FRANCESCA CALISSONI, EREDE BULGARI: UNA VITA TRA LA TENUTA DI APRILIA E IL JET SET

Francesca Calissoni tenuta calissoni bulgari aprilia

Secondogenita di Anna Bulgari, l’erede della di­nastia di gioiellieri, Francesca Calissoni sostiene di non aver mai approfittato del cognome di sua madre. Afferma che i suoi unici gioielli sono gli 11.000 ulivi della tenuta Calissoni Bulgari di Aprilia. Glielo ha chiesto la sorella Laura di occuparsene. Era­no 8 ettari che i suoi genitori hanno bonificato e portato a 60. Oggi è un’oasi faunistica con aironi, falchi, poiane, istrici, volpi, cinghiali, protetta dalla Guardia Forestale. “È una gioia vederci arrivare le scolaresche. Ho fatto mio il motto di mamma: “in olea aurum”. L’oro è nell’ulivo“. Di seguito l’intervista di Francesca Calissoni al Corriere della Sera.

CRESCIUTA IN GIRO PER IL MONDO

Alla costumista di Sotto il vestito niente, che ebbe come testimone di nozze il regista Carlo Vanzina, si solleva per sbaglio la manica della camicia: il polso sinistro reca tatuata una “v” maiuscola, quella che nel marchio di Bulgari rappresenta la “u”. “Nessun legame: è il numero romano del mio giorno di nascita”, si affretta a preci­sare Francesca Calissoni, eclettica pi-erre. Non si può dire che la secondogenita di Mina Bulgari abbia mai approfittato del cognome di sua madre, l’erede della di­nastia di gioiellieri che il 19 novembre 1983 fu rapita dall’anonima sarda con il figlio Giorgio, 17 anni, al quale i banditi recisero l’orecchio destro per affrettare il pagamento del riscatto.

Il regista Carlo Vanzina e Jack Nicholson

Avevo 21 anni, ero una ribelle. Mio pa­dre, il generale Franco Calissoni, eroe di EI Alamein, era un tipo all’antica, severis­simo. In casa non si respirava. Mia madre fa 93 anni questo mese. Si occupava di orafi, gemme prezio­se, maestri argentieri. Sa a memoria la Divina Commedia. Con il padre Costantino, primogenito dei cinque figli di Soti­rio Bulgari, giunto in Italia dall’Epiro nel 1879, parlava in greco. Non le dico delle due Pasque, cattolica e ortodossa, ceri­monie che non finivano mai. Il 7 aprile 1977 me ne andai. In tasca avrò avuto 200.000 lire.

Nel suo moto perpetuo ha sempre incrociato le celebrità per caso, indipen­dentemente dal lignaggio. Come quella volta che nel 1988, incrodata con la stili­sta Chiara Boni a 4.000 metri di quota fra Kashmir e Ladakh, al Passo di Zoji, su una delle dieci strade più pericolose del pianeta, si vide venire incontro la regina della moda Gloria Vanderbilt, con il figlio del proprietario di Hermès, Xavier, “e un Rothschild di cui non ricordo il nome”, e finirono a fare bisboccia per lo scampato pericolo. O come quando, giovanissima interior designer a Los Angeles, abban­donata una cena che Franco Zeffirelli da­va in onore di Carla Fracci, restò in panne con due amiche sulla sua Datsun verde, abbassò il finestrino e urlò all’attore Jack Nicholson: “A Jack, dacce ‘na spinta!“. Eravamo uscite apposta dal Dorothy Chandler Pavillon degli Oscar per vedere dove andava a infrattarsi con un’italiana che stava inseguendo. L’avevo conosciuto attraverso un amico produt­tore, Daniele Senatore. Da un anno stavo arredando una villa a mezzo chilometro da quella in cui fu massacrata Sharon Ta­te. Una casa straordinaria. Ci ha abitato Julio Iglesias, che le ha pure dedicato un album, 1100 Bel Air Place. Poi passò a Quincy Jones. Una sera Nicholson ci tele­fonò: “Come here”. Andammo. Da quel momento ribattezzò me e le mie amiche The Musketeers, le tre moschettiere.

