Dissequestro dell’hotel Grotta di Tiberio, la Cassazione respinge il ricorso della Procura della Repubblica di Latina
L’ennesimo capitolo di una vicenda infinita, quella dell’hotel Grotta di Tibero: la struttura alberghiera abusiva che, un tempo appartenuta pro quota all’attuale sindaco di Sperlonga, Armando Cusani, non finisce di riempire le carte bollate. Il braccio di ferro attuale è tra la Chinappi Aldo Erasmo & C. s.a.s, società riconducibile al suocero di Cusani, e la Procura della Repubblica di Latina, ossia del sostituto procuratore Giuseppe Miliano, il quale, nella scorsa estate 2024, chiese e ottenne il sequestro dell’hotel, già acquisito al patrimonio del Comune sperlongano, in ottica demolizione mai, però, realizzata.
A febbraio scorso, con una decisione inaspettata, il terzo collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Mario La Rosa, aveva accolto l’appello presentato dalla società Chinappi Aldo Erasmo & C. s.a.s, assistita dall’avvocato Luigi Panella, disponendo il dissequestro dell’hotel Grotta di Tiberio, l’albergo abusivo – come detto – al centro di annose vicende giudiziarie, sia dal punto di vista penale che amministrativo.
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Il Tribunale aveva dovuto però mantenere l’indisponibilità del bene, essendo stato acquisito sin dalla scorsa primavera (anno 2024) al patrimonio del Comune di Sperlonga, rimandando tutto al giudice civile verso cui la Chinappi si è rivolto, chiedendo i danni all’ente. Una decisione sorprendente anche in ragion del fatto che la materia era stata già trattata ampiamente dai giudici amministrativi di Tar e Consiglio di Stato che avevano certificato gli abusi edilizi.
Contro quella decisione, il sostituto procuratore di Latina ha ricorso in Cassazione che, lo scorso 9 luglio, con una sentenza pubblicata oggi, 9 agosto, ha ritenuto inammissibile l’istanza. Il sostituto procuratore ha impugnato, infatti, la suddetta ordinanza con cui il Tribunale di Latina, in sede di appello, aveva annullato l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 31 luglio 2024 con cui veniva disposto il sequestro preventivo del complesso turistico/alberghiero denominato Hotel Grotta di Tiberio.
Il Tribunale, presieduto dal giudice La Rosa, annullando il decreto di sequestro, aveva rimesso le parti davanti al giudice civile, avendo rilevato l’esistenza di una controversia in ordine alla proprietà dei beni. Tesi confutata dal pm Miliano poiché non sussiste “alcuna controversia quanto alla titolarità del bene, per come ritenuto dal Tribunale”, tanto più che “l’occupazione dell’immobile si è attuata attraverso la stipula del contratto di locazione in favore della società Meraki s.r.l., nella consapevolezza dell’altruità del bene”. Società, la Meraki srl, controllata peraltro dalla famiglia Cusani.
“Se è vero che la società Chinappi Aldo Erasmo & C. s.a.s – scrive il pubblico ministero nel suo ricorso – aveva il possesso della res fino al momento dell’interversio, avvenuta con l’emanazione del provvedimento amministrativo, è altrettanto evidente come la stipula del contratto successivo fosse idonea a configurare l’invasione di cui alla imputazione mediante la condotta, da parte di un soggetto terzo rispetto al precedente possessore, in concorso tra loro”.
Inoltre, scrive la Cassazione, “all’esito della sentenza del Consiglio di Stato, la società avrebbe dovuto dare seguito all’ordine di demolizione nel termine di novanta giorni. Termine che non è stato rispettato con la conseguenza che l’immobile è diventata a tutti gli effetti, ipso iure, una proprietà pubblica”.
Ad ogni modo, per gli ermellini della sezione seconda, il ricorso del pubblico ministero è inammissibile per carenza d’interesse, in quanto “il provvedimento impugnato ha annullato il decreto di sequestro preventivo disposto dal G.i.p., ma ha contestualmente disposto la conservazione del vincolo nelle more della definizione della controversia in ordine alla titolarità dei beni sequestrati”.
Secondo la Cassazione, la decisione (febbraio 2025) dei giudici dell’Appello – ossia il terzo collegio del Tribunale di Latina – “appare corretta, atteso che l’esistenza della controversia emerge già dalla sola lettura del ricorso, atteso che l’attribuzione della proprietà del complesso turistico al Comune di Sperlonga suppone la verifica degli effetti dell’ordine di demolizione e dell’eventuale mancata ottemperanza a esso, così richiedendosi la risoluzione di una questione che esula dall’oggetto del procedimento penale, dovendosi accertare se vi sia stata in effetti l’automatica traslazione della proprietà nel patrimonio comunale”.
Il ricorso viene rigetto poiché, in sostanza, non cambierebbe nulla: “l’annullamento del sequestro – motivano gli ermellini – non ha determinato la restituzione del bene, né ha prodotto effetti lesivi in ordine alla conservazione delle esigenze investigative e delle finalità impeditive per cui era stato disposto, in quanto il tribunale, con statuizione autonoma, ha disposto la prosecuzione del vincolo reale in via conservativa, rimettendo la questione della titolarità del bene al giudice civile. In tal modo, il bene continua a essere sottratto alla disponibilità delle parti, in attesa della decisione in sede civile“. La palla, quindi, per l’ennesima volta, passa a un giudice diverso il quale, però, non potrà ignorare il macroscopico abuso edilizio che si erge da anni a Sperlonga.
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