Errori di comunicazione e burocrazia tra una delle aziende più importanti del territorio e l’Inps. E intanto i cassaintegrati aspettano i soldi
Quando la forma vale più della sostanza. E quando la forma si abbatte solo per gli ultimi della catena. Abituati alle modalità più ottuse della burocrazia nostrana, il campo dei sussidi per lavoratori in cassa integrazione o precari è sempre molto gravido di situazioni tra la farsa e la tragedia.
In breve. Accade che otto lavoratori della società di Sermoneta, Latina Pharma, ex Corden Pharma, oggi guidata da Extrovis attraverso la sua società affiliata al 100% Kavis Pharma Holding, sono in attesa della cassa integrazione da mesi per un mero errore di comunicazione.
Nel mese di maggio, infatti, l’INPS avrebbe dovuto pagare agli otto lavoratori la Cassa integrazione ordinaria, la cosiddetta Cigo. Il totale da corrispondere è di 168 ore per circa 1000 euro per ciascun lavoratore. Da premettere che i soldi di maggio sono riferibili a marzo, poiché i lavoratori cassaintegrati vengono pagati a due mesi.
Fatto sta che, secondo l’INPS, a causa di un errore dell’azienda di Sermoneta nel comunicare le ore, i lavoratori, lo scorso 15 maggio, ricevono solo 48 ore. Uno dirà: un semplice errore di comunicazione, risolvibile con un clic nell’era dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione. L’azienda ha comunicato all’Inps che i lavoratori devono essere pagati solo per 48 ore, invece che 168. Si direbbe: mero errore materiale, facilmente aggirabile. Zero carbonella.
Infatti, succede che i lavoratori fanno presente l’errore all’azienda che rimpalla in prima battuta la responsabilità all’INPS. E, allora, uno dei lavoratori si reca presso l’INPS armato di buona volontà per risolvere il problema, visto che quei soldi occorrono in un Paese in cui i prezzi sono alle stelle e il potere d’acquisto è alle stalle.
La responsabile e funzionaria dell’INPS di Latina, in Via Cesare Battisti, spiega al lavoratore il già esplicito “arcano”: in principio l’azienda aveva comunicato solo 48 che sono state pagate, scordando di aggiungere le restanti 120. Ossia i tre quarti dell’intera cassa integrazione. Non poco.
Non succede praticamente niente, poi, dopo diversi reclami, i lavoratori chiedono all’azienda Latina Pharma di sistemare quanto accaduto e comunicare di nuovo le ore esatte da pagare: 168 ore, scorporate delle 48 ore, in tutto 120 ore per il mese di maggio (che in realtà significa la cassa integrazione di marzo). L’azienda comunica le ore, ma commette l’errore, un altro: trasmette all’INPS di nuovo le 168 ore, senza eliminare le 48 ore già pagate il 15 maggio.
È qui che accade l’irreparabile, almeno nelle logiche infernali della burocrazia della previdenza. L’INPS blocca la pratica perché rimangono appese una richiesta, giusta, da 120 ore, e un’altra, sbagliata, da 168 ore. Se erogasse la seconda, è ovvio che darebbe ai lavoratori più soldi del dovuti: 48 ore prese il 15 maggio e 168 ore dopo il pasticcio. In tutto 216 ore, troppe.
Secondo quanto detto ai lavoratori, solo i tecnici informatici possono sbloccare l’impasse. Qualcuno penserà: ma nell’era della digitalizzazione non sarebbe sufficiente un clic per modificare la cifra e erogare le rimanenti 120 ore che i lavoratori aspettano da maggio? Troppo facile. Ora, l’INPS sostiene che sono stati inviate diversi mail ai cosiddetti “processuristi” (i tecnici informatici), sebbene al momento nessuno abbia risposto.
E intanto i lavoratori aspettano da circa due mesi i soldi che gli servono per andare avanti. Per fortuna che, intanto, la cassa integrazione di aprile è stata erogata a giugno. Ecco, magari è più facile di quello che sembra superare un problema che impatta sempre e comunque su chi ha meno: lavoratori cassaintegrati bloccati da errori e burocrazia diabolica.