IL RITORNO IN ITALIA

Un giovane Gianni Versace

Ero molto amica di Egon von Furstenberg. Una sera di febbraio, a Cortina, sua madre Clara Agnelli m’invitò a cena: “Ci sarà uno stilista emergente”. Era Gianni Versace, che alla fine mi chie­se: “Che fai nella vita?”. Niente, replicai. “Allora vieni a lavorare per me a Milano”. Ospite nella sua casa di via del Gesù, do­po che aveva superato una grave malattia, gli chiesi: come hai fatto a creare un simi­le impero? Rispose: “Controllo anche le 1000 lire che escono dalla cassa” Poi, ri­volto a mio marito, disse: “Tienitela stret­ta questa donna. È l’unica che conosco capace di far ridere“. Mio marito è Alessandro Feroldi, giornalista. Da giovane dava lezioni di latino, greco e musica ai figli dei nobili, dai Colonna agli Orsini. Intervistò per primo Fabrizio De André, conquistandolo con una telefona­ta: “Scusi, perché nel Testamento di Tito in quel si bemolle non mette la settima diminuita?’. A Faber si aprì il cuore: “Vie­ni e porta la chitarra”. Il colloquio durò un giorno. Credo che Alessandro fosse l’unico assunto al Tg1 grazie a una lettera inviata al direttore. Albino Longhi lo con­vocò: “Voglio vederti in faccia”.

E DOPO VERSACE CHE FECE? “Pubbliche relazioni e pianificazione pubblicitaria per Nicola Trussardi. Con lui non c’erano orari, né sabati o domeni­che. Pilotava personalmente il suo aereo privato. Certe virate su Orio al Serio… Si voltava verso di me e mi vedeva con le mani giunte: “Dorme?”. E io: no, prego. La mia specialità erano le piantine delle sfilate: riuscivo a evitare che le grandi fir­me della moda si pestassero i piedi. Con mia sorella Laura e la figlia del famoso chirurgo Pietro Valdoni ho lavo­rato per la griffe Marina B, cioè mia zia Marina Bulgari, la migliore disegnatrice di gioielli moderni.

Marina Bulgari, zia di Francesca Calissoni

Poi ho vissuto per 15 anni in simbiosi con Leonardo Mondadori. Fu padrino di battesimo della mia primogenita Anna. Mi diede da gestire la rinata libreria Einaudi in Galleria Manzo­ni a Milano. A ogni weekend eravamo in una capitale. Ricordo un incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. All’uscita dall’hotel King David di Geru­salemme ci additò le vicine alture: “Vede­te? Ci sono cecchini che da lassù possono farmi fuori in questo istante”.

PASSIONE PER I LIBRI E PER LA SEMANTICA

Non mi addormento senza averne uno in mano. Uno dei miei preferiti è La città dei ladri di David Benioff. Mi è capi­tato di far vincere un premio Strega“.
ADDIRITTURA. A CHI?A Domenico Rea con Ninfa plebea. Allora abitavo in una casa nel boschetto fra la Casina Valadier e l’hotel de Russie. Organizzai un party sul giardino pensile, con giurati e ospiti illustri, come Raffaele La Capria. Il colpo di scena finale fu una torta a forma di Vesuvio ordinata al pa­sticciere Natalizi: dalla bocca di panna del vulcano usciva il fuoco“.

È NOTA ANCHE PER INVENTIVA SEMANTICA. “Solo perché una volta mi capitò di de­finire “torpigna”, da Torpignattara, una persona sgradevole. La parola è entrata nel lessico del generone romano».

CHI SAREBBE UN TORPIGNA? “Il compianto Carlo Vanzina, che per primo adottò il mio neologismo, lo indi­viduava in chi deambula su e giù per il Corso, con jeans a sbracaloni, scarpone da tennis, felpa e orecchino, una specie di Maurizio Arena che sulla spiaggia di Ostia sfoggia il costume alla Tarzan. Un po’ macho e un po’ romantico. Latin lover e bello de’ mamma, squattrinato“.

