COVID FUORI CONTROLLO NELLA PROVINCIA PONTINA: TRA MINI-LOCKDOWN, IGNAVIA DEI SINDACI E IL FANTASMA DI WAMURA

Monumento in onore di Kotoku Wamura
Monumento in onore di Kotoku Wamura

La situazione dei contagi da Covid in provincia di Latina è fuori controllo: la Regione Lazio da giorni lancia i suoi avvertimenti ma nessuno tra i sindaci è pronto a recepire i moniti. Sul piatto della Prefettura di Latina ci sono interventi drastici che potrebbero essere adottati a breve

Il livello di ignavia e ipocrisia di molti degli amministratori pontini è imbarazzante. La provincia di Latina è fuori controllo nei contagi da Covid-19, attenzionata (orribile termine ma tant’è) da Regione e Governo eppure di controlli neanche l’ombra soprattutto nel capoluogo di provincia, ad Aprilia e un po’ dappertutto (con poche e lodevoli eccezioni).

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I sindaci non vogliono assumersi nessuna responsabilità e la Prefettura, in questa settimana, è già a due “vertici” convocati per tentare di trovare un compromesso ed evitare un intervento dall’alto.

Niente da fare, però. Di misure restrittive gli amministratori eletti dal popolo non vogliono saperne: chi perché non vuole inimicarsi l’associazione di categoria, chi perché ha elezioni l’anno prossimo, chi perché è incapace di decidere da sempre.

Ecco, allora, che viene in mente quel tale, il sindaco di un piccolo Paese del Giappone, Fudai la città della prefettura di Iwate, che fu additato per anni come pazzo e scialacquatore di finanze pubbliche.
Kōtoku Wamura, questo era il suo nome, divenne sindaco di Fudai nel 1947 e rimase in carica fino al 1987. Un brontosauro della politica, si direbbe da noi e non a torto considerato che il Giappone ha i nostri stessi problemi di ricambio di classe dirigente e soffocamento delle aspirazioni dei giovani.

Tuttavia il brontosauro Wamura, quando era giovane, fu testimone di una catastrofe da cui si salvò. Aveva solo 24 anni quando lo tsunami seguito al terremoto di Sanriku del 1933 si abbatté sulla costa orientale della regione di Tōhoku, facendo oltre 3.000 vittime. Trentasette anni prima, come gli raccontavano i suoi nonni, nella stessa regione, lo tsunami seguito al terremoto di Sanriku del 1896 aveva causato almeno 22.000 vittime.

Memore di queste catastrofi e, quindi, della Storia, Wamura pensò di costruire una paratia alta circa 15,5 metri che costò l’equivalente di circa 25 milioni di euro di oggi, molto più grande di quelle che proteggevano i villaggi vicini.

Dai più quel “muro” fu criticato, anzi Wamura subì un vero e proprio tiro al piccione, bersagliato fino a quanto nel 1987 si dimise. Quell’opera fu considerata uno spreco di denaro pubblico e il sindaco fu deriso e insultato per anni anche dopo l’uscita dalla politica attiva. Ma un attimo prima di dimettersi, il sindaco disse ai suoi sostenitori di essere fiduciosi, e che tutti in futuro avrebbero capito l’importanza di quel muro alto oltre 15 metri e mezzo.

Wamura morì nel 1997, ormai etichettato come l’amministratore sprecone e megalomane. Solo che la Storia, come cantava il cantautore romano, “non si ferma davvero davanti a un portone,la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione“. E la ragione la ebbe, da morto, Kōtoku Wamura, quando nel 2011 un terribile terremoto/maremoto nel Tōhoku si abbatté di nuovo contro le città costiere causando danni enormi e morti.

L’unica città che uscì indenne fu Fudai: morì un solo cittadino, un pescatore uscito subito dopo il terremoto per cercare la sua barca e sorpreso da un’onda anomala.
La tomba di Wamura è diventata meta di pellegrinaggio da parte dei suoi concittadini, i quali vi si recano per deporre fiori ed elevare preghiere di ringraziamento al loro eroe. A lui è stato dedicato anche un reportage “Il samurai disarmato” che ne tratteggia la pacatezza e la fermezza.

Quanto anni luce sono lontani i nostri sindaci da Wamura? Il risultato che, dopo il vertice in Prefettura di ieri, mercoledì 7 ottobre, non si è presa nessuna decisione nonostante il numero di contagi nella provincia di Latina, ogni giorno, segna numeri fuori media rispetto alle altre province del Lazio (solo ieri anche Frosinone ha avuto anch’essa un’impennata): ieri 60 nuovi casi, con un cluster nella Clinica “Città di Aprilia” ormai ufficializzato e un virus che corre veloce e diffusamente dal nord al sud pontino.

Dopo la riunione di ieri, in Piazza della Libertà, tra il prefetto Maurizio Falco, il Presidente della Provincia Carlo Medici, i sindaci (non tutti) e l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, si è deciso di rimandare ogni decisione o, meglio, di demandare tutto a un intervento della Regione Lazio. Saranno il Prefetto e l’Ente regionale, infatti, a decidere così che i sindaci possano stare al riparo dalle critiche dei cittadini. Un antipasto si è avuto ieri sera (7 ottobre) quando il sindaco di Latina Damiano Coletta, intervistato nel corso della diretta web di “Baraonda Latina”, si è premurato di mettere le mani avanti e dichiarare che, nonostante le sue rimostranze per difendere commercianti e cittadini al tavolo della Prefettura, nel caso in cui la Regione dovesse decidere per inasprire le misure anti-Covid lui dovrebbe applicarle. Non proprio un esempio di assunzione di responsabilità che ci si aspetta dal primo cittadino del capoluogo di provincia.

Sul piatto, ad ogni modo, ci sono alcune soluzioni o interventi di mitigazione del virus: i “mini-lockdown” o limitazioni di orari per gli esercizi commerciali; numero chiuso sui trasporti fino all’estrema ratio: la zona rossa provinciale.
Questo tutti lo sanno ma nessuno lo dice. E mentre gli amministratori eletti dal popolo sperano di aver salvato capra e cavoli, il fantasma di Wamura si erge come un gigante su di loro.

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