CORONAVIRUS. IRAN, TUTTI GIÙ PER TEHERAN. LA TESTIMONIANZA DI UN PONTINO

Iran

Mercoledì 12 febbraio, su Tehran Times il portavoce del ministero della sanità iraniana rassicura sull’assenza di casi di coronavirus in Iran. Che fortuna, con le strettissime e intense relazioni tra Iran e Cina e la massiccia presenza sino-coreana in questo Paese, praticamente un miracolo

Il mercoledì successivo, 19 febbraio, i media, locali e internazionali, riportano i primi due decessi da coronavirus a Qom. Doccia fredda: se oggi muoiono, già in precedenza avrebbero dovuto accorgersi dell’insorgenza delle infezioni.

Il santuario Hażrat-e Maʿsūmeh a Qom
Il santuario Hażrat-e Maʿsūmeh a Qom, Iran

Qom è il Vaticano dell’islam sciita – che qui è religione di Stato; a 147 km a sud di Teheran, dove si formano tutti i suoi capi religiosi (mullah), in strettissimo e continuo contatto con la capitale e affollata quotidianamente da masse di pellegrini che si accalcano per pregare nel santuario di Mahsumeh, la pia sorella dell’ottavo imam sciita. Hanno continuato a farlo anche dopo lo scoppio del bubbone, non meraviglierebbe saperli continuare anche oggi. Molti mullah ribadivano il potere salvifico delle moschee e soprattutto dei sacrari dei “martiri”, protetti dalle grate di scintillante metallo dove migliaia di mani si intrecciano e strofinano per implorare la grazia. 

Giovedì 20 febbraio a Teheran c’è l’inaugurazione della settimana del festival del film italiano; in molti si affollano alla cerimonia, tenuta nella cornice trendy del parco degli Artisti, in centro: la cultura del Belpaese affascina da sempre questo Popolo. Serpeggia un po’ di inquietudine, dietro i sorrisi e i veli. Ma domani ci saranno le elezioni nazionali per il rinnovo del Majlis, l’organismo legislativo del governo iraniano, e i cittadini vengono incoraggiati a recarsi alle urne. È il weekend islamico, ci si lascia andare ad un cauto (incosciente?) ottimismo.

mausoleoVenerdì 21 febbraio elezioni nazionali, preghiera del venerdì in moschea, santa messa nella chiesa cattolica all’interno dell’ambasciata italiana: usuali momenti di spiritualità, partecipati come sempre.

Sabato 22 febbraio, iniziano ad arrivare le notizie di occorrenze di coronavirus anche a Teheran, i casi di contagio riferiti sono 28 e i morti sono saliti a 5. I più previdenti, e chi può permetterselo all’interno della comunità italiana a Teheran – compatibilmente con i propri impegni professionali – cominciano autonomamente a decidere di autoisolarsi o di ridurre al minimo spostamenti, incontri, contatti.

Lunedì 24 febbraio, durante una conferenza stampa il vice ministro della Salute, Iraj Harirchi Tabrizi, nega l’affermazione di un parlamentare iraniano, secondo il quale ci sarebbero già 50 morti nella sola Qom; suda e tossisce, il giorno dopo sarà costretto ad ammettere di essere positivo al Coronavirus e a confinarsi in autoquarantena. Molti politici, mullah e capi dell’esercito moriranno di coronavirus da quel momento in poi: essendo personaggi pubblici, è impossibile tenerlo celato.

Mercoledì 26, le Ceneri: inizia la Quaresima. Il Nunzio Apostolico cancella da qui in poi tutte le funzioni previste per la comunità cattolica di Teheran.

Direttore Generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus
Direttore Generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus

Cominciano ad arrivare i bollettini dell’OMS attraverso le varie ambasciate, col numero dei contagiati e dei deceduti in Iran: col passare dei giorni, si configura un andamento dei dati ufficiali quantomeno singolare – in merito al rapporto tra infetti e deceduti – rispetto a quello degli altri Paesi coinvolti. Ad un certo punto i dati superano quelli italiani, poi la progressione rallenta drasticamente. Fonti ufficiose e organi di stampa internazionale continuano a parlare di cifre di contagiati e morti di almeno 5 volte superiori a quelle annunciate e in continuo aumento, invece.

A fine febbraio c’è lo stop per le scuole di ogni ordine e grado e per le università.

Intanto ad uno ad uno tutti i Paesi confinanti e limitrofi chiudono le frontiere con l’Iran, le compagnie aeree riducono e poi cancellano del tutto i voli da e per il Paese; alcuni italiani riescono ad acquistare gli ultimi biglietti per rientrare in tutta fretta, i voli rimasti sono strapieni e i costi del viaggi sono lievitati anche di 4 volte rispetto al normale.

Il personale locale di molti uffici stranieri viene invitato a lavorare da casa. Un giornale online indipendente riferisce di diversi casi di positività al Covid tra il personale dell’ambasciata italiana. Ma arrivano voci di casi anche in altre ambasciate. Il giovane medico iraniano che arriva a fare i tamponi preventivi, già stravolto e oberato di chiamate da un capo all’altro della città, reitera la supplica di rimanere sempre a casa, di non uscire per nessun motivo: nelle prossime settimane, afferma, la situazione peggiorerà in maniera esponenziale.

mausoleoSi avvicina Nowrooz, il capodanno persiano, la festa più importante dell’anno, attesa come lo è nel mondo occidentale il periodo natalizio: l’equinozio di primavera, quest’anno caduto venerdì 20 marzo. Ma la festa inizia già martedì 17 con la cerimonia purificatrice del salto del fuoco (“Chaharshanbè surì”) e ancor prima nei preparativi, negli acquisti, nelle pulizie di casa, negli inviti, nella cucina di dolci e manicaretti, nell’allestimento dell’Hàft sìn, la tavola simbolica beneaugurale, nelle decorazioni casalinghe e cittadine. Poi prosegue per un paio di settimane, fino a “Sizdàh bé-dàr”, la festa conclusiva che cadrà il primo di aprile.

