In arresto Pietro Lococo, imprenditore di Gaeta e fondatore del gruppo “Del Pesce”. Lococo, 63 anni, è stato posto agli arresti domiciliari
Nei giorni scorsi, i finanzieri del Comando Provinciale di Trapani hanno dato esecuzione ad un provvedimento cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, su richiesta della Procura Europea (EPPO – European Public Prosecutor’s Office) – sedi di Palermo e Roma -, ha disposto l’applicazione di misure cautelari nei confronti di 3 imprenditori (1 posto agli arresti domiciliari e 2 attinti dalla misura coercitiva dell’obbligo di dimora nel comune di residenza) nonché il sequestro preventivo, anche per equivalente, finalizzato alla confisca, di somme e beni per un valore complessivo di circa 4,5 milioni di euro, quale profitto delle condotte delittuose ipotizzate nei confronti di 6 soggetti operanti in tutta Italia, ma con sede nella provincia di Roma.
Agli imprenditori coinvolti nell’operazione denominata “Goldfish” sono riconducibili una serie di società, con sedi a Petrosino (Trapani), Roma, Guidonia e Piombino, ed operatività diffusa sul territorio nazionale nel campo dell’acquacoltura, costituenti una vera e propria filiera che parte dall’allevamento dell’avannotto fino alla produzione di sushi per supermercati e ristoranti.
Le indagini, eseguite dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Trapani, hanno riguardato i contributi a fondo perduto, di origine europea, nazionale e regionale, per un ammontare complessivo di circa 4,5 milioni di euro, concessi dalle Regioni Sicilia, Lazio e Toscana alle diverse società coinvolte, a valere sul Programma Operativo F.E.A.M.P. (Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e per la Pesca) 2014/2020, per progetti relativi alla realizzazione/riattamento di siti produttivi.
Gli elementi acquisiti hanno consentito di ipotizzare un meccanismo fraudolento consistito nell’affidamento dei lavori da parte delle società beneficiarie dei contributi, ad una sola ditta, solo apparentemente terza ma, di fatto, avente stessa compagine societaria delle committenti, e che, quindi, è risultata essere meramente interposta tra le stesse ed i reali fornitori, in violazione della normativa comunitaria e nazionale di settore.
Ciò ha permesso una fittizia maggiorazione delle voci di costo ai fini della rendicontazione finale attraverso la sovrafatturazione delle spese oggetto dei contributi pubblici, che ha consentito all’organizzazione di massimizzare l’entità dei fondi erogati dalle sopracitate Regioni. È stato, infine, dimostrato come i profitti del reato delle truffe confluissero nei conti della società interposta, al cui amministratore di diritto veniva solo fittiziamente attribuita la titolarità. Ciò ha permesso al dominus dell’associazione di utilizzare il prodotto del reato per pagare personale dipendente, per acquistare materiale e per onorare le fatture delle diverse società del gruppo.
I reati contestati ai 6 soggetti sono, a vario titolo: associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
È Pietro Lococo ad essere considerato il “dominus dell’associazione”: avrebbe utilizzato i profitti delle truffe per pagare il personale dipendente, acquistare materiale e onorare le fatture delle diverse società del gruppo. Gli altri due imprenditori, ora destinatari dell’obbligo di dimora, sono Paolo De Marzi, 56 anni di Roma, e Libero Dipaola, anch’egli di 56 anni, originario di Catania ma residente a Guidonia.
Al centro delle indagini del nucleo di Polizia economico-finanziaria di Trapani i contributi a fondo perduto del Fondo europeo per gli affari marittimi e per la pesca 2014/2020. Una serie di società, fra cui Avanottiera e “Ittica San Giorgio società agricola”, avrebbero ottenuto i finanziamenti per riattivare il sito della Ittica Mediterranea di Petrosino.
La vicenda coinvolge anche le vasche di Gaeta utilizzate per l’allevamento di orate e spigole. L’impianto, gestito da Lococo, è stato oggetto di polemiche negli ultimi anni per la sua posizione vicino alla costa e per la mancanza di conformità alle norme europee sull’acquacoltura sostenibile. Nonostante le nuove linee guida che prevedono l’utilizzo di gabbie in mare aperto per ridurre l’inquinamento e migliorare le condizioni di vita dei pesci, l’impianto di Gaeta è rimasto vicino alla costa con un fondale inferiore ai 10 metri, in violazione delle norme regionali che richiedono una distanza minima di mille metri dalla costa e un fondale di almeno 30 metri.