Era la prima metà di dicembre 2018 e all’incontro tenuto al Ministero dello Sviluppo economico a cui presero parte i rappresentanti dell’azienda Corden Pharma, i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Confail e l’assessore regionale al Lavoro Claudio Di Berardino, i sottosegretari del Governo Claudio Durigon (Lega) e Giorgio Sorial (M5S) dichiararono che c’era del “cauto ottimismo nella possibilità di un sostegno da parte di Bristol Myers alla situazione di Corden Pharma”.
La notizia generò qualche speranza in azienda e nei lavoratori, in ragione del fatto che Durigon e Sorial comunicarono che all’incontro con Bristol si era presentato l’amministratore delegato in persona.
Un aspetto che poteva contare non poco se non fosse altro che le storie di Bristol e lo stabilimento di Sermoneta, oggi Corden Pharma, sono legate a doppio filo.
Infatti, qualche decade fa, nel 1970, Bristol trasferì le produzioni di antibiotici da Verona a Sermoneta per opportunità economiche legate alla vecchia cassa del mezzogiorno (CASMEZ), così da consolidare produzioni e impianti.
La mossa portò alla crescita dell’azienda in termini di dipendenti che, tra interni e esterni, raggiunsero il numero di 2000 lavoratori. Un vero e proprio vanto per la chimica-farmaceutica pontina.
In seguito, Bristol Myers Squibb, dopo aver prosperato anche grazie ai soldi pubblici della Casmez, nel 2009 decise di dismettere il sito “regalando”, di fatto, lo stabilimento al gruppo finanziario tedesco ICIG da cui Corden Pharma.
Al di là della storiografia industriale, è notizia di poche ore che Bristol, nonostante le rassicurazioni governative di dicembre, ha impegnato 74 miliardi di dollari a favore dell’acquisizione della biofarmaceutica Celgene Corporation, con sede a Summit (New Jersey, Stati Uniti).
Nella nota di Bristol si legge che: “Con questa acquisizione verrà creata una società leader nella biofarmaceutica, ben posizionata per rispondere alle esigenze di persone affette da cancro, malattie infiammatorie e immunologiche, patologie cardiovascolari attraverso farmaci innovativi di alto valore e capacità scientifiche all’avanguardia”.
Come riporta “Il Sole 24 ore”, “se approvata, l’acquisizione sarà tra le maggiori della storia nel settore pharma e la più grande a essere realizzata da Giovanni Caforio, nato in Italia e promosso a Ceo di Bristol-Myers Squibb nel maggio 2015. Caforio, 53 anni, laureato in medicina all’Università di Roma, ha lavorato sempre nel campo della farmaceutica, prima per Abbott Laboratories poi, dal 2000, per Bristol-Myers, dove ha iniziato come general manager per l’Italia e ha successivamente scalato le posizioni fino a diventare amministratore delegato, prendendo il posto di un altro italiano, Lamberto Andreotti (figlio dell’ex presidente del Consiglio)”.
I due gruppi, Bristol e Celgene, sono fiduciosi che la transazione si completi nel corso del terzo trimestre del 2019 e già hanno dalla loro l’ok dei rispettivi consigli d’amministrazione, mentre aspettano il via libera da parte di azionisti e organi regolatori.
Secondo Caforio, le due aziende hanno discusso di questa potenziale fusione da tempo, dicendosi certo che ci sono opportunità di crescita di breve termine concrete con benefici per Bristol Myers Squibb, in barba al mercato che sembra dubbioso sulle prospettive a largo raggio con il titolo dell’azienda che in Borsa già ha accusato un brusco cedimento (il 12%).
Oggi, intanto, a Latina c’è stato un incontro presso Unindustria tra azienda e sindacati per illustrare le richieste emerse durante le assemblee con i lavoratori della Corden Pharma, volte a rendere meno pesanti i tagli economici e a salvaguardare i redditi più bassi.
L’azienda prende tempo sino a lunedì 7 gennaio quando ci sarà, come noto, un incontro tra le parti presso la Regione Lazio. Ma già si può dire con certezza che sarà un incontro interlocutorio. L’ennesimo.
Insomma, mentre nell’Agro Pontino la trattativa si trascina tra dichiarazioni propagandistiche, rumors mai accertati (i misteriosi privati interessati al sito di Sermoneta), Ministeri, Regione e sedi unindustriali, al di là dell’oceano fanno i fatti.
Tra Sermoneta e Summit, purtroppo, non c’è solo un oceano di acqua ma, sopratutto, di interessi maggiori.