Il presidente Rohani invita alla cautela, alla distanza di sicurezza, alla limitazione degli spostamenti, ma esclude l’obbligo di quarantena, non ce n’è bisogno: è una pratica antica, medievale, inefficace. Soprattutto, viene da pensare, economicamente insostenibile nell’Iran odierno, prostrato dalle sanzioni. Quindi le persone, i professionisti, i lavoratori, le famiglie, si muovono e si incontrano, programmano viaggi sul mar Caspio e picnic, seppur meno di prima, seppur con qualche attenzione, seppur guardinghi. Sembra che circa due milioni di persone siano andate “shomàl”, al nord, come da tradizione festiva. E si riferisce che attorno al grande bacino idrico di Chitgar, “il mare di Teheran”, nel nordovest della metropoli, molti abbiano allestito gli usuali pranzi familiari sui prati, con tanto di tappeti, samovar fumanti di tè, barbecue per il kebab, tavole di backgammon e narghilè.

mercato2E in questi giorni si ha infatti il dubbio che le strade di Teheran siano praticamente deserte perché come il solito sono tutti partiti e non tanto per la paura del contagio: nel grande parco “Ab-o-Atàsh” (Acqua e Fuoco) seppur per lo più a debita distanza, parecchie famigliole e gruppi di amici, così come coppiette di fidanzati, passeggiano e si godono il fresco. Un crocchio di ragazzetti gioca a pallone sul ponte di marmo che attraversa il laghetto artificiale, diversi bambini pattinano o sfrecciano con lo skateboard. 

Nei “bagghalì”, i negozi alimentari di quartiere, così come nei numerosi piccoli supermarket, la gente è diminuita ma tende ancora – a buon bisogno – ad assembrarsi nello stile “bazar”; le panetterie rimangono aperte e con loro allegre possibilità di diffusione del virus, tramite lo smanacciamento di lenzuoli di pane azzimo all’aria aperta da venditori a acquirenti e alle simpatiche code che sempre si creano negli orari in cui il pane viene sfornato. Molti si sono organizzati anche con consegne a domicilio; anche Digikala – l’Amazon iraniano – offre un servizio efficiente, pronto e (dicono) al riparo da rischi di contagio. Le orde di bambini e ragazzi afghani – i paria della società iraniana – continuano indisturbati il loro lavoro quotidiano di capillare rovistamento nei cassonetti.

mercatoOra i più accorti e consapevoli temono l’onda di ritorno: al rientro a Teheran, i villeggianti  e “pasquettari” faranno schizzare in alto gli indici di infezione e morte e diffonderanno ulteriormente il virus. Dubitano della capacità ricettiva delle strutture sanitarie pubbliche: anche a causa delle annose sanzioni, persino in tempi di gestione ordinaria c’erano problemi. Nella famiglia di una ragazza iraniana, che potrebbe chiamarsi Nastaran, la settimana scorsa si sono riuniti per un funerale, incuranti del coronavirus: una zia si è ammalata subito dopo ed è morta in un ospedale pubblico, dove a quanto pare non è stata curata adeguatamente. I genitori si sono ammalati entrambi di coronavirus e ora la mamma è ricoverata in una struttura privata dove spende l’equivalente di più di cento euro al giorno, una cifra esorbitante per il reddito medio iraniano.

Tuttavia il governo rassicura negli ultimi due giorni che il numero dei contagi e delle morti si sta stabilizzando – siamo a 27.017 infetti e 2.017 morti ufficiali – che gli scavi di alcune riprese aeree non sono fosse comuni bensì opere già programmate per canali et similia e che le banche aiuteranno la popolazione procrastinando la riscossione dei pagamenti di mutui, prestiti e bollette di ogni tipo. Ma diverse persone affermano che a questi proclami di aiuti del governo non è per ora seguito un atteggiamento concreto delle banche in tal senso.

Il grande poster che qualche giorno fa vedemmo con Tony al parco Acqua e Fuoco, che incita alle buone pratiche contro il coronavirus
Il grande poster che campeggiava al parco Acqua e Fuoco a Teheran, che incita alle buone pratiche contro il coronavirus

Contemporaneamente si stringono i controlli, caldeggiando (ma senza obbligo di legge) la chiusura di tutti gli esercizi commerciali e le attività non strettamente indispensabili, fuorché generi alimentari e farmacie, e la clausura tra le mura domestiche, controllando gli spostamenti in entrata e in uscita dalle città e mettendo in opera una serie di altre misure volte al contenimento e alla protezione. 

Aiuti dalla Cina e dalla Russia ne sono arrivati, arriveranno anche i 20 milioni di euro da Bruxelles

Il 25 marzo la notizia inspiegabile sul sito ufficiale di MSF, Médecins sans Frontières, che il ministero della salute iraniano ha rifiutato gli aiuti già arrivati in Iran (Teheran ed Isfahan, la terza città più importante e popolosa della repubblica islamica) perché “non ce n’è bisogno”.

Il tempo è brutto, piove e fa freddo, le solenni e antichissime montagne dell’Alborz, che incoronano Teheran, si coprono nuovamente di neve: si rimane a guardarle da dietro ai vetri delle finestre, mentre nelle orecchie risuonano le parole concitate del giovane medico iraniano, già stravolto dal superlavoro: “State a casa, non uscite per nessun motivo. State a casa“. 

E ci si chiede se ci sarà qualche respiratore libero, in caso ci si dovesse ammalare.

Reportage dall’Iran

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