GIUBILEO DEI DIPENDENTI PUBBLICI, L’OMELIA DEL VESCOVO

Giubileo dei Dipendenti Pubblici, l’omelia del vescovo Crociata: “Almeno una volta al giorno mettevi nei panni delle persone che hanno bisogno del vostro lavoro e del vostro servizio”

“Innanzitutto, consentitemi di esprimere il mio apprezzamento e la mia gratitudine per l’iniziativa di dare vita a questo Giubileo del Dipendente Pubblico a Latina. Siete davvero tanti, non solo presenti ma anche come rappresentanti delle più diverse realtà della città e della provincia. Permettetemi di salutarvi tutti menzionando riassuntivamente il Sindaco di Latina e l’Assessorato al Turismo di Latina che ha organizzato questa giornata, i Sindaci dei comuni che sono intervenuti, le Autorità civili e militari, le Organizzazioni economiche e sociali. 

La vostra iniziativa mostra quanto il giubileo che stiamo celebrando eserciti un forte potere evocativo su tutti. E di fatti esso racchiude la promessa e la speranza di un riscatto. Perciò interpreta anche un sogno, che forse in tanti di noi non è del tutto svanito, quello di ritornare noi stessi, di ritrovare il nostro volto migliore, di ricominciare senza più il peso dei tanti fardelli che altri o noi stessi ci siamo messi addosso anno dopo anno. Per questo, nel giubileo, ha un’importanza fondamentale la tonalità penitenziale, perché vuole essere un momento di verità, nel quale ci mettiamo dinanzi a noi stessi e ripartiamo dal riconoscimento onesto di come stanno le cose con noi stessi e dove c’è da correggere, incoraggiare, riorientare. A questo proposito, una delle pratiche del giubileo è la confessione personale; magari alcuni di voi l’hanno già celebrata; invito tutti a cercare un’occasione in questo anno giubilare per farla per bene. 

Insieme a questo, viene da chiedersi, che cosa ci aspettiamo dal giubileo? Perché abbiamo aderito? Che cosa cerchiamo? Immagino ci sia in tutti, o almeno in tanti, il desiderio che qualcosa cambi. È un desiderio che spesso si nutre di illusione ottica, perché guarda per lo più dal lato sbagliato della faccenda. Non c’è dubbio che tante cose hanno bisogno di migliorare attorno a noi. E che c’è bisogno di un’opera assidua di razionalizzazione e di perfezionamento di procedure e norme per far sì che le cose, appunto, vadano meglio. 

Mi convinco sempre di più, però, a questo riguardo, che le democrazie occidentali – per guardare a un orizzonte molto più vasto del nostro – danno segnali più o meno allarmanti di crisi perché non ci si vuole misurare con una osservazione elementare. Il sistema sociale più perfetto che si possa codificare non funzionerà mai, e meno che mai perfettamente, se non ci sono cittadini che operano in conformità con le norme e le procedure stabilite, e lo fanno rettamente e di buon animo. Ora ciò che vale in grande, vale anche in un orizzonte più dimensionato, come quello di una città o di una provincia. Come è stato detto, il mondo va avanti perché c’è qualcuno che, senza far chiasso e stando al proprio posto, fa la propria parte, il proprio dovere, il proprio lavoro. E questo immagino valga anche per i presenti. Nondimeno è necessario ricordarcelo, e questa è una circostanza quanto mai opportuna per farlo. Ciascuno di noi è chiamato a fare la propria parte al meglio, là dove si trova ad operare, sapendo che questo è il contributo che dipende solo da lui per far andare meglio questo mondo e contrastare le cose che non vanno.

Siamo qui per ricordarci questo umile ma decisivo contributo che la comunità attende da ciascuno di noi. Ma è anche ciò che il Signore ci chiede e aspetta da noi. Lo abbiamo ascoltato nella pagina della creazione dell’uomo e del lavoro (Gen 1,26-2,3); e anche san Paolo nella seconda lettura invita a «lavorare con le vostre mani», a vivere in pace, praticare l’amore fraterno e cercare di piacere a Dio (1Tess 4,1-2.9-12). Il vangelo poi (Mt 6,31-34) ci spinge alla fiducia in Dio, a non preoccuparci in maniera esagerata per il domani e a cercare innanzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia. 

Non immaginate quanto siano importanti questi riferimenti delle letture appena ascoltate, perché ci indicano il giusto atteggiamento di fronte alla vita, ai suoi impegni e alle sue preoccupazioni. Non è la proclamazione retorica dei valori morali che ci può davvero aiutare. Lo sappiamo in linea teorica che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, ma non sempre lo seguiamo. E il motivo sta nel fatto che l’appello ai principi etici non serve a farci dominare la paura che ci attanaglia, la paura per il domani, il senso inguaribile di insicurezza per cui abbiamo bisogno di rassicurazioni crescenti. Non è la via moralistica a renderci migliori, ma solo l’esperienza e la fede che c’è un Dio che ha a cuore le nostre persone, le persone a noi care, la nostra vita. Lo dice il vangelo, che invita a non preoccuparsi di ciò che dobbiamo mangiare o vestire domani, perché «il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno». Nessuna forma di sicurezza materiale, ma solo la fiducia in Dio ci dà la capacità di tenere a bada le paure che ci attanagliano e di operare con fedeltà e costanza.

Ciò che dobbiamo fare è trasmettere agli altri questo senso di fiducia che dà consolazione, sicurezza e speranza alle nostre persone e alla nostra vita. Il modo migliore per aiutare se stessi è aiutare gli altri. Vorrei chiudere perciò con un invito. Non c’è dubbio che il vostro compito sia assolvere le vostre mansioni in conformità a leggi e regolamenti che lo stato ha emanato e continuamente emana interpretando e traducendo quanto disposto nella Costituzione della Repubblica Italiana. Ora la visione della Costituzione è, oltre che in sintonia con il senso cristiano della nostra tradizione nazionale e delle nostre persone, centrata sulla dignità di ogni persona umana e sulla salvaguardia dei suoi diritti e dei suoi doveri. 

In questo quadro, vorrei chiedervi di sforzarvi, se non lo fate già, almeno una volta al giorno, di immedesimarvi, di mettervi nei panni delle persone che si rivolgono a voi, che hanno bisogno del vostro lavoro e del vostro servizio. Sempre nel rispetto di leggi e procedure, ma sentendo come proprio il bisogno di chi si rivolge a voi. E infine, mi permetto di ricordarvi che il lavoro fatto bene, con cura e diligenza, ha un altro sapore e dà anche gioia e soddisfazione. Guardiamoci da ogni forma di cinismo e usciamo da questa chiesa facendo un buon proposito, prendendo un impegno con noi stessi. Credo questo sia il modo migliore di celebrare il vostro Giubileo”. 

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