorsione consumata da Patatone, e al contempo credano sia lui, Bistecca, il responsabile della morte de Il Bello? Per sparare a un uomo serve qualcuno di fiducia nella prammatica criminale, è mai pensabile che Patatone accetti che a farlo sia il killer di suo padre?
Nella sentenza di appello del processo Caronte, emessa il 23 ottobre 2015, che ha condannato nel merito (poi confermata in Cassazione) molti appartenenti al clan Ciarelli e al clan Di Silvio a pene più o meno esemplari, tra i condannati ci fu necessariamente il figlio di Angelina: Costantino Patatone Di Silvio. In realtà il suo caso fu trattato separatamente, col rito abbreviato, in un processo ad hoc che lo vide condannato a venti anni come esecutore materiale, insieme allo zio Giuseppe “Romolo” Di Silvio (lui, sì, un boss), dell’omicidio di Fabio “Bistecca” Buonamano, volto storico della mala pontina sponda Moro, Nardone and Co., ammazzato senza troppi complimenti ma, come parrebbe, senza movente definito.
In un passaggio della sentenza Caronte viene descritto un altro attentato (tra i tanti citati in quelle carte), quello ai danni di Fabrizio Marchetto, che nel 2003 aveva gambizzato Luca Troiani, zio di Patatone.
Verso le 20,40 del 6 marzo 2010 Andrea Pradissitto e Simone Grenga, il primo compagno di Valentina Ciarelli, figlia di Ferdinando Ciarelli e Rosaria Di Silvio, il secondo compagno di Valentina Veronica Ciarelli, figlia di Luigi Ciarelli, fratello di Carmine ecc., vengono ripetutamente segnalati con una moto, i caschi infilati in testa e armati di pistola. Acciuffati e arrestati nel quartiere Nicolosi, tra via Emanuele Filiberto e via Curtatone.
Sulla base del contenuto di alcune intercettazioni ambientali effettuate dopo l’arresto, gli inquirenti giunsero alla conclusione, poi condivisa dal Tribunale, che i due arrestati fossero in attesa di Fabrizio Marchetto per ucciderlo.
In primo luogo l’agguato, viene scritto nella sentenza d’appello di Caronte, era stato organizzato come ritorsione degli appartenenti al clan Di Silvio nei confronti di colui (Marchetto) che, già condannato per il tentato omicidio (poi riqualificato in lesioni aggravate) di Luca Troiani, cognato di Ferdinando il Bello, era da tutti ritenuto responsabile anche dell’omicidio di quest’ultimo che, dopo avere minacciato il padre del Marchetto e preteso dal datore di lavoro di quest’ultimo la somma di 300 milioni a titolo di risarcimento danni, rimase ucciso, nel 2003, nell’esplosione.
Inoltre, dalle medesime intercettazioni ambientali nonché dall’analisi dei tabulati telefonici relativi alle chiamate effettuate dal Grenga con l’apparecchio cellulare trovato in suo possesso all’atto dell’arresto, emergeva ad avviso del Tribunale, la prova del coinvolgimento nel tentato omicidio del Marchetto anche di Ferdinando Ciarelli (fratello di Carmine e padre di Valentina): un coinvolgimento, scrivono i giudici della Corte di Appello romana, rivelatore dell’ulteriore movente dell’agguato e riconducibile ad una collaborazione tra gli appartenenti alla famiglia Ciarelli e quelli appartenenti alla famigli Di Silvio (di fatto appartenenti ad un unico clan, in quanto, come già osservato, imparentati tra di loro) finalizzata ad assicurarsi il controllo dei traffici illeciti sul territorio di Latina previo annientamento di una fazione rivale facente capo a Mario Nardone ed alla quale apparteneva come affiliato nonché amico di Nardone anche il predetto Fabrizio Marchetto.
Eppure, nella stessa sentenza, la complicità materiale di Ciarelli e parenti viene descritta come “inconciliabile con la stessa logica criminale ipotizzata dal Tribunale, quale movente dell’agguato, atteso che nessun appartenente della famiglia Di Silvio avrebbe mai delegato a terzi una vendetta per l’uccisione di un congiunto (ndr: Ferdinando Il Bello)”.
