Hotel Grotta di Tiberio, la vicenda della struttura alberghiera si “arricchisce” di un altro episodio sorprendente
Non sono state sufficienti sentenze irrevocabili di natura amministrativa che dichiarano abusivo l’hotel Gotta di Tiberio, né sequestri (con sentenze sorprendenti di dissequestro) e acquisizioni al patrimonio del Comune. La società “Chinappi Aldo Erasmo & C”, riconducibile, come noto, al suocero del sindaco di Sperlonga, Armando Cusani, non demorde e, come emerge in questi giorni, ha chiesto, nell’agosto 2024 – ossia quando la magistratura pontina aveva sequestrato l’immobile, già dichiarato abusivo dallo stesso ente che aveva emesso un ordine di demolizione – di poter sanare il suddetto macroscopico abuso con una sanzione pecuniaria.
La Chinappi, infatti, ha presentato, il 7 agosto 2024, all’area gestione e territorio del Comune di Sperlonga, una istanza ex articolo 38 D.P.R. 380/2001. Tradotto: la società chiede al comune di pagare una risibile somma per ovviare all’ordine di demolizione dell’hotel e, quindi, all’abuso certificato da due sentenze già emesse di Tar e Consiglio di Stato.
Cosa dice nello specifico l’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica nell’anno di grazia 2001? “In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
E il Comune di Sperlonga cosa ha fatto con la Chinappi? Ha risposto che il bene è abusivo e su di esso pende un sequestro penale? Macché. Lo scorso 4 luglio, l’ente presieduto dal suocero del sindaco ha inviato alla società del medesimo suocero una richiesta di integrazioni documentali, confermando che in Comune si sta lavorando all’istanza che laverebbe con pochi spicci un abuso di decenni e decenni. La Chinappi non si è fatta pregare e ha presentato una serie di stralci cartografici, tabulati e documenti per chiedere all’ente comunale un riesame dell’ordine di demolizione sulla base di “nuovi elementi”.
Tutto in barba anche alla recente sentenza di Cassazione che, respingendo il ricorso della Procura di Latina contro il dissequestro del bene stabilito dal Tribunale di Latina (che comunque non restituisce il bene alla Chinappi, ma demanda la decisione a un giudice civile), ha chiarito che “all’esito della sentenza del Consiglio di Stato, la società avrebbe dovuto dare seguito all’ordine di demolizione nel termine di novanta giorni. Termine che non è stato rispettato con la conseguenza che l’immobile è diventata a tutti gli effetti, ipso iure, una proprietà pubblica”.