In una puntata dedicata ai rischi delle operazioni per dimagrire, il noto programma di servizio della Rai ha ripercorso la tragica vicenda con la sorella e il legale della famiglia
A quasi sei anni dalla tragedia nei suoi familiari resta ancora tanta rabbia, ma anche la fondata speranza di ottenere finalmente giustizia almeno in sede civile. Nella puntata di domenica 9 ottobre, dedicata ai rischi della chirurgia bariatrica, gli interventi per dimagrire, più che triplicati nell’ultimo decennio in Italia (dai 7.214 del 2011 ai 22.469 del 2021), “Mi Manda Rai Tre”, la nota trasmissione del servizio pubblico condotta da Federico Russo, è tornata e ha fatto il punto sul caso di Sara Roncucci, la mamma di soli 31 anni, originaria di Sinalunga, nel Senese, ma residente a Latina, deceduta dopo un’operazione di mini by-pass gastrico a cui si era sottoposta presso l’ospedale “Le Scotte” di Siena il 2 settembre 2016.
In collegamento da Sinalunga, la drammatica vicenda della giovane è stata ripercorsa dalla sorella Sabrina e dall’avv. Marco Frigo, del foro di Padova, che assiste i familiari della vittima unitamente a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. Sabrina ha spiegato come sia lei sia il fratello si fossero già sottoposti allo stesso intervento, sempre a Siena, per contrastare il loro problema genetico di obesità, intervento che era riuscito, ragion per cui anche Sara, dopo aver tentato inutilmente per anni con diete varie, aveva deciso con una certa tranquillità, visto le esperienze positive dei suoi cari, di fare altrettanto. Ma qualcosa è andato storto, anzi si è trattato di una concatenazione di eventi avversi.
Come ha riassunto l’avvocato Frigo, sulla base degli accertamenti della Procura e anche del procedimento civile, “Sara dopo sei giorni dall’intervento, l’8 settembre, viene dimessa, torna a casa ma inizia ad avere dolori all’addome sempre più intensi. E’ successo che ha ceduto una graffetta, banalmente un punto di sutura, e ciò ha innescato una serie di problematiche emorragiche e di setticemia”.
“Quando Sara ci riferiva dei suoi dolori, essendoci passati anche io e mio fratello abbiamo capito subito che qualcosa non andava: noi non avevamo subito alcuna conseguenza simile. E le abbiamo detto di rivolgersi subito al Pronto Soccorso” ha aggiunto Sabrina Roncucci. Infatti Sara già la mattina del 9 settembre 2016, il giorno dopo le dimissioni, si reca al Pronto Soccorso dell’ospedale di Latina, “ma qui l’hanno rimandata a casa e il ritardato intervento le sarà fatale” ha proseguito il legale: i medici infatti l’hanno dimessa con la diagnosi “dolori addominali in paziente con recente intervento di mini by-pass gastrico” prescrivendole dei semplici analgesici e non approfondendo l’origine dei dolori dovuti all’emorragia in corso, pur essendo a conoscenza dell’operazione appena subita e delle sue possibili complicanze.
Quando l’indomani, 9 settembre, in preda a terribili algie addominali, la trentunenne viene riportata da casa in ambulanza al Pronto Soccorso del Santa Maria Goretti, “ormai la situazione è compromessa” ha concluso Frigo: stavolta i dottori diagnosticano l’emiperitoneo, la sottopongono a un intervento chirurgico laparotomico in emergenza e la trasferiscono in Rianimazione con la diagnosi “shock emorragico”, ma Sara subisce un arresto cardiaco riportando gravi danni cerebrali da cui non si riprenderà più. Morirà il 27 dicembre 2016 dopo una crisi polmonare nella casa di cura “Habilita” di Zigonia di Ciserano, in provincia di Bergamo, dove, in stato di coma permanente, stava effettuando la riabilitazione neurologica, lasciando nel dolore e nella disperazione due figli minori, che oggi hanno 8 e 17 anni, il compagno, i genitori, il fratello e la sorella: il papà di Sara è mancato 4 anni fa senza almeno la soddisfazione di avere un po’ di giustizia.
