CHIOSCO BRUCIATO SUL LUNGOMARE A SABAUDIA, CASSAZIONE: C’È UN SOLO COLPEVOLE DEL ROGO

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Stabilimento balneare in fiamme a Sabaudia: la Cassazione si è pronunciata sul ricorso dell’unico colpevole del rogo avvenuto a gennaio 2022

Inammissibile il ricorso di Valerio Toselli, il 33enne di Sabaudia condannato sia in primo che in secondo grado per il rogo dello stabilimento balneare “Duna 31.5”, sul lungomare di Sabaudia. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna a oltre 5 anni di reclusione.

È stato diverso il destino giudiziario per Valerio Toselli e Simone Petrucci (co-imputato e ritenuto dagli inquirenti come l’altro esecutore materiale), i due trentenni condannati a novembre 2023 dal giudice monocratico del Tribunale di Latina, Paolo Romano, per aver bruciato il chiosco sul lungomare di Sabaudia a gennaio 2022. A ottobre 2024, infratti, la Corte d’Appello, infatti, ha assolto Simone Petrucci, difeso dall’avvocato Pietro Serrecchia, per non aver commesso il fatto e confermato la condanna di primo grado per Valerio Toselli, assistito dall’avvocato Valentina Leonardi.

Valerio Toselli è responsabile di aver incendiato lo stabilimento sul lungomare di Sabaudia, “Duna 31.5”, su mandato della 68enne Mariella D’Indio. Toselli aveva trovato conferma nella sua condanna a 5 anni e 2 mesi, mentre Petrucci era stato scagionato dopo essere stato condannato in primo grado a 2 anni e 6 mesi di reclusione.

A giugno 2023,, Mariella D’Indio e la figlia 36enne, chiamate a rispondere, come mandanti dell’incendio doloso avvenuto il 6 gennaio 2022 presso lo stabilimento balneare, avevano avuto due destini diversi dal punto di vista giudiziario. Al termine di una lunga udienza, l’allora giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Mario La Rosa, tramite rito abbreviato, aveva assolto la figlia con formula piena e condannato a 2 anni e 8 mesi la 68enne Mariella D’Indio per il reato di incendio doloso. Le due donne erano assistite entrambe dall’avvocato Guido Calisi.

Il giovane di Sabaudia, Valerio Toselli, aveva deciso, in sede di interrogatorio di garanzia, dopo essere stato arrestato dai Carabinieri, di non rispondere alle domande dell’allora Giudice per le indagini preliminari, Giorgia Castriota.

Petrucci, colui che era ritenuto il complice dell’esecutore nell’incendio al “Duna”, aveva invece negato il suo coinvolgimento, cercando di chiarire anche alcuni passaggi dell’inchiesta che lo vedono menzionato nell’attività intercettiva: secondo il 35enne, la sera del rogo, il 6 gennaio 2022, lui non non si trovava neanche sul lungomare di Sabaudia. Una tesi che era stata evidentemente accolta dalla Corte d’Appello.

Dopo l’incendio del “Duna”, i sospetti dei militari dell’Arma avevano permesso di appurare infatti come l’incendio fosse effettivamente stato commissionato dalla titolare di una concessione per noleggio di sdraio e ombrelloni, cessata a seguito di ripetute violazioni accertate dai Carabinieri Forestali del Parco di Fogliano e poi riaperta in altra località del lungomare, e che aveva già avuto diversi screzi con i titolari dello stabilimento incendiato.

Le ulteriori indagini dei Carabinieri avevano permesso inoltre di individuare in Toselli l’autore dell’incendio che, per 1000 euro, aveva materialmente dato fuoco allo stabilimento, per poi allontanarsi mentre lo stesso bruciava.

La Cassazione sottolinea come sia dirimente il contenuto del filmato registrato dalla figlia, “in quanto contenente una sostanziale confessione da parte di Toselli in merito al fatto di avere incendiato lo stabilimento nell’interesse e per conto di Mirella D’Indio; come la conversazione sia inequivocabile e
non lasci margini di interpretazione, fornendo, altresì, il movente del delitto da identificarsi nella ricompensa in denaro pattuita (1.000 euro); e come non possa essere condivisa l’osservazione della difesa circa l’inutilizzabilità delle trascrizioni della conversazione registrata dalla figlia della mandante, in quanto non oggetto di perizia. A tale riguardo osserva che la prova è costituita dal filmato, presente in atti, che il primo Giudice nonché la stessa Corte hanno visionato, e che nessun dubbio sussiste in ordine al fatto che i due partecipanti alla conversazione fossero la figlia della mandante (autrice del filmato, evidentemente realizzato per dimostrare l’assenza di responsabilità sua e della madre) e Toselli, dati anche gli appellativi reciprocamente utilizzati e i fotogrammi nei quali risulta riconoscibile Toselli”.

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