Gaby Mudingayi, ex calciatore di Serie A, tra Lazio, Bologna e Inter, da tempo trapiantato a Formia, ha detto la sua sul razzismo in Italia
Dal principio fu Ruben Olivera, ex calciatore uruguagio di Juventus, Lecce, Genoa e altre squadre italiane, a smentire sonoramente le parole quantomeno strampalate che lo scrittore di Latina Antonio Pennacchi pronunciò a novembre 2017 dal palco allestito per il Festival della Narrazione Potere alle Storie nel capoluogo pontino.
“Non mi piace quello che ha detto quel signore… negro qui, negro là… io e i miei figli non abbiamo mai avuto problemi a Latina, nessuno ci ha mai discriminato“. Fu proprio così che Olivera, con un passato nel Latina Calcio di Maietta e post Maietta (poi è andato a giocare anche all’Aprilia, ora milita nell’Ostia Mare), bollò la teoria di Pennacchi sul razzismo che l’ex Presidente del Latina Calcio avrebbe scontato in città da parte del cosiddetto establishment cittadino. “Il calcio è il principale fattore di integrazione sociale, nel calcio c’è tutto il bene e tutto il male della società e tutti i sindaci difendono le proprie squadre – disse il Premio Strega – Io non vorrei che l’attacco alla società, la retrocessione e la chiusura è stata accettata ben volentieri dall’establishment cittadino perché l’ex presidente del Latina Calcio, Pasquale Maietta è da sempre “il negro” e perché Cha Cha (ndr: Costantino Di Silvio) è zingaro. Non vorrei che ci fosse dietro un pregiudizio razzista“.
Una serie di indiscutibili fesserie che anche Olivera, non di certo chiamato in quel consesso per polemizzare, sentì il bisogno di dover rispondere a Pennacchi, a differenza del sindaco Damiano Coletta, anche lui presente, che invece preferì lasciar correre. Il Latina Calcio di Maietta, come è noto, era decotto – e infatti è fallito – mentre l’ex deputato di Fratelli d’Italia e Cha Cha erano già usciti di scena non per fantomatici razzismi, o emarginazioni da milieu sociale, bensì in ragione delle azioni della magistratura e a causa di reati conclamati e passati in giudicato (Cha Cha) e imputazioni gravissime come bancarotta, riciclaggio, associazione per delinquere (Maietta).
Oggi, invece, dopo Olivera, un altro calciatore dice la sua sul problema “razzismo” che, ultimamente, ha coinvolto e visto la reazione di calciatori importanti in serie A come Romelu Lukaku e Mario Balotelli.
Un formiano per amore (ha sposato una donna originaria di Formia), lavoro (ha aperto un B&B e un pub) e, dunque, d’adozione come Gabi Mudingayi il quale, dalle colonne de ilposticipo.it, in un’intervista rilasciata un paio di settimane fa a Simone Lo Giudice, ha ribadito che l’Italia non è razzista ma che è doveroso punire i “cretini” con pene esemplari. Senza dimenticare però – è lui stesso ad ammetterlo – che nella sua carriera di calciatore in Italia il razzismo ha dovuto fronteggiarlo.
Prima però Musingayi ha voluto raccontare la sua vita a Formia: “Sono stato molto coi miei figli e ho aperto un B&B e un pub. Un luogo di ritrovo per tanti giovani al mare. L’ho fatto a Formia dove vivo. Il pub è una cosa più estiva rispetto al B&B. Mi sono preso del tempo per decidere che cosa potessi fare da grande. Pub e B&B sono stati più per divertimento“. Un settore, quello dei locali, già praticato da Mudingayi che, nel 2017, dopo aver rilevato a Gaeta il famoso “Radio Bottega”, incorse in una violazione amministrativa per musica troppo alta. E, poi, ha ripercorso in breve la sua vita di uomo e calciatore. Dal Congo al Belgio dove si è trasferito all’età di otto anni insieme alla famiglia. Qualche amicizia pericolosa a Bruxelles e, infine, il calcio che lo ha tolto dalle cattive frequentazioni per strada che non piacevano al padre. Dalla serie C al Gent nella serie A belga fino all’approdo al Toro in serie B il passo fu breve. A 23 anni Mudingayi era un calciatore pronto a compiere la sua carriera nel calcio italiano, come poi ha fatto.
Ma la parte più interessante dell’intervista al congolese, dal passaporto belga e la vita a Formia, è stato quando Gaby ha parlato del razzismo in Italia, argomento caldo, caldissimo, per via di tanti giocatori che si sono espressi ai più alti livelli giudicando i nostri campionati tendenzialmente affetti dalla piaga del pregiudizio sul colore della pelle.
“Avevo sentito queste voci e all’inizio mi sono spaventato tantissimo – ha spiegato Mudingayi raccontando del suo approdo nella Capitale, anno 2005 – Prima di arrivare alla Lazio, mi avevano fatto parlare con Di Canio che aveva smentito tutto: mi aveva detto che i tifosi ti volevano bene se tu giocavi per la squadra e che quelle voci erano tutte… fesserie (eufemismo). Ho parlato anche con Christian Manfredini (ndr: ex calciatore, nato da genitori africani e adottato da una coppia di italiani): anche lui mi aveva detto che non c’erano questi problemi. Il primo giorno in cui sono arrivato a Fiuggi c’erano un sacco di tifosi e mi avevano applaudito e acclamato: mi volevano già carico per il derby. Pensavo che mi avrebbero snobbato perché ero nero, invece non è stato così. I tifosi della Lazio mi hanno sempre voluto bene“.
Un’ammissione del fatto che, come ribadito da altri giocatori, il campionato di Serie A non gode certamente di una degna nomea all’estero sul lato del razzismo e del rispetto: considerato da molti atleti un luogo dove è quasi naturale subire diverse forme di razzismo. “Dai compagni mai, dai tifosi invece è capitato – ha proseguito Mudingayi nel rispondere se avesse mai ricevuto sgradevoli discriminazioni di natura razzista – Anche all’epoca succedeva qualcosa, nessuno però ne parlava come si fa oggi. Mi era capitato di sentire qualcosa. Penso che il razzismo c’è sempre stato. Adesso però i cretini negli stadi sentono di avere più potere e lo hanno fatto sempre di più. Oppure hanno più coraggio di un tempo e sono saltati fuori. Il razzismo non dovrebbe esistere nel calcio“.
Una soluzione per i cori da stadio disgustosi e le altre esternazioni, però, Mudingayi prova a suggerirla ed è molto simile a quella che più volte si ripete ma che pare non essere recepita dal legislatore: “Bisogna fare come in Inghilterra. Nel derby di Manchester un tifoso ha fatto il verso della scimmia nei confronti di un giocatore ed è stato bandito dal calcio a vita: questo è un segnale forte. La prossima volta qualcuno che ama il calcio magari ci pensa due volte prima di farlo. Purtroppo in Italia se ne parla tanto, ma dopo una settimana è finito tutto. La soluzione è punire i colpevoli e riuscire a individuare chi commette queste cose e fargliela pagare. Bisogna isolare questi cretini e non permettergli più di entrare allo stadio. Chi è competente in materia deve prendere provvedimenti nei loro confronti“.