I congiunti della vittima, dopo il decesso, si sono affidati a Studio3A che li ha seguiti in tutti questi anni e li sta sostenendo tuttora nella loro lunga battaglia, e hanno presentato un esposto alla magistratura, con la conseguente apertura di un procedimento penale per omicidio colposo da parte della Procura di Bergamo, che ha indagato 25 medici di tutte e tre le strutture coinvolte. Alla fine, tuttavia, il fascicolo è stato archiviato e non perché non fossero emerse gravi responsabilità mediche. Il consulente tecnico medico legale nominato dal Sostituto Procuratore aveva imputato ai sanitari, con particolare riferimento al primo accesso al Pronto Soccorso di Latina, “scostamenti rispetto alle linee guida e alle buone pratiche raccomandate dalla comunità scientifica e incongruenze rispetto alla gestione sanitaria attesa, che avrebbe dovuto essere più serrata e tempestiva. Un’ipotetica, diversa gestione del caso avrebbe probabilmente consentito di evitare l’arresto cardiaco, che diede luogo alla grave sofferenza encefalica e alla vicenda clinica che ne conseguì, e che si concluse con il decesso della paziente”. Il Ctu tuttavia non ha ritenuto possibile “quantificare tale probabilità e dimostrare che sarebbe stata prossima a una ragionevole certezza”, condizione richiesta in sede penale per comminare una condanna.
Diverso il discorso in sede civile, dov’è richiesto non “l’oltre ogni ragionevole dubbio” ma il “più probabile che non”, e quindi Studio3A e i familiari, dopo aver esperito un Accertamento Tecnico Preventivo, hanno deciso di procedere con una più che fondata citazione in causa avanti il Tribunale Civile di Latina nei confronti delle Aziende Ospedaliere di Latina e di Siena. I medici legali nominati in sede di Atp dal giudice, dott. Alfonso Paccialli, il Prof. Nicola Piccardi e la dott.ssa Daniela Lucidi, hanno infatti confermato svariati elementi di malcractice medica. Più precisamente, secondo i due Ctu non è stata “opportuna” la decisione dei medici senesi di dimettere la paziente “in sesta giornata post operatoria in quanto doveva affrontare un lungo viaggio di trasferimento”, a Latina, e inoltre “non fu data la necessaria attenzione al calo dell’emoglobina” durante il ricovero. “L’inopportunità di questa dimissione troppo precoce, anche se non costituisce una negligenza, fu certamente un’imprudenza, anche tenendo presente che, come ampiamente noto nell’esperienza clinica, la possibile perforazione di un punto di sutura ischemico si verifica proprio a partire dal settimo giorno postoperatorio. Fu imprudente non continuare a monitorare in osservazione la paziente prima di dimetterla in tranquillità” concludono i Ctu. Anche se il direttore generale dell’Asl di Siena, dott. Antonio Davide Baretta, intervenuto a sua volta in trasmissione in collegamento dalla sede Rai della Toscana, ha sostenuto che “questa tipologia di pazienti hanno una degenza media di tre giorni, nello specifico abbiamo trattenuto Sara Roncucci anche più a lungo in quanto proveniente da fuori regione e sapendo che voleva tornare subito a casa a Latina, nonostante gli esami fossero a posto già dopo il secondo giorno. Abbiamo seguito quelle che sono le linee guida della società italiana di Chirurgia bariatrica”.
Ma i due consulenti tecnici del Tribunale censurano anche e soprattutto l’operato dei medici che hanno seguito Sara in occasione del primo accesso al Pronto Soccorso di Latina, “i quali, previo esame Tac, hanno dimesso la paziente prescrivendo un potente antidolorifico, trascurando l’anomalia di alcuni parametri (frequenza cardiaca a 120, temperatura a 37,7 gradi) e senza eseguire un adeguato esame anamnestico e obiettivo dell’addome della paziente” appena operata. “Se si fossero seguiti correttamente gli esami clinici, la paziente non sarebbe stata dimessa, ma quanto meno avrebbe dovuto essere trattenuta in osservazione”. Per inciso, l’Asl di Latina, che era stata invitata in trasmissione, ha fatto pervenire a “Mi Manda Rai Tre” una “stringata nota” letta dal conduttore in cui l’azienda fa sapere di non ritenere opportuno rilasciare alcuna dichiarazione a fronte di un procedimento in corso.
La prossima udienza del processo, davanti al giudice del Tribunale di Latina, Maika Marini, che sarà ancora lungo, è fissata per il 17 gennaio 2023, ma i familiari di Sara confidano di poterle dare finalmente, almeno in sede civile, quella giustizia che le è stata preclusa in sede penale, ottenendo anche quella assunzione di responsabilità da parte delle strutture sanitarie che sin qui è sempre mancata, nonostante le evidenze.
“Oggi – ha concluso Sabrina Roncucci – c’è la rabbia che Sara non ce l’abbia fatta a superare un intervento che io e mio fratello abbiamo effettuato senza problemi e che pure dovrebbe essere ormai di routine”.