GLI 11.000 ULIVI DELLA TENUTA CALISSONI BULGARI DI APRILIA

Tenuta Calissoni Bulgari di Aprilia

Mi hanno ribattezzata “il sindaco di Cortina”: non c’è sentiero di montagna che non conosca. Un anno fa, con mia figlia Diletta, mi sono fatta a pie­di Perù, Bolivia e Cile, sempre in quota, tra i 4.000 e i 5.000. In Patagonia abbia­mo incontrato Matthew McConaughey, con il quale ho attaccato bottone perché suo figlio stava giocando a Candy Crush, il mio gioco preferito sul telefonino. Sia­mo stati tutta la sera a cazzeggiare.

A parte due spille antiche, i miei unici gioielli sono gli 11.000 ulivi della tenuta Calissoni Bulgari di Aprilia. Mia sorella Laura, alla quale sono legatis­sima, mi ha chiesto di occuparmene. Era­no 8 ettari che i nostri genitori, sgobban­do giorno e notte, hanno bonificato e portato a 60. Oggi è un’oasi faunistica con aironi, falchi, poiane, istrici, volpi, cinghiali, protetta dalla Guardia forestale. E una gioia vederci arrivare le scolaresche. Ho fatto mio il motto di mamma: “in olea aurum”. L’oro è nell’ulivo.

Ogni anno vi celebriamo lo Sbarco [di Anzio, ndr]. Sulle nostre terre si attestarono gli ingle­si. Roger Waters, il cofondatore dei Pink Floyd, ignorava che il padre Eric Fletcher cadde in battaglia a un chilometro dal cancello della tenuta, il 18 febbraio 1944, quando lui aveva solo 5 mesi. Ci è venuto in pellegrinaggio. E stato come abbattere The Wall, il muro della sua esistenza.

Rievocazione storica presso la Tenuta Calissoni Bulgari della Battaglia di Aprilia del 27-28 maggio 1944
Credits: Tenutacalissonibulgari.it

IL RAPIMENTO DELLA MADRE E DEL FRATELLO

La società si è involgarita. Non è più come ai primi tempi di Porto Roton­do, quando da Luigino Donà dalle Rose trovavi Paul McCartney e Shirley Bassey e ci conoscevamo tutti. O come quando nella villa Godilonda di mio nonno Co­stantino, a Castiglioncello, venivano a pranzo Alberto Sordi, Marcello Ma­stroianni, Steno e Giovanni Spadolini. Oggi, ovunque vado, trovo solo torpi­gna.

COME SEPPE CHE SUA MADRE ANNA E SUO FRATELLO GIORGIO ERANO STATI RAPITI? Dalla tv. Ero a Milano con Teo Teocoli. Da allora soffro l’inverno, le giornate corte, il freddo, il Natale. Non può capire che co­sa significhi aspettare per settimane senza sapere se rivedrai i tuoi cari. Otto anni pri­ma avevano sequestrato mio zio, Gianni Bulgari“.

Anna Bulgari e Giorgio Calissoni rapiti il 19 novembre 1983 dalla Tenuta Calissoni Bulgari di Aprilia

CHI VI FU PIÙ VICINO IN QUELLA TRAGEDIA?Non certo i politici. Come presidente degli antiquari di via Condotti, mia madre ogni anno, l’8 dicembre, era solita regalare un’icona a Giovanni Paolo II che andava a deporre la corona di fiori ai piedi dell’Im­macolata a piazza di Spagna. L’auto papale si fermò a largo Goldoni. Mio padre disse a Karol Wojtyla: “Mi spiace, Santità, sono qui da solo con Laura e Francesca, perché mia moglie e mio figlio non potevano ve­nire”. Non dimenticherò mai più gli occhi azzurri, profondi, di quel sant’uomo men­tre ci fissava e ci chiedeva: “Che cosa è suc­cesso?”. Due anni fa ho voluto ripercorrere la sua vita partendo da Cracovia. A Danzica correvo sotto un diluvio. Mi sono riparata nel museo di Solidamosc: il soffitto è fatto con i caschi degli operai dei cantieri nava­li. Lì ho capito tutto di lui“.

GIORGIO FORATTINI DISEGNÒ UNA VIGNETTA: LA CARTA D’ITALIA CON UN ORECCHIO AMPUTATO AL POSTO DELLA SARDEGNA.Fu triste. Allora non lo conoscevo, og­gi è un caro amico. Non gliel’ho mai rim­proverato. Vorrei la cattedra universitaria di pesce in barile. Campi meglio“.

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