Le dichiarazioni di Giancristofaro sono del 2011, appena quattro anni dopo i magistrati della sentenza Caronte non ritengono conciliabile quella tesi. I Di Silvio non hanno bisogno dei Ciarelli per vendicare la morte de Il Bello, ma perché attendono sette anni e, sopratutto, in un’occasione quale è quella di una guerra criminale scatenata dall’attentato a Carmine Ciarelli, ossia un soggetto non interno alla famiglia Di Silvio?
Qualcuno potrebbe pensare che colpito Ciarelli, i due principali clan di origine nomade si mettono insieme e regolano tutti i conti lasciati in sospeso. Non solo gli attentatori di Porchettone – esecutore e mandante – ma anche esecutori e mandanti di altre storie del passato: Bistecca come esecutorie dell’omicidio de Il Bello e Marchetto come mandante, sebbene mai nessuna sentenza abbia stabilito che Marchetto, peraltro di uno spessore criminale non all’altezza per decidere da solo di far saltare il figlio di Antonio “Baffone” Di Silvio in aria, sia stato effettivamente l’ideatore dell’autobomba di Capoportiere.
È chiaro che molti tasselli non si incastrano. Non ci sono certezze su chi abbia ucciso Il Bello che esce dal carcere nella tarda primavera del 2003 e poi, dopo il ferimento di Troiani suo cognato per mano di Marchetto, viene sbalzato su come un magistrato antimafia.
C’è di più. Un altro punto è poco chiaro. La famiglia di Ferdinando Il Bello non è la prima volta che lascia trapelare messaggi all’esterno. Solo tre anni fa Patatone finì in un articolo di cronaca, descritto come redento nel carcere, rinato, intento alla lettura e al teatro, con barba lunga e curata e uno sguardo da bravo cristiano. Anche lui una lettera pubblica, in cui scriveva che si sarebbe iscritto all’Istituto Tecnico Commerciale dopo aver conseguito il diploma di scuola media. Di collaborare con la giustizia, al netto del santino autoreferenziale, niente; tuttavia a colpire furono i commenti sui social di appartenenti alla sua famiglia che ci tennero a dire che Patatone non era così, non era “piegato dal carcere” come intitolava l’articolo di cronaca, ma rappresentava ancora uno di loro. Dopo tre anni, un’altra missiva da dare in pasto alle cronache da parte della madre: ma come mai solo oggi Angelina Di Silvio si domanda chi siano gli attentatori del marito? Logica vorrebbe, se fosse come dice Giancristofaro, che la donna non avrebbe che da chiederlo a suo figlio, Patatone, il quale secondo il magistrato di Latina si era vendicato del padre uccidendo Bistecca (ipotesi sempre negata da Patatone stesso che, a processo, parlò di una disgrazia e di un’antica amicizia che lo legava a Buonamano essendo entrambi di Viale Kennedy, zona cimitero).
La madre di Patatone e moglie de Il Bello, apparentemente, non dà per buona la tesi succitata e questo potrebbe dirci che i Di Silvio non hanno mai pensato che l’attentato al Lido fosse opera del duo Bistecca-Marchetto. Anzi, da sentenza definitiva per Patatone e suo zio Romolo Di Silvio (a 25 anni), fratello de Il Bello, condannati per l’omicidio, il movente è indefinito, e niente suggerisce che sia stato commesso per la morte de Il Bello. Angelina Di Silvio lo conferma con la sua lettera. Uno dei due pentiti di Alba Pontina, Renato Pugliese il figlio di Cha Cha, nei verbali resi alla DDA nel 2017-18, racconta che chiese al boss Armando Lallà Di Silvio sulla morte de Il Bello: “Domandai perché nessuno aveva fatto nulla nonostante l’uccisione di Ferdinando all’epoca. Armando e Ferdinando “Pupetto” mi hanno detto che nel 2010 (ndr: Renato Pugliese era in carcere durante la guerra criminale) cercarono il mandante per ucciderlo e lui si nascose“. Escludendo ancora di più la versione del dott. Giancristofaro che parlò di Bistecca e Marchetto come autori dell’omicidio di Capoportiere.
Quindi, chi ha ucciso il Bello e perché? Per quale ragione utilizzare un modo così debordante e appariscente? E per quale motivo, a distanza di sedici anni dall’autobomba, Angelina Di Silvio e famiglia, compreso Patatone (che fa sapere di volere la continuazione dei reati e uscire prima dal carcere), marcano il campo chiedendo giustizia?