Droga a Formia: respinto dalla Cassazione il ricorso di uno degli uomini ritenuti pusher del gruppo Ausiello-Fustolo
La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso di uno degli indagati, Angelo Lombardi, contro il provvedimento del Tribunale del Riesame di Roma che ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari capitolino che, lo scorso maggio, ha visto eseguire da Polizia e Guardia di Finanza 14 misure cautelari a carico di un gruppo ritenuto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti.
L’operazione, su richiesta della DDA di Roma, ha coinvolto 14 persone destinatarie di ordinanza di custodia cautelare (di cui 12 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), gravemente indiziate a vario titolo di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, cessione e detenzione ai fini di spaccio, tentato omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione, estorsione nonché detenzione e porto abusivo di armi comuni da sparo.
Tra gli arrestati, per l’appunto, Angelo Lombardi di Formia detto “Dentino”, classe 1972, che, tramite il suo legale Pasquale Cardillo Cupo, ha presentato ricorso contro la sentenze del Riesame di Roma che ha confermato la sua misura cautelare.
Il processo per Lombardi e gli altri indagati – tra cui i “capi”. Italo Ausiello e la moglie Carmina Fustolo, è iniziato a fine dicembre, dopo la richiesta di giudizio immediato formulata dalla Procura e accolta dal Giudice per le indagini preliminari Tribunale di Roma Francesco Patrone.
Il ricorso contestava all’ordinanza il ruolo di pusher del gruppo da parte di Angelo Lombardi avendo lui e altri indagati – Giuliano D’Urso e il finanziere Roberto De Simone detto “El Chapo”, “soltanto operato in concorso con la Fustolo per brevi periodi di tempo”. Secondo il ricorrente, l’associazione contestata dalla DDA manca dell’elemento organizzativo. Lombardi, motiva il ricorso, “si era reso protagonista di episodi di cessione per soli due mesi (tanto che la Fustolo lo ricontatta per chiedergli di tornare a spacciare per lei e questi le aveva risposto che doveva pensarci) e solo apoditticamente si è ipotizzato che abbia continuato la sua attività illecita (la conversazione riportata non offre alcun elemento utile)”. Inoltre, “Dentino” “aveva sempre rivestito il ruolo di acquirente” e “aveva un rapporto con la Fustolo di scarsa fiducia e nessun rapporto con gli altri indagati”.
Per gli ermellini, però, l’ordinanza degli arresti regge in quanto “a capo dell’organizzazione (con struttura piramidale) si poneva l’Ausiello e, dopo la carcerazione di quest’ultimo, sua moglie Fustolo; lo smercio quotidiano riguardava quantitativi consistenti al mese e giornalieri; le forniture di cocaina avvenivano secondo modalità collaudate e con cadenza quasi quotidiana di piccole quantità, in modo da contenere le perdite in caso di controlli da parte delle forze dell’ordine ai pusher; lo spaccio era organizzato secondo vere e proprie reperibilità in fasce orarie; l’organizzazione provvedeva alla paga giornaliera dei pusher e dei custodi; Fustolo e il marito gestivano personalmente i rapporti con i due principali fornitori di droga; l’associazione disponeva di utenze telefoniche dedicate esclusivamente al commercio di stupefacenti; i pagamenti avvenivano in contanti oppure attraverso bancomat, talvolta, mediante carta del reddito di cittadinanza, servendosi del POS dell’esercizio commerciale per camuffare i clienti in cerca di droga come se fossero clienti di un negozio di generi alimentari; il negozio di alimentari “Più Gusto”, della coppia Ausiello-Fustolo fungeva da vera e propria base operativa del sodalizio; i sodali si conoscevano tra loro ed interagivano costantemente ripartendosi i ruoli”.
Quanto alla posizione specifica di Lombardo, “oltre ai reati-fine commessi in concorso con la Fustolo, era in costante rapporto con gli altri pusher del gruppo e aveva il compito rilevante di custodire e preparare lo stupefacente da porre in vendita; era stato incaricato di ricevere vari rifornimenti di cocaina”.
Alla fine, oltreché a ritenere inammissibile il ricorso, la Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.