Il 25 agosto è stato pescato direttamente sulla battigia un esemplare di Granchio Blu (o anche Granchio nuotatore) nel tratto del lungomare di Latina che va da Capo Portiere a Foce Verde.
Il Callinectes sapidus (nomenclatura binomia che indica proprio il Granchio blu), crostaceo che presenta delle sfumature blu su chele e arti, è una specie originaria dell’Atlantico occidentale, dalla Nuova Scozia all’Uruguay. Nei primi del ‘900 sono iniziate le segnalazioni in Mar Baltico, Olanda e Francia, mentre nel Mediterraneo la sua presenza è stata segnalata in Israele, Grecia, Turchia, Francia, Libano, Malta, Cipro, Egitto. Nel mare Adriatico si è diffuso negli ultimi anni fino ad arrivare nella zona di Venezia, passando per Marche e Salento; pare che nello Ionio risulti essere oramai ben consolidato. A seguito di questa espansione, è comprensibile che sia arrivato fin sul lido di Latina. Inoltre, il Granchio blu preferisce vivere negli estuari a una profondità tra 0-90 metri su fondali sabbiosi e fangosi e, molto probabilmente, troverebbe un habitat a lui favorevole lungo le coste pontine.
Tuttavia, l’istinto predatorio, vorace e onnivoro del Granchio blu potrebbe rivelarsi una potenziale molestia per molti degli esseri viventi degli habitat marini (pesci, avannotti, anfibi, molluschi, crostacei, insetti e giovanili di rettili e di uccelli), anche se come pasto non disdegna piante acquatiche (superiori ed inferiori) o necromasse vegetali (piante in decomposizione). Il Callinectes sapidus rappresenta, quindi, una minaccia alla biodiversità autoctona per predazione diretta, per competizione (in particolare con altri granchi) o per alterazione degli habitat che colonizza.
Ma il Granchio blu non è il solo crostaceo ad arrivare da lontano: a Portofino in Liguria e all’Isola d’Elba in Toscana è stato avvistato il Granchio corridore, il quale si nutre prevalentemente di alghe, nonostante che, di recente, ci siano testimonianze di una sua indole onnivora. Il Granchio corridore è facilmente riconoscibile per il carapace sottile, la colorazione accesa e le zampe lunghe con anelli gialli nei pressi delle articolazioni.
Si ipotizza che il suo arrivo nel Mediterraneo sia stato causato, come per il Granchio blu, dalle acque di zavorra di navi provenienti dalle coste americane.
Il fatto è che questi due granchi esotici non sono le sole specie aliene ad aver raggiunto le acque italiane da terre lontane: anche il Pesce palla maculato (dalle carni estremamente velenose, anche se cotte), il Pesce coniglio, il Pesce scorpione (commestibile ma con spine esterne molto velenose), il Pesce foglia che vengono dal Mar Rosso passando per il Canale di Suez, oppure come il Pesce Serra specie cosmopolita tipico di acque tropicali e subtropicali e già presente nel sud del Mediterraneo e nel Mar Nero (nell’Oceano Atlantico orientale lo si trova a nord fino al Portogallo). E ce ne sono tanti altri.
Quest’ultimo, il Pesce Serra (Pomatomus saltatrix) preda particolarmente cefalopodi e pesci. Ma la sua preda preferita è il cefalo e per cacciarli non esita a penetrare anche per chilometri nelle foci dei fiumi. È voracissimo e dopo il suo passaggio non è difficile trovare decine di cefali tranciati di netto in due. È probabile che questo pesce si trovi bene da queste parti, tanto più che ce ne sono da Latina al sud pontino.
La tropicalizzazione delle acque mediterranee incentiva la proliferazione di queste specie alloctone (il contrario di autoctone, cioè stanziate in un determinato territorio da epoca remota e quindi non importate) e ne è testimonianza anche il fatto che sono molte altre le specie che si addentrano nelle porzioni di Mediterraneo più a nord. Questo è il fenomeno di meridionalizzazione: pesci che, a seguito del riscaldamento dei mari, dal Mediterraneo meridionale si stanno spostando verso nord, in areali che per loro non sono abituali.
In molti si chiedono se queste nuove specie, tra le quali alcune altamente invasive come il Granchio blu e il Pesce Serra potrebbero dar luogo ad una pesca sistemica per ravvivare anche le economie locali, tra l’altro fiaccate da assenti politiche di pesca sostenibile delle specie autoctone (merluzzi, cernie e triglie che si avviano verso l’estinzione).
Gli ecosistemi, purtroppo, non funzionano in maniere semplicistiche, anche se nulla va contro il pescare nuove specie: la complessità degli equilibri naturali va preservata assicurando la biodiversità, cioè che per ogni peso esista un contrappeso, vale a dire che per ogni specie “invadente” venga assicurata la presenza del suo antagonista. Cernie e polpi, ad esempio, sono due animali acquatici tipici dell’area marina mediterranea che cacciano crostacei, ma per il volgo sono conosciuti più sotto forma di insalate estive o prelibati filetti che come anelli fondamentali della catena alimentare marina. Anche lo squalo è un predatore fondamentale per il mantenimento degli equilibri ecosistemici, pure se l’omonimo film del 1975 lo ha associato nell’immaginario collettivo (un po’ ignorante in materia) a una bestia sanguinaria a caccia di bagnanti. Nonostante questo convincimento erroneo, è proprio lo squalo ad essere minacciato dall’uomo: il 53% delle specie di squali e razze presenti nel Mar Mediterraneo sono a rischio a causa dell’attività di pesca di tutte le nazioni che si vi si affacciano e l’Italia è tra i maggiori responsabili del fenomeno (fonte: Report WWF 2019).
Pescati tutti i pesci, crostacei, cefalopodi mediterranei e pescati anche tutti quelli forestieri, vorrà dire che il Mediterraneo sarà sempre più caldo e ricolmo di Pesce palla maculati. Tanto quelli non si possono mangiare perché sono velenosi (fortuna loro…).
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