In questi ultimi giorni dopo la tragedia sul Nanga Parbat che ha coinvolto Daniele Nardi, il grande alpinista pontino, abbiamo assistito a forti critiche mosse sul web dai soliti leoni da tastiera. Vediamo come in realtà tutte queste critiche non abbiano alcun senso.
PUNTARE IL DITO RIMANE SEMPRE TROPPO FACILE
Criticare un alpinista morto a tragedia avvenuta è sempre troppo facile, alcuni giudizi affrettati come “potevi rimanere a casa” o “dovevi pensare a tuo figlio” oppure i “pressapochistici” richiami all’ego dello scalatore o ad eventuali ossessioni non sono altro che il sintomo dei nostri tempi in cui tutti si sentono in grado di poter esprimere un giudizio ponderato e qualificato su qualsiasi cosa.
Daniele Nardi non era un pazzo, conosceva benissimo i limiti che un alpinista non può e non deve mai oltrepassare, come dimostrano le svariate volte in cui ha rinunciato all’ascesa per condizioni meteo avverse, oppure quando ha salvato la vita di uno dei suoi compagni colpito dal male acuto da montagna, rinunciando a poche centinaia di metri dalla vetta.
Nardi conosceva il rischio e aveva studiato l’imprevisto, ed è questo che differenzia un coraggioso da un pazzo avventato.
NARDI È UN EROE, TENETELO BENE A MENTE
La definizione di eroe è soggettiva per i nostri codici culturali. Un soldato che, durante uno scontro a fuoco compie un atto “eroico” (al limite uccidendo qualcuno), può ricevere una medaglia al valore per poi essere considerato un “eroe”.
Non ci si deve limitare all’atto eroico soltanto riferendosi ad un eventuale salvataggio, Nardi è un eroe perchè è stato un avanguardista, egli ha spinto se stesso oltre ogni limite ed ha provato a scalare una delle pareti più pericolose e mortali della terra e lo ha fatto perchè nell’alpinismo moderno non conta se arrivi in vetta, ma come e in quanto tempo lo fai.
Un esempio: sulla Marmolada, una splendida montagna che domina la Val Di Fassa e che è stata teatro di una sanguinosa battaglia della Prima Guerra Mondiale, c’è una funivia che ti fa arrivare a poche centinaia di metri dalla vetta, ma niente è come raggiungerla attraversando la Via Eterna che parte dai piedi della montagna e ti porta in cima passando per lo splendido ghiacciaio, nella cornice fiabesca di un paesaggio che si potrebbe definire “tolkeniano”.
“PER ME GLI SPORT ESTREMI ANDREBBERO ABOLITI”
Questa è una delle frasi più esilaranti che si possano dire, intanto l’alpinismo non è uno sport, l’alpinismo è un modo di vedere ed affrontare la vita.
L’alpinista non si considera nemmeno uno sportivo, si potrebbe dire che la persona più vicina all’alpinista sia l’astronauta, perchè entrambi affrontano ambienti in cui l’uomo non potrebbe sopravvivere e ci riescono grazie all’ausilio della tecnologia e alla forza vitale che spinge l’umantià ad essere pioniera ed esploratrice, non guardiana. Quello stesso spirito che ha spinto Mummery nel 1895 a tentare l’ascesa del famigerato sperone che ha portato via la vita sia a lui che a Daniele Nardi; lo stesso spirito che spinse Cook alla ricerca di atolli nell’Oceania, prima di finire ucciso dai nativi.
Questo pensiero andrebbe divulgato e insegnato, affrontare la natura con rispetto ma con la consapevolezza che in quanto umani possiamo spingerci anche sacrificando noi stessi per ottenere dei risultati grandiosi ma insperati.
MESSNER SBAGLIA
Reinhold Messner si sbaglia, l’alpinista altoatesino capace di grandi imprese durante la sua vita, ha definito “stupido” salire attraverso lo Sperone Mummery.
Ma anche Messner a suo tempo scalò gli 8000 senza ossigeno, che si potrebbe defnire una stupidata vista la rarefazione dell’aria a quelle altezze, e lo ha fatto per lo stesso motivo per cui Nardi ha tentato l’ascesa attraverso il Mummery, per riuscire in un’impresa che mai era riuscita prima.
IL MOMENTO DEL SILENZIO E DEL RICORDO
Il Web nelle ultime due settimane è stato riempito di articoli ed opinioni che spesso non avevano molto fondamento, come dimostrato in precedenza.
Questo è il momento giusto per smettere di lanciare invettive contro l’eroico alpinista sezzese per raccogliersi tutti insieme e ricordare con la famiglia la grandezza di un uomo che tanto ha fatto per la montagna e per la divulgazione dell’alpinismo moderno in un ambiente come il nostro che di cime innevate e roccia nuda e dura ne ha veramente ben poche.
Intitolare la cima della Semprevisa a Daniele Nardi potrebbe essere una buona idea per rendere omaggio all’unico grande alpinista che questa provincia abbia mai avuto, ma non basta. Bisogna continuare quell’opera di divulgazione e sensibilizzazione a proposito del rispetto ambientale e il racconto delle esperienze alpine che Nardi portava avanti da anni, senza dimenticare il ruolo nel sociale come Ambasciatore dei Diritti Umani. Non proprio un pazzo egoista.