Colpita da aneurisma, si cura all’estero e la Asl di Latina non vuole riconoscerle i rimborsi spesa: condannata l’azienda sanitaria locale
La storia inizia nel febbraio 2017 quando una donna 35enne di Latina viene ricoverata in gravi condizioni presso l’Ospedale Santa Maria Goretti per una “emorragia subaracnoidea da rottura di aneurisma dell’arteria cerebrale comunicante“. Pochi giorni dopo, il 14 febbraio dello stesso anno, la 35enne viene trasferita al Policlinico Gemelli di Roma per trattamento endovascolare e caniotomia decompressiva con un esito di coma secondario. Al che, la donna è di nuovo trasferita presso il Montecatone Reabilitation Istitute di Imola ad aprile 2017.
Le condizioni della giovane sono gravi, tuttavia i genitori non si arrendono e, ascoltati i medici dell’ultimo istituto, decidono di trasferire la figlia presso un altro centro per cure riabilitative in Austria. La 35enne è afasica, non cammina e ha bisogno di cure mirate e specialistiche che in Italia non sono erogate. Per due volte il Centro Regionale di riferimento nega la richiesta con la Asl di Latina silente. Nonostante ciò la 35enne viene ricoverata presso la clinica austriaca “Tirol Kliniken” di Innsbruck durante l’estate 2017. È nell’istituto austriaco che la paziente può ricevere le cure di cui ha bisogno per iniziare il suo percorso che si presenta sin da subito duro e pieno di ostacoli.
È proprio in ragione dei dinieghi da parte del Centro Regionale che il padre della 35enne, nominato nel frattempo amministratore di sostegno, intenta causa alla Asl pontina presso il Tribunale di Latina. Ciò che chiede è il rimborso alle spese sostenute a Innsbruck, in Austria, dal momento che in Italia quelle cure non erano garantite in nessuna clinica o centro riabilitativo.
Alla Asl, i ricorrenti – padre, madre e figlia (ossia la paziente colpita da aneurisma) -, difesi dall’avvocato Francesca Coluzzi, chiedono la somma di 280.395 euro, pari all’80% della somma sostenuta a titolo di spese sanitarie per la riabilitazione.
Passano cinque anni e lo scorso 1 marzo, il Giudice del Tribunale civile di Latina Umberto Maria Costume condanna la Asl al pagamento in favore delle parti ricorrenti in solido della somma di euro 280.494,74, oltre interessi come per legge. La Asl di Latina, difesa dall’avvocato Massimo Valleriani, inoltre, è stata condannata a rimborsare in favore dei ricorrenti, le spese di lite, che si liquidano in 8.000 euro oltre spese generali, Iva e Cpa, oltreché le spese del consulente tecnico.
Decisivo per il ricorso dei genitori e della 35enne di Latina è la legge 23 ottobre 1985, n. 595, art. 3, comma quinto, poiché stabilisce che “con decreto del Ministro della sanità sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta, di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico e sono, altresì, stabiliti i limiti e le modalità per il concorso nella spesa relativa da porre a carico dei bilanci delle unità sanitarie locali”.
In sostanza se la prestazione sanitaria specialistica non è ottenibile immediatamente in Italia, questa, una volta svolta in struttura all’estero, deve essere rimborsata all’80% dal Sistema Sanitario Nazionale e, nel caso di specie, dall’Asl di riferimento, ossia quella pontina. Asl che, invece, ha pensato male di resistere in giudizio, condannando le casse della sanità pubblica anche a rimborsare le spese di lite in favore dei ricorrenti.
Illuminanti le parole riferite da un teste nel processo civile che alla fine ha dato torto alla Asl. È la dottoressa Maria Chiara Bozzoni Pantaleoni a riferire che “per quanto di mia conoscenza posso confermare la circostanza che la combinazione dei trattamenti amantadina endovenosa e verticalizzazione robotizzata fosse somministrabile solo a Innsbruck. Sempre a quanto mi consta, in Italia l’amantadina è somministrabile soltanto in compresse, che certamente non produce lo stesso effetto della somministrazione endovenosa e non garantisce gli stessi tempi di risposta. Non escludo che anche ad Imola, al Montecatone Institute, fossero disponibili sistemi riabilitativi robotici, ma non paragonabili a quelli disponibili alla Tirol Kliniken di Innsbruck”.
Una tesi confermata anche dal consulente tecnico d’ufficio designato dal Tribunale, dott.ssa Raffaela Rinaldi, che ha specificato che “il potenziale di miglioramento insito nella condizione della omissis (nda: la 35enne di Latina) poteva subire un rallentamento (ovvero un annullamento) in assenza dei cicli intensivi esperibili presso la Tirol Kiliniken di Innsbruck associati alla terapia farmacologica succitata. Quindi, si ritiene di poter affermare che la perizianda abbia ottenuto specifico beneficio dai trattamenti della clinica austriaca non esperibili in toto e con le medesime modalità sul territorio nazionale”.
La determina dell’Asl di Latina con cui si dispone il pagamento in favore dei ricorrenti arriva solo oggi 9 agosto, a distanza di oltre cinque mesi dalla pronuncia del Tribunale di Latina.